Blog dei redattori de Gli scritti (4/2/2012) su Chiesa cattolica, Esperienza nella catechesi, Cercare la vocazione, Szymborska, Cantico dei Cantici
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Nella Chiesa cattolica è veramente possibile trovare Dio, di G.M.
Dice un vescovo neo-eletto: «Voglio condividere con voi la cosa di cui sono più convinto oggi: il Vangelo e la Chiesa cattolica sono una cosa seria. Molti pensano che oggi la chiesa sia un problema. Io sono invece profondamente convinto che, nonostante i problemi, è proprio nella Chiesa cattolica che è possibile trovare Dio. Nella Chiesa, proprio lì, l’uomo che cerca Dio lo può incontrare».
La serietà e la semplicità di queste affermazioni sono straordinarie. Afferma anche, con altrettanta verità: «Molti pensano che il cristianesimo è ormai superato. Ha dato molto in passato, ma oggi non ha più niente di nuovo da dire. Io sono invece convinto che il cristianesimo non ha ancora dato il meglio di sé e che lo darà oggi e in futuro. Alcuni decenni fa qualcuno era persuaso che il cristianesimo era ormai superato nelle città ed al limite, poteva andare bene ancora nelle periferie povere dei centri urbani. Io non sono d’accordo. Il cristianesimo è ciò di cui le città e la cultura hanno bisogno, così come ne hanno bisogno i piccoli ed i poveri».
Il canto: il recupero dell’esperienza nella catechesi, di A.L.
La nostra catechesi è poverissima di esperienza. Lo si vede dal fatto che è scomparsa da essa la bellezza del canto. Un sacerdote mi racconta, invece, che i bambini hanno preparato con lui la festa della Presentazione al Tempio del Signore, la Candelora. La riunione è stata una semplicissima catechesi sul canto O luce radiosa.
Non è stata una semplice prova di canti per la liturgia, ma esattamente una catechesi sul canto O luce radiosa, una catechesi mentre lo si imparava. I bambini hanno compreso che ci sono canti che sono di moda e poi scompaiono e canti che dureranno secoli, perché nascono dalla tradizione della chiesa. Hanno capito che Cristo è la luce radiosa.
Talvolta la catechesi insegue il nuovo, senza domandarsi cos’è ciò che permane, ciò che è talmente solido da attraversare i tempi.
Commenta il sacerdote: «A volte non ci rendiamo conto del tesoro che abbiamo. Per fare catechesi dobbiamo solo spiegare la Presentazione al tempio di Gesù che vi entra come luce. E per presentarla dobbiamo solo scegliere fra ciò che già abbiamo, senza aver bisogno eccessivo di trovare niente di nuovo. Perché è troppo ciò che già abbiamo. È talmente immenso ciò che abbiamo ricevuto dalla tradizione che non riusciremo mai a condividerlo per intero. Dobbiamo anzi operare una scelta fra tanta ricchezza per decidere cosa offrire in quella determinata festa».
In parrocchia, per la festa della Candelora, i bambini usciranno in processione dalla sacrestia insieme a tutti gli adulti, cantando con le candele accese O luce radiosa. Questa settimana due riunioni per loro: una riunione al mercoledì sul canto O luce radiosa ed al giovedì la liturgia. E non serve altro. La catechesi è tornata ad essere esperienziale.
Cercare la vocazione come fa una ragazza innamorata, di A.L.
Ascolto un padre gesuita. Che meraviglia le sue parole:
«Non si aspetta la propria vocazione, mettendosi in ginocchio e chiedendo a Dio di dirci cosa vuole che noi facciamo. Così nessuno troverà mai la propria vocazione.
La maturazione della vocazione piuttosto è simile alla storia di una giovane che è innamorata del suo ragazzo. Non si mette lì ad aspettare che lui la cerchi. Si inventa lei ogni occasione per incontrarlo. Si domanda continuamente nel proprio cuore come potrà donarsi di più a lui, come potrà incontrarlo, come potrà amare ciò che egli ama. E non appena vede che può fare qualcosa per lui, subito si precipita farlo.
Così è della vocazione cristiana. L’uomo che è stato conquistato dal Signore e dal suo amore, è inquieto perché vuole donargli tutto. E si inventa ogni occasione per donarsi di più a lui. E crea lui stesso ogni possibilità per amarlo di più e per amare di più le persone che Egli ama.
