Don Alberione: un gigante dell'evangelizzazione attraverso i media, del cardinale Angelo Amato
Riprendiamo sul nostro sito dall’Agenzia di stampa Zenit il testo del discorso pronunciato giovedì 24 novembre dal cardinale Angelo Amato, SDB in occasione della presentazione di un nuovo libro sul Beato Giacomo Alberione1. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (3/11/2011)
1. Il Beato Alberione è uno dei fondatori più dinamici del secolo scorso, che tutti auspicano possa al più presto giungere alla solenne canonizzazione, per completare la folta schiera dei grandi santi sociali dell’Italia del secolo scorso, come San Guido Conforti, San Luigi Guanella, Sant’Annibale Maria di Francia, San Filippo Smaldone, San Gaetano Errico, Santa Caterina Volpicelli, Santa Giulia Salzano e tanti altri. Sono questi i santi, che, dopo l’unità d’Italia, hanno fatto gli italiani, istruendoli e formandoli con le loro molteplici iniziative di educazione dei giovani, di accoglienza dei poveri e dei bisognosi, di assistenza e cura dei malati fisici e psichici.
Nel pantheon degli eroi meriterebbero anch’essi un posto di primo piano, perché, diversamente dagli eroi civili, che sono singole persone, questi Santi hanno dato vita a istituzioni, che hanno continuato nel tempo la loro opera risanatrice delle carenze visibili o nascoste della società. Il loro carisma si è così dilatato al di là del loro tempo e, spesso, anche al di là dei confini patrii. Essi, infatti, con la loro immensa carità verso l’umanità puntavano a venire incontro a quelle forme antiche e nuove di povertà, sempre presenti anche in contesti di affermata giustizia sociale. Le loro azioni così vengono universalmente riconosciute e accolte con gratitudine, come espansione benefica del buon profumo del Vangelo.
2. Nella prefazione del libro che ci accingiamo a presentare, Don Vincenzo Marras fa notare che, nei confronti di don Alberione, gigante dell’evangelizzazione attraverso i media, si dà un paradosso. Mentre le riviste “Famiglia Cristiana” o “Jesus” così come i Paolini e le Paoline sono molto noti in Italia e nel mondo, Don Alberione, invece, fondatore, ideatore e apostolo della buona stampa, rimane ancora nell’ombra. La sua opera è molto nota, la sua persona poco conosciuta. Di qui l’importanza di questa biografia, pubblicata dall’editrice Shalom a otto anni dalla sua beatificazione (27 aprile 2003), che viene presentata al pubblico in questa settimana, in cui si fa la sua memoria liturgica, 26 novembre, giorno che ricorda la sua nascita al cielo, avvenuta a Roma quarant’anni fa, esattamente il 26 novembre 1971.
Il libro ripercorre, con ricchezza di immagini e con un racconto vivace i giorni e le opere del dinamico sacerdote piemontese, fondatore e creatore di un carisma di sorprendente modernità.
Convinto che fa sempre bene riascoltare le storie belle e vere degli eroi della santità, ripropongo sinteticamente i tratti salienti dell’avventura terrena del Beato Giacomo Alberione (1884-1971), seguendo la traccia del libro, che sembra la sceneggiatura di un film.
3. In una prima parte, intitolata Un evangelizzatore proteso in avanti, si narra della sua infanzia e giovinezza. Nato a San Lorenzo di Fossano, nella cascina delle Nuove Peschiere, in provincia di Cuneo, il 4 aprile 1884, in una famiglia contadina di sette figli, il piccolo Giacomo, gracile di costituzione, avvertì subito il desiderio di diventare sacerdote. Il 25 ottobre 1896, fu accolto nel seminario di Bra. Si ritirò dal seminario, per una crisi vocazionale, forse causata dalla lettura di libri dannosi. Dopo sei mesi di riflessione e di ripensamento, aiutato dal parroco don Giovanni Montersino, che mai aveva dubitato della sua vocazione, fu accolto nel seminario di Alba, senza però indossare ancora la talare nera con i bottoni rossi.
