Marco, il vangelo romano e Luca, opera di un medico: ancora dialoghi al villino Staderini (di A.L.)
Le brevi note che seguono sono tratte dalle chiacchierate dei preti del villino Staderini. Le abbiamo trascritte per fare memoria di questi incontri estemporanei. Per appunti su incontri precedenti, vedi: Dialoghi sul Gesù storico ed il nuovo libro del papa Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, al villino Staderini (di A.L.)
La tradizione patristica afferma spesso che Marco avrebbe scritto il suo vangelo a Roma o che, comunque, avendo seguito Pietro a Roma, avrebbe avuto contatti stretti con il mondo latino (anche se non bisogna dimenticare che il mondo latino era presente nella stessa Giudea): l’autore più antico è Papia di Gerapoli che scrive: “Marco, divenuto interprete di Pietro, scrisse accuratamente per quanto poté ricordare, non però in ordine, le cose dette e fatte dal Signore” e con lui concordano successivamente Ireneo, Girolamo, Epifanio, mentre Eusebio e Giovanni Crisostomo parlano, invece, di una scrittura alessandrina.
Una serie di indizi linguistici sembrano avvalorare questa tradizione romano-latina.
Mc 12, 42 è l’unico ad utilizzare nel brano dell’obolo della vedova il termine quadrante, moneta romana di rame corrispondente ad 1/64 di un denaro, in greco κοδραντης: “vi gettò due spiccioli, cioè un quadrante” (Mt 5, 26 utilizza il termine ma in un altro luogo).
Mc 15, 15, forse il passo più latineggiante, trasporta in greco l’espressione satisfacere con una trasposizione letterale, ικανον ποιειν, non abituale nel greco: “volendo dare soddisfazione alla folla”.
Le ore della passione sono scandite secondo la consuetudine romana: “era l’ora terza quando lo crocifissero”, ωρα τριτη, cioè le nove del mattino (Mc 15, 25), “venuta l’ora sesta si fece buio su tutta la terra”, γενομενης ωρας εκτης, cioè mezzogiorno (Mc 15, 33), “all’ora nona Gesù gridò a gran voce... e spirò”, τη ενατη ωρα, cioè alle tre del pomeriggio (Mc 15, 34).
In Mc 8, 26 ancora, la donna alla quale Gesù guarisce la figlioletta viene indicata come “siro-fenicia”, poiché i romani distinguevano la Siro-fenicia” e la “Libico-fenicia” (nel passo parallelo di Matteo la donna è detta semplicemente cananea).
Luca utilizza dei termini che potrebbero realmente indicare le sue competenze mediche. Il testo base a cui si fa riferimento per la sua professione è Col 4, 14 nel quale la lettera parla di “Luca, il caro medico”, che è con Paolo.
In effetti, Luca è l’unico evangelista ad utilizzare l’espressione “trombi di sangue”, θρομβοι αιματος, in Lc 22, 44. L’evangelista descrive Gesù nell’orto del Getsemani e dice che “il suo sudore diventò come gocce di sangue” (il fenomeno viene chiamato dal testo e nella letteratura ‘ematoidrosi’).
Un secondo testo che viene spesso citato è negli Atti, quando il padre di Publio, ‘primo’ dell’isola di Malta –una magistratura maltese- viene colpito da febbri e da dissenteria, δυσεντεριον, in At 28, 8.
Si può fare anche riferimento alla famosa espressione, fortemente critica verso la categoria dei medici, utilizzata da Marco, il più antico dei vangeli: Mc 5, 25-34 parla, infatti, di “una donna che era da dodici anni affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi peggiorando”. Matteo, nella pericope sinottica, omette semplicemente il riferimento ai medici (Mt 9, 20-22), mentre Luca dice, in Lc 8, 43-48, “una donna che nessuno era riuscito a guarire”, glissando sulle responsabilità mediche!