Non attende. Bensì si incammina. E si slancia».
Wisława Szymborska. In memoria, di A.L.
Ho conosciuto la Szymborska attraverso Krzysztof Kieślowski. Il grande regista affermava di essersi ispirato alle sue poesie, quando rappresentava una figura misteriosa che determinava il dramma delle vite umane descritte in Decalogo. Era quella figura che appariva ogni volta un angelo, un demone o il destino cieco?
La Szymborska pone sempre i suoi lettori dinanzi al dramma della libertà e delle scelte che ogni essere umano deve affrontare per vivere. Ed ogni scelta è per lei passibile di infinite interpretazioni, come ne La moglie di Lot:
Guardai indietro, dicono, per curiosità,
ma potevo avere, curiosità a parte, altri motivi.
Guardai indietro rimpiangendo la mia coppa d'argento.
Per distrazione - mentre allacciavo il sandalo.
Per non dover più guardare la nuca proba
di mio marito, Lot.
Per l'improvvisa certezza che se fossi morta
non si sarebbe neppure fermato.
Per la disubbedienza degli umili.
Per tendere l'orecchio agli inseguitori.
Colpita dal silenzio, sperando che Dio ci avesse ripensato.
Le nostre due figlie stavano già sparendo oltre la cima del colle.
Sentii in me la vecchiaia. Il distacco.
La futilità del vagare. Il torpore.
Guardai indietro posando per terra il mio fagotto.
guardai indietro non sapendo dove mettere il piede.
Sul mio sentiero erano apparsi serpenti,
ragni,topi di campo e piccoli avvoltoi.
Non più buoni né cattivi - ogni cosa vivente
semplicemente strisciava e saltava in un panico collettivo.
Guardai indietro per solitudine.
Per la vergogna di fuggire di nascosto.
Per la voglia di gridare, di tornare.
O forse fu solo un colpo di vento
che mi sciolse i capelli e alzò la veste.
Mi parve che dai muri di Sodoma lo vedessero
e scoppiassero in risa fragorose più e più volte.
Guardai indietro per l'ira.
Per saziarmi della loro grande rovina.
Guardai indietro per tutti questi motivi.
Guardai indietro non per mia volontà.
Fu solo una roccia a girarsi, ringhiando sotto di me.
Fu un crepaccio a tagliarmi d'improvviso la strada.
Sul bordo trotterellava un criceto ritto su due zampette.
E fu allora che entrambe ci voltammo a guardare.
No, no. Io continuavo a correre,
mi trascinavo e sollevavo,
finché il buio non piombò dal cielo,
e con esso ghiaia rovente ed uccelli morti.
Mancandomi l'aria, mi rigirai più volte.
Chi mi avesse visto poteva pensare che danzassi.
Non escludo che i miei occhi fossero aperti.
È possibile che io sia caduta con il viso rivolto alla città.
Resta lancinante nella Szymborska la sorpresa della vita: l’esistenza non è solo interpretazione, ma realtà, seppure incomprensibile, come in Sulla morte, senza esagerare:
Non s'intende di scherzi,
stelle, ponti,
tessitura, miniere, lavoro dei campi,
costruzione di navi e cottura di dolci.
Quando conversiamo del domani
intromette la sua ultima parola
a sproposito.
Non sa fare neppure ciò
che attiene al suo mestiere:
né scavare una fossa,
né mettere insieme una bara,
né rassettare il disordine che lascia.
Occupata ad uccidere,
lo fa in modo maldestro,
senza metodo né abilità.
Come se con ognuno di noi stesse imparando.
Vada per i trionfi,
ma quante disfatte,
colpi a vuoto
e tentativi ripetuti da capo!
A volte le manca la forza
di far cadere una mosca in volo.
Più di un bruco
la batte in velocità.
Tutti quei bulbi, baccelli,
antenne, pinne, trachee,
piumaggi nuziali e pelame invernale
testimoniano i ritardi
del suo svogliato lavoro.
La cattiva volontà non basta
e perfino il nostro aiuto con guerre e rivoluzioni
è, almeno finora, insufficiente.
I cuori battono nelle uova.
Crescono gli scheletri dei neonati.
Dai semi spuntano le prime due foglioline,
e spesso anche grandi alberi all'orizzonte.
Chi ne afferma l'onnipotenza
è lui stesso la prova vivente
che essa onnipotente non è.