Dopo le tenebre, ecco la luce. La notte tra il 31 dicembre del 1900 e il primo giorno del 1901, viene ricordata dalla tradizione paolina come la notte della luce. Dopo aver ascoltato un discorso del celebre sociologo ed economista cattolico Giuseppe Toniolo, che esortava i cattolici ad attivarsi in ogni settore della vita sociale, opponendo stampa a stampa, organizzazione ad organizzazione, nell’impegno di far penetrare il Vangelo nelle società, il seminarista Alberione si pose in adorazione del Santissimo per ben quattro ore, convinto che il nuovo secolo dovesse nascere in Cristo-Eucaristia e che egli stesso dovesse impegnarsi nell’utilizzo dei nuovi mezzi di apostolato.
Si diede così a studiare la società del suo tempo in tutte le sue articolazioni culturali, dalla letteratura alla musica, dal diritto alla filosofia. Questo impegno formativo non sfuggì ai superiori, che, dopo due anni, gli permisero di indossare finalmente la talare dei seminaristi (8 dicembre 1902). Per la preparazione al sacerdozio gli furono di aiuto – si legge nel suo diario – la lettura di alcune vite di santi, come San Francesco di Sales, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, San Giovanni Bosco, San Giuseppe Cottolengo.2 Oltre alla devozione eucaristica, avvertiva una particolare predilezione per la Sacra Scrittura, fondamento della fede e strumento semplice e insostituibile per conoscere Dio e per parlare della sua misericordia e della sua opera di salvezza verso l’umanità.
Il 29 giugno 1907, nella cattedrale di Alba, fu ordinato sacerdote. Il 9 aprile 1908 conseguì la laurea in teologia al collegio teologico di San Tommaso d’Aquino a Genova, diventando per tutti il Signor Teologo. In un periodo di accese dispute dottrinali (modernismo) e sociali (comunismo), don Alberione seguì i princìpi delineati da Pio X nell’enciclica dell’11 giugno 1905 (“Il fermo proposito”): impegnarsi, cioè, nell’azione sociale cristiana per sanare governi, scuola, leggi, famiglia, relazioni tra le classe ed internazionali, affinché il Cristo, via, verità e vita, regni nel mondo.3
4. Per il nostro Beato, l’evento decisivo per dare vita al suo carisma apostolico, avvenne l’8 settembre 1913, quando il Vescovo, mons. Re, gli assegnò l’incarico di direttore del settimanale diocesano Gazzetta d’Alba. Dopo averne acquistato la proprietà, inaugurò anche una tipografia, che dedicò a San Paolo, apostolo delle genti. Subito alcuni giovani particolarmente fervorosi lo seguirono nella nuova avventura della Scuola Tipografica. Don Alberione aveva uno speciale fascino nel suscitare vocazioni. Dalle pagine del diario di uno stretto collaboratore della prima ora, Don Giuseppe Timoteo Giaccardo, apprendiamo che Don Alberione soleva dire: «Le vocazioni si devono quasi creare. E questo si fa con lo spirito; l’entusiasmo deve tenere su i giovani».4
Per tutti, il nostro Beato era un leader capace di conquistare con il suo sorriso e con la sua dedizione. Non aveva ritegno a proporre l’ideale sacerdotale. Un giorno del 1910, a Montrucchi, incontrò un pastorello di undici anni. «Non ti faresti prete?» gli chiese. Allo sconcerto del ragazzo, don Alberione sorrise, consigliandogli di recitare ogni giorno un’Ave Maria. Dopo qualche tempo, vedendo che il giovane era disposto a farsi prete, il nostro Beato gli promise che avrebbe provveduto lui a mantenerlo agli studi. Da qual momento, testimonia don Torquato Armani, «io gli appartenni per la vita». Furono molti i giovani, attratti dalla sua passione apostolica, suscitando, come capitò anche a Don Bosco, non pochi mugugni nel clero diocesano.
