Egitto, intrappolati nella morsa delle Primavere, di Camille Eid
Riprendiamo da Avvenire dell’1/1/2012 un articolo scritto da Camille Eid. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (3/1/2011)
Prima una rissa al liceo tra uno studente copto e alcuni suoi compagni musulmani che l’accusavano di avere pubblicato su un social network alcune vignette considerate offensive dell’islam; poi l’attacco di decine di abitanti del villaggio per dare fuoco alle tre abitazioni di proprietà della famiglia. L’episodio, avvenuto giovedì nel villaggio di Baheeg, nell’Alto Egitto, è solo l’ultimo di una lunga serie di attacchi che hanno trasformato la gioia dei copti per la fine della dittatura di Mubarak in pura angoscia e sconforto.
A conti fatti, le cose non sembrano affatto migliorate. L’anno 2011 era iniziato nel peggior modo possibile, con un vile attacco compiuto da un attentatore suicida contro la chiesa dei Santi, nel quartiere alessandrino di Sidi-Bishr, proprio durante la Messa di mezzanotte: 22 fedeli uccisi e 120 feriti. All’inizio le autorità puntarono il dito contro al-Qaeda e i movimenti jihadisti palestinesi, ma poche settimane dopo, a rivoluzione quasi conclusa, si scoprì la mano dei servizi legati al ministro Habib al-Adli, che intendevano alimentare una strategia della tensione.
Nel “Nuovo Egitto” nato dalla Primavera araba gli atti di violenza e di vessazione a danno dei cristiani non sono finiti. Alla recente tavola rotonda tenutasi al Parlamento europeo di Bruxelles sulla persecuzione dei cristiani in Medio Oriente, il gesuita egiziano Henri Boulad ha tracciato una dettagliata contabilità dell’orrore contro quella che viene considerata la maggiore comunità cristiana del mondo arabo (un cristiano arabo su due è copto).
Undici cristiani massacrati a Sharona il 30 gennaio; attacco al convento Anba Bishoy; attacco contro cristiani su un treno di Minya; attacco contro la chiesa san Giorgio di Rafah; attentato al convento san Macario di Fayum; assassinio (l’8 marzo) da parte dei salafati di sei copti che protestavano contro l’incendio della chiesa di Sol, a sud del Cairo; due chiese bruciate (7 maggio) a Embaba, al Cairo: una decina di morti, 200 feriti; violenze (il 24 giugno) contro i cristiani di Abu Korkas che commemoravano la Passione di Cristo: sei uomini uccisi, diverse donne scaraventate dalle finestre, case saccheggiate e bruciate; orecchio tagliato a un copto di Assiut; attacco di tremila salafiti (inizio settembre) contro la chiesa di Marinab, vicino ad Assuan.
Per placare gli animi, il parroco Makarios Boulos accetta di ritirare la croce e le campane della chiesa, ma i musulmani presenti alla “riunione di riconciliazione” esigono anche la distruzione di sei arcate che reggono il tempio. A metà ottobre, il diciassettenne Ayman Nabil è pestato a morte dai compagni del liceo di Mallawi, provincia di Minya, perché si è rifiutato di nascondere la croce tatuata al polso. Anzi, ha esibito un’altra croce che portava al collo. Il peggio arriva quando, il 9 ottobre, i blindati dell’esercito e della polizia militare intervengono nel quartiere cairota di Maspero per disperdere migliaia di copti che manifestavano contro i soprusi subiti: 30 morti e 329 feriti. La televisione di Stato e le autorità incriminano naturalmente i cristiani. Per i copti è un trauma senza precedenti, che porta molti a meditare di lasciare definitivamente l’Egitto.
La successiva vittoria della Fratellanza musulmana e dei partiti salafiti alle prime elezioni del dopo-Mubarak non lascia presagire un miglioramento del trattamento dei cristiani sotto i cieli del Nuovo regime. Queste e altre perplessità inducono le comunità cristiane orientali a ponderare con estrema cautela il giudizio sulle rivolte in corso.
In Siria, molti cristiani temono che la caduta del regime possa significare una retrocessione dei cristiani a cittadini di serie B. Altri temono che si possa ripetere nel Paese lo scenario iracheno, dove il 60 per cento di cristiani, all’indomani della caduta di Saddam Hussein, è stato costretto a fuggire per mancanza di sicurezza. E ora che il Natale copto si avvicina – cade il 7 gennaio – l’allarme torna a salire.
I Fratelli musulmani hanno offerto di organizzare delle “ronde” a difesa delle chiese. Il patriarca copto Shenouda ha declinato con garbo l’offerta, ma ha invitato alla celebrazione anche rappresentanti dei partiti islamici. Suscitando non pochi malumori nella comunità. L’Unione dei giovani di Maspero ha già annunciato per il 5 gennaio un sit-in nella cattedrale contro la presenza di islamisti alla cerimonia.