Che cosa c’entra il Natale con un Paese davvero depresso. Un articolo di Davide Rondoni (dalla rassegna stampa)
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Che cosa c’entra il Natale con un Paese davvero depresso
di Davide Rondoni
Riprendiamo da Avvenire del 20/12/2007, per il progetto Portaparola, un articolo di Davide Rondoni
Dieci per cento in meno di spese per Natale. Meno panettone. Meno viaggi sulla neve o al caldo. Così dicono i sondaggi, pubblicati da esercenti che di certo erano interessati a evitare quel calo.
Colpa dell’euro, colpa del governo, colpa dei cattivi negozianti, dei produttori di materie prime, o dei mercati internazionali. Colpa di su e colpa di giù. Dovremo dedurre anche da questi dati che l’italiano, come han detto i giornali americani accogliendo il presidente Napolitano, sta un poco depresso? In che cosa consiste la 'depressione' italiana bisogna comprenderlo bene.
Gli indicatori, dallo stato di scuola e università al recente sorpasso ad opera della Spagna, sono chiari. Esportiamo allenatori in Inghilterra, ex modelle in Francia, ma questa etichetta di depressi che gli americani ci hanno affibbiati senza tante cortesie brucia di un bruciore salutare. E’ legittimo esaltarsi per il successo internazionale della nostra diplomazia nella moratoria per la pena di morte, sperando che non sia una sola operazione di facciata e monca dal punto di vista dei diritti.
Ma è altrettanto urgente vedere se il Natale che viene può servire a qualcosa a riguardo di questa depressione.
Insomma, si può parlar del Natale non solo come occasione buona in cui misurare attraverso consumi, mode o addirittura manie, il polso di una nazione? Come se un’idea della salute del Paese la dessero la quantità di tortellini o di cappone ingurgitati durante le feste. Non ne posso più di sentir parlare del Natale come una sorta di momento magico per addetti ai sondaggi, alle misure, per i preparatori di schede sociologiche, di carte statistiche. Se era per le previsioni di sociologi, statistici, di maghi e sapienti dell’epoca, il Natale manco ci sarebbe stato.
Quella nascita è stato il Grande Imprevisto. Era un evento atteso, ma da pochi nel mondo, e i loro sociologi e gli statisti di allora non lo prevedevano davvero così. E ora invece si gettano addosso al Natale come se fosse una festa dell’analista dei consumi, un festival dello statistico dei costumi.
Mestieri nobili, se usati nobilmente. Ma guai alla nazione che si fa misurare la pressione o la depressione solo sulla base dei consumi. Il Natale, dunque, può servire a qualcosa ad un paese depresso, o sarà solo un’occasione in più per guardarsi allo specchio e compiangersi ancora un po’ - visto che il lamento è uno degli sport nazionali preferiti? La questione è seria. Masticheremo un po’ più lentamente il bollito, perché il suo gusto duri più a lungo, come consolazione alla demoralizzazione che ci attanaglia? Rimpiangendo l’Italia che sempre ieri era migliore?
Oppure ci faremo colpire in petto dalla novità del Natale? Ricordo un ragazzo della Sierra Leone. Era un ex soldatino. Aveva molti motivi per essere depresso. Ma disse che l’aver scoperto Gesù gli aveva fatto venir voglia di fare l’elettricista. Voglia di lavorare. Lo dicevano anche le ragazze tirate via dalla strada da don Benzi.
Ecco cosa c’entra il Natale con il rischio di un paese depresso. Non si tratta di una bella favola religiosa, beato chi ci crede e chi s’è visto s’è visto. Il Natale, se riconosciuto per quel che è, può essere una vera benzina nel motore dell’Italia. Una speranza nei cuori, un rinnovato amore per il destino e per il particolare. Il contrario della depressione non è galvanizzare i consumi. Si chiama speranza. Una virtù architettonica, costruttiva. In Italia ce ne sono mille e mille esempi.
Statisticamente è difficile misurare la speranza. Ma quando incontri un imprenditore, un professore, una madre che ne hanno, li riconosci nel mucchio dei depressi e dei lamentosi. Ora che ci han dato dei depressi capiamo meglio perché nella grande notte di Natale ad un certo punto si parla di uomini e donne di 'buona volontà'. Non si tratta di gente che ha buone intenzioni - di quelle ci si lastricano le strade dell’inferno. Ma è gente che ogni giorno viene mossa al proprio compito con passione da una speranza certa, da un annuncio di bene. Un annuncio che è ben strano. Non è una buona idea, nemmeno un richiamo morale. Natale è una parola ormai strana, suona quasi come un periodo, che so Capodanno, Ferragosto… Invece è diversa, perché indica un fatto e un volto preciso. Vuol dire: quella nascita.
Dovremmo cambiare parola. Non più natale, ma nascita. Si capirebbe meglio. Da festeggiare con gli amici e i cari con tutto il cappone possibile. Ma se anche è un po’ meno - e se anche se ce ne togliamo ancora un po’ da condividere con chi è più povero - non significa affatto che si è depressi, anzi. Il problema del Paese non sono le tavole meno imbandite, ma le orbite di speranza vuote.