5. C’è un’altra data considerata storica da Don Alberione. L’8 dicembre 1917, di fronte alla statua dell’Immacolata, avvenne la prima professione religiosa dei suoi giovani, tra i quali c’era il già citato chierico Giaccardo. Don Alberione concluse il rito con queste parole: «È una grande responsabilità questa, ma molte consolazioni e un premio speciale Iddio prepara in cielo agli operai della Buona Stampa».5
Furono i primi paolini, talmente entusiasti del loro Primo Maestro, che si sarebbero buttati nel fuoco per obbedirgli. Per loro, le imprese più ardue diventavano normalissime, se suggerite da lui. La loro incondizionata fiducia nei progetti del Fondatore permise così di realizzare una diffusione prodigiosa del Vangelo e della Buona Stampa. Lo sguardo profetico del nostro Beato lo spinse non solo a costruire la gigantesca Casa madre della Famiglia Paolina in Alba, ma anche a comprare le dodici macchine di una tipografia milanese fallita, specializzata nella stampa di materiale blasfemo, che furono smontate dai suoi giovani e trasportate ad Alba.
Queste imprese gigantesche farebbero pensare a una figura imponente. In realtà – dicono i biografi – Don Alberione era un uomo minuto, poco appariscente, dal portamento composto. Aveva però una fede immensa nella Divina Provvidenza, tanto che quando, la notte di Natale del 1918, ci fu un incendio, che devastò parte della nuova tipografia, esclamò con serenità: «È meno grave di un peccato veniale».6 L’incendio fu considerato una prova da parte del nemico di Dio, una lezione per confidare maggiormente nell’aiuto divino e meno nelle proprie forze.
Il suo instancabile apostolato gli attirò sia le ire dei nemici della Chiesa, intenzionati perfino ad attentare alla sua vita, sia le accuse di incombente fallimento da parte di buona parte del clero locale. Ma don Alberiore superò campagne denigratorie, malattie e incomprensioni con la fortezza di chi confida nel Signore.
6. La seconda parte del libro, L’albero fiorente dell’apostolato paolino, tratta della progressiva espansione delle sue opere. Soleva dire: «Il Signore accende le lampadine in avanti, man mano che si cammina ed occorre; non le accende tutte, subito all’inizio, quando ancora non occorrono; non spreca la luce; ma la dà sempre “tempore opportuno”».7
Dal suo spirito profetico nacquero così le dieci istituzioni della Famiglia Paolina, che, come i tralci di una vite, vivono distinte forme di apostolato. Tutte trovano nel Tabernacolo la ragione delle loro esistenze consacrate: «Esse – diceva don Alberione – sono dotate di un unico spirito: vivere Gesù Cristo, e servire la Chiesa. Chi rappresenta tutti intercedendo presso il Tabernacolo; chi diffonde, come dall’alto, la dottrina di Gesù Cristo; e chi si accosta alle singole anime».8
Il libro si sofferma su questo rigoglioso albero apostolico, accennando anzitutto alla Società San Paolo, la primogenita delle fondazioni, formata da Sacerdoti e Discepoli, il cui apostolato è predicare il Vangelo con tutti i mezzi di comunicazione sociale per fecondare la società umana di grazia e di verità divina.
Poi ci sono le Figlie di San Paolo, il cui apostolato è simile a quello svolto dal ramo maschile: stampa, librerie specializzate, diffusione porta a porta della buona stampa.
Il 10 febbraio del 1924 sorse poi la Congregazione delle Pie Discepole del Divin Maestro, dedite all’apostolato liturgico, e soprattutto all’adorazione di Gesù Divin Maestro, presente nel mistero eucaristico, al fine di ottenere le grazie necessarie per la missione. Le Discepole sono lampade viventi dinanzi a Gesù Eucaristico. Nascoste, come le radici di un albero, alimentano con la loro preghiera il tronco, i rami, i fiori, le foglie, i frutti.9
Le Suore di Gesù Buon Pastore, o Pastorelle, affiancano i sacerdoti nell’esercizio del loro ministero pastorale, avvicinando bambini, giovani e anziani per portare a tutti la luce e il conforto di Gesù Buon Pastore.