Non c'è vita
che almeno per un attimo
non sia immortale.
La morte
è sempre in ritardo di quell'attimo.
Invano scuote la maniglia
d'una porta invisibile.
A nessuno può sottrarre
il tempo raggiunto.
Così disse, nella stessa direzione, nel discorso tenuto in occasione del conferimento del premio Nobel:
Il mondo, qualunque cosa noi ne pensiamo, spaventati dalla sua immensità e dalla nostra impotenza di fronte a esso, amareggiati dalla sua indifferenza alle sofferenze individuali (di uomini, animali, e forse piante, perché chi ci dà la certezza che le piante siano esenti dalla sofferenza?), qualunque cosa noi pensiamo dei suoi spazi trapassati dalle radiazioni delle stelle, stelle intorno a cui si sono già cominciati a scoprire pianeti (già morti? Ancora morti?), qualunque cosa pensiamo di questo smisurato teatro, per cui abbiamo sì il biglietto d'ingresso, ma con una validità ridicolmente breve, limitata dalle due date categoriche, qualunque cosa ancora noi pensassimo di questo mondo – esso è stupefacente.
In Nulla è in regalo medita sul mistero dell’esistenza umana e di quell’“anima” che è in fondo la voce di una protesta che si leva, mentre dalle altre creatura pure animate nessuna voce si è mai destata a chiedere conto, a chiedere “perché”:
Nulla è in regalo, tutto è in prestito.
Sono indebitata fino al collo.
Sarò costretta a pagare per me
con me stessa,
a rendere la vita in cambio della vita.
È così che è stabilito,
il cuore va reso
e il fegato va reso
e ogni singolo dito.
È troppo tardi per impugnare il contratto.
Quanto devo
Mi sarà tolto con la pelle.
Me ne vado per il mondo
tra una folla di altri debitori.
Su alcuni grava l'obbligo
di pagare le ali.
Altri dovranno, per amore o per forza,
rendere conto delle foglie.
Nella colonna Dare
ogni tessuto che è in noi.
Non un ciglio, non un peduncolo
da conservare per sempre.
L'inventario è preciso,
e a quanto pare
ci toccherà restare con niente.
Non riesco a ricordare
dove, quando e perché
ho permesso che aprissero
questo conto a mio nome.
La protesta contro di esso
la chiamiamo anima.
E questa è l'unica voce
che manca nell'inventario.
Wisława Szymborska è morta il 1° febbraio 2012, senza mai sciogliere definitivamente il dilemma se sia un destino cieco ad abbracciare la nostra vita, o se sia possibile sperare che il nostro amore e la nostra fatica hanno un significato che li abbraccia e che ritroveremo un giorno. Non ha, però, escluso questa seconda possibilità. Nella preghiera la accompagniamo, perché possa ora riconoscerne la bellezza.
Canzoni d’amore ed esegesi del Cantico dei cantici, di A.L.
Un amico sacerdote dell’Oratorio mi fa riflettere sul fatto che, a partire dal Cantico dei cantici, le canzoni d’amore possono essere lette per immaginare il rapporto che Dio instaura con l’uomo.
Mi fa sentire Mi sei scoppiato dentro al cuore, cantata da Mina. Potrebbe riferirsi tranquillamente a Zaccheo, mentre parla dell’incontro fra due innamorati. La donna – ma anche Zaccheo - canta che tutto è accaduto “all’improvviso”, quando niente sembrava preparare ciò che in realtà è poi avvenuto. Ed è da quell’incontro e solo a partire da quel momento che ormai può dire “mi sento viva”!
Invece, ne La mente torna, si può immaginare la sposa del Cantico che è tentata di lasciar perdere il suo amore, quando dice: “Fuori c’è un mondo che ormai mi aspetta, io lo so. Io voglio vivere anche per me, scoprire quel che c’è, io voglio”.
Ma poi lo sposo torna a farsi sentire ed allora: “Apro già la porta, ma arrivi tu, la mente torna”. L’esperienza dell’amore vero sconfigge la tentazione e la donna torna a cantare: “Intorno a me lo spazio è immenso che persino io non ho più senso. Il mondo è acceso. Non ci sono più per me esitazioni”. Poi la tentazione si fa largo di nuovo, finché lei canta ancora: “Mi parli tu, la mente torna”.