Svelato il "mistero cristiano". Sources Chretiennes rivela autore e datazione della Lettera a Diogneto, di Antonio Gaspari
Riprendiamo dall’Agenzia di stampa Zenit del 7/1/2012 un articolo scritto da Antonio Gaspari. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti sulla Lettera a Diogneto vedi su questo stesso sito Appunti sulla Lettera a Diogneto, di Andrea Lonardo.
Il Centro culturale Gli scritti (8/1/2012)
C’è uno scritto apologetico che spiega che cos’è il cristianesimo meglio di qualsiasi testo moderno. Si chiama “lettera a Diogneto”, ma un fitto mistero avvolge questo piccolo scritto, del quale l’autore, la data, l’origine e il carattere stesso sono tuttora oggetto di vive discussioni.
Per spiegare il “mistero cristiano” l’ignoto autore scrive, ad un destinatario di nome Diogneto: “I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale”.
E ancora: “Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Non sono conosciuti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati ed onorano. Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita…”.
Verità che mostrano lo stupore che i cristiani generavano tra i pagani del tempo, ma anche concetti che sono di grandissima attualità, soprattutto nel contesto di un progetto di “Nuova Evangelizzazione”.
Dopo “l’editio princeps” (prima edizione stampata) del 1592 la “Lettera a Diogneto” è stata ripubblicata per intero o in parte almeno 65 volte, la sua bibliografia oltrepassa la cifra di 250 pubblicazioni.
La sua storia ha dell’incredibile e del leggendario. Attorno al 1436 un giovane chierico di nome Tommaso d'Arezzo, che stava a Costantinopoli per studiare il greco, trovò il manoscritto in una pescheria in mezzo ad un mucchio di carte da imballo.
Il chierico in questione partì poi missionario presso i musulmani e cedette il manoscritto a un teologo domenicano il futuro cardinale Giovanni Stojkovic di Ragusa. Quest’ultimo lo portò con sé al Concilio di Basilea e lo passò all'umanista Giovanni Reuchlin. Tra il 1560 e il 1580 il manoscritto venne trovato nell'abbazia di Marmoutier in Alsazia, e tra il 1793 e il 1795 fu trasferito alla Biblioteca municipale di Strasburgo.
Il 24 agosto 1870, durante la guerra franco-prussiana, il fuoco dell'artiglieria prussiana incendiò la biblioteca, nel quale andò distrutto anche il manoscritto della lettera.
Nonostante la perdita dell’originale, il testo della lettera è certo perché nel XVI secolo ne vennero fatte almeno tre copie. La prima eseguita probabilmente nel 1579 da Bernard Haus per conto di Martin Crusius, fu ritrovata tre secoli dopo da C. I. Neumann e si trova ancora oggi nella Biblioteca universitaria di Tubinga. La seconda fu eseguita nel 1586 da Henri Estienne per l'editio princeps dell'opera, che venne pubblicata nel 1592: fitta di note di lettura e di proposte di correzioni, essa si trova oggi a Leida. La terza, eseguita da J. J. Beurer tra il 1586 e il 1592, si è perduta, ma l'autore l'aveva comunicata, con le proprie annotazioni, a Estienne e a Friedrich Sylburg, e quest'ultimo pubblicò una propria edizione nel1593. I due studiosi segnalarono nelle loro edizioni una parte delle note di Beurer.
Per svelare il mistero, raccontare la storia, cercare le fonti, identificare l’autore ed il destinatario, le autorevoli edizioni francesi “Sources Chrétiennes” hanno pubblicato il libro “A Diogneto”, con introduzione edizione critica e commento dello specialista in storia del cristianesimo antico Henri-Irénée Marrou. Il libro in questione è stato tradotto e pubblicato Italia dalle Edizioni San Clemente e dalle Edizioni Studio Domenicano. La traduzione è stata fatta da Maria Benedetta Artioli.
Secondo l’autore, “la lettera a Diogneto” potrebbe essere stata scritto ad Alessandria in un periodo compreso tra gli anni 90 e 200, e il suo destinatario dovrebbe essere il Procuratore Equestre Claudio Diogneto che nel 197 era un facente funzione del Gran Sacerdote d’Egitto.
Per Henri-Irénée Marrou il testo presenta “un’incontestabile affinità globale e punti di contatto parziali ma numerosi con l’insieme della letteratura apologetica degli anni 120-210, molto simile ai frammenti della ‘predicazione di Pietro’ e Aristide” Per anni questo testo è stato attribuito a San Giustino, ma ora si è certi che il filosofo e martire Giustino non c’entri nulla.
L’autore è probabilmente un contemporaneo di Ippolito di Roma e di Clemente di Alessandria e secondo il libro di Sources Chrétiennes, sarebbe Panteno, maestro di Clemente.
Di Panteno Clemente scrive “L’ultimo che ho incontrato, ma il primo per potenza. L’ho scoperto in Egitto dove era nascosto…Era una vera ape di Sicilia, coglieva i fiori nella prateria dei profeti e degli apostoli e generava nelle anime dei suoi uditori un puro miele…”
Nella conclusione Marrou spiega che non stupisce l’interesse al cristianesimo di un amministratore romano, in un periodo di conversioni in cui la stessa imperatrice madre Julia Mamaea (o Giulia Mamea) faceva appello all’insegnamento di Origene.