Una quarta congregazione femminile è l’Istituto Regina Apostolorum (Le Apostoline), fondato nel 1961, la cui missione è la ricerca, la formazione e l’assistenza alle vocazioni sacerdotali e religiose.
Ci sono poi i Cooperatori Paolini, che il fondatore considerava una specie di Terz’Ordine a sostegno dell’apostolato paolino.
A queste istituzioni, Don Alberione affiancò quattro istituti di vita secolare consacrata, nati per santificare i fedeli impegnati nei vari ambiti della società: San Gabriele Arcangelo, per il laicato maschile; Maria Santissima Annunziata, per le donne non sposate; Gesù Sacerdote, per i sacerdoti diocesani desiderosi di vivere la spiritualità paolina; Santa Famiglia, per la santificazione delle famiglie. Per tutti, la missione è la diffusione del Vangelo. In ciò risiede l’idea profetica di Don Alberione: riconsegnare la Parola di Dio ai fedeli, alle famiglie, alla scuola, alla società, alla cultura.
6. Come San Paolo, che pregava e agiva, anche il nostro Beato aveva la consapevolezza che ogni opera di Dio comincia non col denaro, ma con la preghiera.
E alla preghiera dedicava gran parte della giornata. Il volume tratteggia una sua giornata tipica che iniziava prestissimo in chiesa, alle 3.30, prima della celebrazione della santa Messa, che era seguita da un lungo ringraziamento, fatto in ginocchio, tutto raggomitolato su se stesso, immobile come una statua. Se Don Alberione doveva viaggiare, scendeva in chiesa alle 2.00 e vi rimaneva per cinque ore. Spesso si chiudeva nel suo ufficio per parlare a tu per tu col Signore, per comprendere quello che doveva fare.10
Da questo spirito di preghiera e di intraprendenza apostolica nacquero molti periodici paolini, il più conosciuto dei quali è Famiglia Cristiana. Ma ci sono anche Vita pastorale, La Domenica, Il Giornalino, La Voce di Roma, destinato a essere l’eco del magistero del Papa, La Madre di Dio, Dottrina e Fatti (poi divenuto Via, Verità e Vita), La Vita in Cristo e nella Chiesa e centinaia di bollettini parrocchiali. Con audacia diede inizio anche all’apostolato cinematografico, con un film sulla vita del cardinale Massaia, intitolato Abuna Messias, premiato a Venezia.
7. Nel 1926 il nostro Beato realizzò il sogno di aprire una casa a Roma: «Si è a Roma, per sentire meglio che la Famiglia Paolina è a servizio della Santa Sede; per attingere più direttamente la dottrina, lo spirito, l’attività d’apostolato dalla Fonte, il Papato; Roma è maestra del mondo, eppure tiene le porte aperte all’umanità; da Roma partono i mandati per ogni direzione».11
C’è un curioso episodio circa l’arrivo dei Paolini a Roma, il 15 gennaio del 1926. Attraversando i binari del tram n. 23, il pacco del pane si ruppe. Il tram dovette fermarsi per consentire di raccogliere le pagnotte. L’evento fu considerato dai Paolini come un segno. Erano a Roma per spargere il pane della Parola di Dio.12 Da Roma, essi si diffusero in Brasile, Argentina, Stati Uniti, Germania, Belgio, Francia, Spagna, Polonia, Cina, Giappone, Filippine, India.
