Neve, di A.L.
Il Centro culturale Gli scritti (4/2/2012)
Camminare al mattino nella neve, mentre tutti ancora dormono. La creazione è tornata stanotte a coprire il progresso dell’uomo. Tutto sembra intatto, come era al principio. Ciò che è sporco, è coperto da un manto. Dio ha steso un manto sulle sporcizie degli uomini.
Fra poco la neve si sporcherà di nuovo. Non sarà più bianca. In un attimo tutto scomparirà. Tutto tornerà come prima. Sembrerà nuovamente più vero il rumore del silenzio, il grigio del bianco.
Eppure il profeta ricorda che se
«anche se i vostri peccati fossero come scarlatto,
diventeranno bianchi come neve.
Se fossero rossi come porpora,
diventeranno come lana» (Is 1,18).
Quel manto dice la verità del nostro essere, più di tante altre realtà che sembrano eterne e che invece passano prima di quel manto che resta. E che copre. E ricopre. E perdona.
Quattro suore indiane escono di casa. Una si inginocchia nella neve. Un’altra si siede nel bianco. Senza alcun indumento adatto. Eppure dentro quella neve. Come a volerne farne parte. Anche dei bambini più avanti si rotolano nella neve, incuranti dei genitori.
C’è un altro sguardo, c’è un altro manto, più ampio dei nostri manti. Di quel manto vuoi fare parte, vuoi esserne abbracciato. Quel manto dice che qualcosa è possibile. Che la creazione è più grande del nostro progresso che, per quanto splendido, non è la realtà stessa. E che la salvezza è più grande ancora della creazione. Più grande di quel candore che vedi.
La prendi in mano la neve. La tocchi, come fanno i bambini. Quella neve che può fare anche piangere. Perché ricorda ciò che non sempre si vede.