Neve, dolce casa, di Davide Rondoni
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Riprendiamo da Avvenire del 3/2/2012 un articolo scritto da Davide Rondoni. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (3/2/2012)
Mentre si parla di treni bloccati, di stadi da spalare, di strade infide, molti dei nostri bambini sono a casa, bloccati dalla neve.
E le case diventano per un po’ dei luoghi 'strani', paradossalmente. Quasi con una presenza ingombrante. Con gli spalaneve e con gli eserciti dei volontari si mobilita pure un esercito di altri volontari per fare fronte a questa 'emergenza casa'. E un nugolo di nonne, suocere, cognati, parenti più o meno stretti si mobilita per soccorrere le mamme lavoratrici in difficoltà e i padri già abbastanza nervosi per i parabrezza ghiacciati, i marciapiedi infidi, i colleghi che non si presentano o i treni in ritardo.
Le case per questi nostri figli che guardano fuori i fiocchi cadere e cadere e cadere tornano ad essere più del solito nido e rifugio. Per qualche giorno sono luoghi da cui non esser buttati fuori a forza come quasi tutte le mattine con pesanti zaini sulle spalle contro la città che urla di traffico e inghiottisce gli ultimi dolci veli del sogno. Le case da cui troppo spesso si fugge per andare a scuola, a sport, a inglese, a feste, al cinema, in vacanza, a fare un giro etc. etc. si chiudono in un abbraccio strano, soffice e ovattato.
I cortili o i prati che si trovano a tiro diventano piste o campi di battaglia per le palle di neve. I piccoli e i ragazzini si inzuppano felicemente, anche se poi le madri non sono troppo felici di quei panni zuppi, delle scarpe che grondano e delle mani gelate con gocce al naso e capelli da asciugare. I mattini senza scuola si devono riempire con un po’ di sonno in più, qualche anticipo di compito, la seduzione dei computer e della tv, magari qualche lettura. Il tempo sembra dilatato. Le stanze sono quasi stupite d’essere abitate alle dieci o alle undici e mezza del mattino.
Non si è malati, non si deve stare a letto. Si sta a casa. In casa. La neve riporta a casa le case. E le fa riscoprire un po’, belle o scalcagnate che siano, come i luoghi dove la vita custodisce se stessa. Se c’è la bufera fuori, la casa è il nido dove la vita trova protezione, dove non si è lasciati soli a fronteggiare il gelo.
E il gelo di questi giorni è anche metafora di tante gelate che ci arrivano dalla vita, dalla inimicizia, dalla malora che tutti sappiamo contribuire a far nevicare sulle vite di tutti. La casa dunque, il luogo più solito e scontato in questi giorni può essere riscoperto nella sua natura profonda, radicale e semplice.
Certo, la prossimità forzata può pure produrre qualche screzio in più. Sale la temperatura delle arrabbiature. Può scattare più rapida l’irritazione. Ma anche questo fa parte di una esperienza della casa che non è riducibile né forse comprensibile in alcuna analisi sociologica o psicologica.
Ogni casa è un mondo. Un cosmo di cui fanno parte anche caos e disordini. È un mistero feriale, quotidiano. La neve che ha 'chiuso' molti in casa potrebbe essere un’occasione per stupirsi di questo mistero. Basta un poco di lucidità e di disponibilità allo stupore per guardare con occhi sgranati e allegri lo strano mistero che, per le vie di legami fondati sulla libertà e sul sangue, tiene insieme nello stesso spazio persone così diverse, così capaci spesso di dirsi le cose più dure e di abbracciarsi nel modo più grande.
In un momento in cui sembrava che gli occhi di tutti fossero puntati sullo stato di salute dei grandi sistemi (la finanza mondiale, l’Europa, la nazione…) ecco arriva la neve, delicata ma potente e dispotica e ci costringe a guardare non lontano ma vicinissimo.
Non a un grande sistema ma a un 'sistema' minimo e grandioso. Alla cellula, alla casa. È lì che la vita cerca se stessa, la sua prima e più misteriosa gloria.
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