Per la prima presenza paolina negli Stati Uniti c’è un altro episodio curioso. Don Alberione aveva mandato a New York don Saverio Borrano, per inoltrare la richiesta di aprire una Casa. La curia vescovile rispose negativamente, probabilmente per mancanza di copertura economica. I Gesuiti, che ospitavano il Paolino, non riuscivano a capacitarsi che Don Alberione avesse inviato così lontano un suo discepolo, senza risorse economiche adeguate e senza raccomandazioni di nessun genere. Sarebbe bastata la raccomandazione di un Cardinale. La risposta di Don Alberione fu perentoria: «Noi non abbiamo bisogno di raccomandazioni del Cardinale; abbiamo bisogno solo della raccomandazione di Dio».13 Invitò quindi don Borrano ad avere fede, San Paolo avrebbe aperto la porta. Dopo nove mesi, la prima casa della Società San Paolo a New York era una realtà.
È un ulteriore esempio del coraggio del Fondatore e dei suoi figli: si avventuravano in terre straniere, senza risorse, senza conoscere la lingua, senza autorizzazione del vescovo locale. Spesso dovevano procurarsi il denaro per il viaggio, affidandosi alla generosità dei benefattori, parenti e amici. Ma erano pronti a ogni sacrificio pur di donare il Vangelo Gesù alle genti.
Durante una sua visita in Brasile, Don Alberione chiese a Suor Agnese Sandri, missionaria paolina, quante copie del catechismo fossero state stampate e diffuse fino a quel momento. “Due o tre milioni” fu la risposta. Don Alberione replicò: “Quanti bambini ci sono in Brasile?”. “Ventiquattro milioni”. “Ecco – concluse il Beato – una goccia d’acqua in mezzo all’oceano”.14
Era straordinaria la venerazione che aveva verso i suoi missionari. Quando don Achille Vagnoni, il 9 luglio 1958, stava per partire per Cuba, chiese la benedizione al Primo Maestro. Dopo la benedizione, Don Alberione si inginocchiò ai piedi di don Achille dicendo: «Tu, che sei missionario, benedicimi».15 Il gesto commosse alle lacrime il sacerdote.
8. La risposta che Don Alberione dava al successo delle sue iniziative era sempre la stessa: «Tutto è venuto dalla Divina Provvidenza». La volontà dell’uomo era sostenuta dalla prodiga e paterna volontà di Dio. La storia narra di un documento, la cosiddetta Cambiale, che testimonia la sua fiducia incondizionata nell’aiuto divino. Dopo aver acquistato il terreno a Roma, don Alberione si ritrovò bisognoso di tutto. Scrisse allora su un foglietto: Cambiale, e sotto in lingua latina: Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia. Firmarono Don Alberione e Don Giaccardo. Sotto le firme, il nostro Beato completò la frase evangelica: Tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù. Quindi firmò di nuovo, questa volta ponendo la Santissima Trinità come garante.
Un’altra testimonianza della sua fiducia in Dio è il cosiddetto Patto o Segreto di riuscita. In questa preghiera, indirizzata a Gesù, Divin Maestro, si legge tra l’altro: «Promettiamo e ci obblighiamo: a cercare in ogni cosa […] nella vita e nell’apostolato, solo e sempre, la tua gloria e la pace degli uomini. E contiamo che da parte tua voglia darci spirito buono, grazia, scienza, mezzi di bene. Moltiplica […] i frutti del nostro lavoro spirituale, del nostro studio, del nostro apostolato, della nostra povertà. Non dubitiamo di te, ma temiamo la nostra incostanza e debolezza».16
I fatti sorprendenti, per non dire prodigiosi di questa fiducia nella Divina Provvidenza, sono numerosi. Un giorno d’inverno, al chierico Lorenzo Bertero, che era tornato con le mani vuote da un giro di propaganda, don Alberione diede un indirizzo preso a caso dallo schedario dei benefattori, pregandolo di recarvisi. Il giovane obbedì e partì verso un paesino del Piacentino. Dall’oste apprese che si trattava di una vecchina, che abitava nella valle. Era notte e la strada era ghiacciata. Raggiunta a piedi la cascina, la vecchina lo rifocillò. Dopo aver appreso il vero motivo della visita, donò al giovane chierico diecimila lire in cartelle del tesoro, pregandolo di salutare il santo sacerdote don Alberione.
