“Se il museo è un luna park”. Un’intervista di Fabio Gambaro a Jean Clair
Riprendiamo da Repubblica del 1°/2/2008 un’intervista di Fabio Gambaro a Jean Clair. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (7/12/2011)
"La deriva mercantile trasforma l'arte in spettacolo e i musei in luna park" Per Jean Clair questa è purtroppo una certezza. Il celebre critico e storico dell'arte lo dice senza giri di parole in un polemico pamphlet appena giunto nelle librerie francesi, Malaise dans les musées (Flammarion, pagg. 140 euro 12),suscitando accese discussioni dentro e fuori il mondo dell’arte. A spingerlo a pubblicare quest’atto d’accusa sulla crisi dei musei è il recente accordo siglato tra Abu Dhabi e il Louvre, il quale, in cambio di 700 milioni di euro, affitterà il suo nome e diverse opere al nuovo museo dell’emirato.
"Questo progetto dissennato è solo la manifestazione più spettacolare di una trasformazione radicale in corso dappertutto in Europa in nome della redditività dell’arte », spiega lo studioso francese che in passato ha diretto il Museo Picasso di Parigi ed oggi sta preparando una mostra di Zoran Music a Barcellona e un’altra dedicata a Balthus in Svizzera. «I musei stanno diventando cenotafi, involucri vuoti, le cui collezioni sono in giro per il mondo. Per ora in affitto, ma presto potrebbero anche essere messe in vendita. Si pensi al Museo Guggenheim di New York: molte delle sue opere vengono affittate ad altri musei e a disposizione dei visitatori resta ben poco. Di fronte a questa situazione che snatura radicalmente il progetto iniziale del museo, alcuni finanziatori hanno ritirato il loro appoggio».
Eppure in Europa si guarda spesso al modello Guggenheim, come un esempio da seguire...
«Perché piace l’idea che la gestione dell’arte possa diventare redditizia. Ma la gestione contabile applicata agli oggetti culturali produce una logica che non ha più niente a che vedere con la missione di un museo, che è quella di arricchire, conservare e trasmettere la memoria artistica di un paese alle generazioni future».
I musei però hanno bisogno di fondi...
"Naturalmente, ma la strada da seguire non è quella dell’impero Guggheneim, che per altro non è neppure così redditizio come si crede. La seconda sede di New York, quella di Soho, è stata chiusa. E’ fallito anche il progetto di Las Vegas, con il suo museo all’interno di un casinò, a sua volta al centro di un enorme complesso alberghiero che riproduce Venezia. Altri progetti sono stati abbandonati o sospesi. Le uniche sedi esterne che funzionano sono quella di Venezia, che però ha uno statuto particolare, e quella di Bilbao, ma più per l’edificio disegnato da Gehry che per le opere esposte. In ogni caso, prevale sempre la logica dell’evento spettacolare. A Bilbao, il pubblico corre a vedere un edificio associato a un nome di grido, ma poi ignora il museo locale dove pure ci sono alcuni magnifici quadri di Rubens, Rembrandt e Gentileschi»
Per lei, dunque, il Louvre ad Abu Dhabi, tradisce la sua missione ?
"Purtroppo sì. L’unica finalità è quella del profitto. Il museo diventa una marca di lusso da cedere in franchising. In nome del denaro, l’arte è ridotta ad evento per attirare le folle. Ma così i musei diventano luoghi di divertimento più che di conoscenza. Il successo di certe mostre si spiega solo così».
In effetti, il 2007 è stato un anno di affluenze record...
"Non è questo il modo di democratizzare l’arte, questa è solo massificazione. Bisognerebbe piuttosto generalizzare la storia dell’arte nelle scuole, affinché tutti abbiano gli strumenti culturali per comprendere le opere. Pensare solo a riempire i musei con folle di visitatori non serve a nulla»
Non teme di essere accusato di difendere una concezione elitaria dell'arte
"Non difendo un diritto di pochi. Dico solo che l’apertura dei musei a tutti dovrebbe essere accompagnata da una vera politica d’educazione. L’arte purtroppo domanda uno sforzo. Per comprendere e apprezzare determinate opere occorra avere un minimo di conoscenze. Invece, si pensa che il semplice fatto di guardare un quadro consenta uno stato d’estasi, quasi che si trattasse di un oggetto magico. L’oggetto artistico non è un oggetto magico. Purtroppo, questa illusione di semplicità e immediatezza domina la cultura di massa. Oggi tutto deve essere facile. Il che è una forma di disprezzo nei confronti del nostro passato».
Cosa pensa del successo dei numerosi musei d’arte contemporanea sorti di recente ?
"Il pubblico è attratto dall’arte contemporanea, perché le opere sono curiose e bizzarre. Ciò che è incomprensibile affascina sempre. Non essendo più capaci di leggere le opere del passato, pensiamo che la relazione con l’arte contemporanea sia più facile. Di fronte ad essa, viviamo l’illusione di trovarci immediatamente al centro del fenomeno creativo. Ci diciamo che basta guardare per capire, che ciascuno può leggere l’opera come vuole, senza bisogno di alcuna preparazione. La regola fondamentale diventa quella dello sguardo che crea l’opera, una regola che consente di liberare il pubblico da ogni sforzo e da ogni senso di colpa. Secondo me, è un segno dell’oscurantismo contemporaneo. Senza dimenticare che molte opere recenti, passato lo shock della scoperta, qualche anno dopo ci sembrano inguardabili. E ciò nonostante le loro quotazioni».
Senza mercato l’arte non esiste, come sono oggi le relazioni tra i due termini ?
"L'80% delle opere conservate dai musei pubblici proviene dalle donazioni di collezionisti privati. Sono loro i veri artefici del patrimonio dei musei. In passato, i collezionisti si rivolgevano ai galleristi, appoggiandosi anche al lavoro dei critici. Oggi sono le grandi case d’aste a determinare il mercato. Gli acquisti si fanno durante le aste pubbliche di Christie’s o Sotheby’s, vale a dire in un sistema dominato esclusivamente dal denaro. Non c’è più la relazione di fiducia tra il collezionista e il gallerista. Gli acquisti si fanno per telefono, anonimamente, per fare un investimento finanziario. Tutto si svolge rapidamente, senza possibilità di riflettere, l’unico scopo è quello di far aumentare le quotazioni. Così molte opere raggiungono valutazioni impensabili e senza alcun rapporto il loro valore artistico».
C’è ancora spazio per i critici ?
"No, perché è il mercato che crea il valore delle opere. I giudizi della critica sono ininfluenti in una realtà dominata dagli investimenti speculativi. Il mondo dell’arte sembra essere in preda alla stessa follia che ha prodotto la crisi dei subprimes. E per questo che anche il mercato dell’arte prima o poi rischia di crollare. Un crac metterà fine alla bolla speculativa ».
Intanto però il mondo delle imprese continua ad acquistare molte opere, facendo salire le quotazioni...
"Banche e imprese hanno enormi collezioni, come ad esempio la Deutsche Bank. Il problema è sapere chi le consiglia. In alcuni casi, critici e ex direttori di musei fanno fare ottimi acquisti. Il sistema delle aste rende tutto più complicato, spingendo gli investitori ad accumulare opere senza alcun gusto o spirito critico. La speculazione rischia inoltre di alimentare un afflusso sul mercato di opere di scarso valore artistico con quotazioni sproporzionate. Insomma, se guardo al futuro non posso che essere pessimista».