Il vero intralcio alla Provvidenza – ripeteva il Beato – è il peccato, che è un ostacolo diretto per la santificazione e per le vocazioni e un ostacolo indiretto per i bisogni materiali e lo sviluppo delle opere.17 La sua convinzione era che se si fosse più santi, ci sarebbero più frutti spirituali e temporali. E, per lui, il peccato si poteva tenere lontano mettendo ogni diligenza nei quattro settori della vita paolina: nella pietà, nello studio, nell’apostolato e nella povertà, le quattro ruote del cosiddetto “carro paolino”. Se una qualsiasi di queste ruote non funziona, il carro si ferma. L’impegno è far girare in armonia queste ruote e far camminare speditamente il carro della missione apostolica.
9. Da quanto si è detto finora, si evince che don Alberione viveva una spiritualità apostolica intensa e dinamica, sull’esempio dell’apostolo Paolo. Per la sua missione, riteneva essenziale la devozione a Gesù Maestro, sempre presente eucaristicamente nella Chiesa. Al riguardo, egli preferiva parlare di “visita” anziché di adorazione eucaristica, perché – diceva – quando noi ci rechiamo davanti al Tabernacolo, restituiamo la visita che Gesù ci ha fatto al mattino nella comunione. Le altre sue devozioni erano quelle della pietà cattolica di sempre: amore a Maria, Maestra e Regina degli Apostoli, e ai Santi, soprattutto a San Giuseppe e San Paolo. Soleva dire che se san Paolo tornasse oggi sulla terra, sarebbe diventato giornalista, per parlare e scrivere di Gesù e del Vangelo alle genti.
Il carisma di Don Alberione anticipò alcune linee del Vaticano II: «La Pia Società San Paolo – sono le parole che Paolo VI rivolse ai Paolini il 28 giugno del 1969 – ha realizzato “ante et post litteram”, molti postulati del Concilio Ecumenico nel campo delle comunicazioni sociali. Noi volentieri ve ne diamo riconoscimento, elogio ed incoraggiamento».
Come invitato al Concilio, in qualità di fondatore e superiore generale della Famiglia Paolina, il nostro Beato presentò alcune proposte concrete. Suggerì, ad esempio, l’urgenza di un catechismo universale; la necessità di favorire una maggiore comunicazione tra cattolici e non cattolici; la ricerca di mezzi per avvicinare i non cristiani al Vangelo e, se è il caso, di passare alla Chiesa cattolica; l’opportunità di inserire nel Codice di Diritto Canonico tutto ciò che riguarda l’apostolato dei Laici e le norme inerenti gli Istituti secolari; l’istituzione, infine, di un Dicastero per gli strumenti di comunicazione sociale.
10. La terza parte, L’eterna ricompensa del Maestro Divino, tratta degli ultimi anni di vita del nostro Beato, che, dopo la lunga e intensa giornata terrena, il 26 novembre 1971, varcò la soglia della vita eterna. Le sue ultime parole furono: «Io prego per voi e voi pregate per me. Avanti. In Letizia. Santificazione».18
11. Il volume si conclude con uno sguardo sui fiori di santità dell’albero paolino: I santi apostoli della buona stampa. Edifica il constatare come Don Alberione sia stato un maestro di santità. Ne parlava spesso ai suoi, ai quali raccomandava di superare in santità anche i sacerdoti e i frati, dal momento che nel loro apostolato dovevano sentirsi responsabili della salvezza di milioni di anime.19
Formati da questa pedagogia di santità, abbiamo così il Beato Timoteo Giaccardo, primo sacerdote della Famiglia Paolina, fondatore della casa di Roma e primo paolino ad essere stato riconosciuto beato, il 22 ottobre 1989. C’è poi il Venerabile canonico Francesco Chiesa, validissimo collaboratore del fondatore, e da lui considerato “il padrino della Famiglia Paolina”. Si tratta di due sacerdoti che si sono santificati utilizzando i nuovi strumenti del moderno apostolato.
Abbiamo poi la Venerabile Suor Tecla Merlo, la madre dei Paolini, della quale don Alberione diceva: «Avrete altre Prime Maestre, ma solo lei fu soprattutto madre dell’Istituto».20 La Venerabile girò il mondo intero per studiare, insieme alle sue suore, nuove possibilità di bene per porre al servizio del Vangelo i mezzi della comunicazione sociale. Il suo dinamismo nascondeva un animo contemplativo. Diceva: «Vivere accanto al Tabernacolo con tutta l’anima, anche se materialmente si è in propaganda. Lasciarsi istruire dal Maestro Divino, uomo e Dio, realmente presente nel Tabernacolo. Lasciarsi santificare da lui».21
C’è poi Madre Scolastica Rivata, il cui motto era: «Signore, tu solo e basta».22 Madre Scolastica, missionaria coraggiosa in Egitto, era un modello vivente di come incarnare la vocazione di Pia Discepola del Divin Maestro.
Madre Tecla e Madre Scolastica sono due splendidi esempi dell’efficace ruolo della donna nel campo dell’apostolato e del servizio pastorale.
Tra i modelli di virtù della Famiglia Paolina c’è anche il Venerabile Maggiorino Vigolugo (1904), che lasciò il più caro profumo di innocenza e di virtù. Il suo ideale era: «Farsi santo, diventare sacerdote di Gesù e salvatore di anime, essere apostolo della Buona Stampa». Scritta da don Alberione, la biografia di questo giovane quattordicenne racchiude la sintesi della sua pedagogia: mettersi al servizio della diffusione del Vangelo e giungere alla santità. A dodici anni Maggiorino entrò a far parte della Scuola Tipografica e subito si distinse per studio, lavoro e pietà: «Voglio farmi santo, grande santo, presto santo». Piegato da una malattia, morì in concetto di santità il 27 luglio 1918. Papa Giovanni Paolo II lo ha proclamato Venerabile il 28 marzo del 1988.
Proprio leggendo la vita di Maggiorino Vigolugo, il ventenne Riccardo Borello - nato a Mango (Cuneo) l’8 marzo del 1916 - si sentì attratto a farsi religioso nella famiglia del beato Giacomo Alberione: «Se lui così giovane ha fatto così presto a farsi santo, voglio anch’io farmi santo tra i figli di San Paolo». Divenne così “discepolo”, entrando nella schiera dei religiosi paolini che non aspirano a diventare sacerdoti. Avendo con la professione religiosa assunto il nome di fratel Andrea, fu un infaticabile lavoratore, umile, riservato, entusiasta della sua vocazione. Il suo banco di calzolaio diventò l’altare della sua santificazione. Diceva: «In chiesa che cosa si fa? Si prega: e noi preghiamo. In chiesa si fa silenzio e non si parla male, non si sghignazza: e noi in reparto facciamo come se fossimo in chiesa».23 Era talmente innamorato della sua vocazione, che offrì la vita per l’avvenire della Congregazione e per il consolidamento del gruppo dei “discepoli”. Dopo tre mesi dall’offerta, fratel Borello fu colpito da etisia fulminante. Si spense il 4 settembre del 1948 in odore di santità. La Chiesa ha riconosciuto l’esercizio eroico delle sue virtù dichiarandolo Venerabile.
Questi sono alcuni dei fiori santi del giardino sognato e realizzato dal Beato Alberione.
12. Alla fine di questa epopea paolina, ritengo che la biografia dell’Alberione si collochi bene, quasi in una moderna Legenda Aurea, in questa settimana conclusiva dell’anno liturgico, dedicata a Cristo re dell’universo. Il Beato era un innamorato del Regno di Cristo e voleva che fosse accolto da tutte le genti.
Mi sembra di poter rintracciare quattro fili, che percorrono la trama di questo prezioso libro. Anzitutto c’è la narrazione di fatti e di persone. È il racconto essenziale e stringato delle mille opere straordinarie, realizzate da un sognatore, che non si contentava in progetti astratti, ma si adoperava per attuarli con una straordinaria capacità di concretezza apostolica.
In secondo luogo, il libro è interamente pervaso dall’idea di un’azione apostolica, che deve necessariamente nutrirsi di Vangelo e ultimamente approdare alla santità.
In terzo luogo, il libro rivela l’ansia missionaria del nostro Beato, che contagia talmente i suoi discepoli, da spingerli a una continua creatività nella diffusione sempre più estesa della Parola di Gesù Maestro, via, verità e vita.
Infine, il libro mostra la perenne attualità del carisma paolino, ulteriormente sottolineata proprio in questi nostri giorni da due eventi ecclesiali imminenti: il Sinodo sulla nuova evangelizzazione, dell’ottobre 2012, e l’anno della fede, che si celebrerà tra ottobre del 2012 e novembre del 2013.
Vorrei concludere con una considerazione che riguarda tutta la Famiglia Paolina. Come si è visto, oltre a parecchi Servi e Serve di Dio, la Chiesa ha già proclamato due beati, il Beato Giacomo Alberione e il Beato Timoteo Giaccardo, e quattro Venerabili, Suor Tecla Merlo, il canonico Francesco Chiesa, il giovane Maggiorino Vigolugo e il fratello laico Riccardo Borello.
Nessuno dubita che occorra completare l’iter di queste cause in vista sia della loro canonizzazione sia della loro beatificazione. Ciò potrà avvenire con il riconoscimento di interventi miracolosi ottenuti mediante l’intercessione efficace di queste figure esemplari della vostra Famiglia.
È questo un invito rivolto a tutta la Famiglia Paolina a intensificare la preghiera per questo scopo. Sono convinto che il tempo che passa tra la beatificazione e la canonizzazione o tra il decreto della venerabilità e la beatificazione non sia da considerarsi tempo perso, né tempo vuoto, ma tempo prezioso di maturazione spirituale e di coinvolgimento cordiale di tutta la Famiglia Paolina nella preghiera, nella conoscenza e nell’imitazione virtuosa dei vostri Beati e dei vostri Venerabili.
A quarant’anni precisi dalla nascita al cielo del Beato Giacomo Alberione, non posso, quindi, non auspicare che la Chiesa celebri al più presto la canonizzazione di questo coraggioso Apostolo, che ha portato, come San Paolo, il Vangelo tra le genti, inoltrandosi senza paura in territorio “pagano”, nel pericoloso terreno minato dei mezzi di comunicazione sociale, spesso dominati da ideologie e pregiudizi non certo favorevoli alle parole di vita, di verità e di carità di Gesù Maestro. Far breccia in questo campo di battaglia significa essere forti e coraggiosi. E voi lo siete.
Il Signore continui a benedire la vostra missione, inviando buone e sante vocazioni alla vostra benemerita Famiglia.
1 Si tratta della presentazione del volume sul Beato Giacomo Alberione, Editore e apostolo del nuovo millennio, Shalom, Camerata Picena (An) 2011, avvenuta a Roma il 24 novembre 2011.
2 Giacomo Alberione, Abundantes Divitiae Gratiae Suae, San Paolo, Roma 1985, n. 175.
3 Ib. 63.
4 Giuseppe Timoteo Giaccardo, Diario – pagine scelte, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo Mi 2005, p. 112.
5 Giuseppe Timoteo Giaccardo, Diario – pagine scelte, p. 116.
6 Mercedes Mastrostefano (a cura), Don Alberione. Piccole storie quotidiane, Ed. Paoline, Roma 2008, p. 38.
7 Carissimi in San Paolo, p. 192.
8 Giacomo Alberione, Abundantes Divitiae Gratiae Suae, n. 34-35.
9 Giacomo Alberione, Abundantes Divitiae Gratiae Suae, n. 282.
10 Beato Giacomo Alberione, Editore e apostolo del nuovo millennio, p. 153.
11 Beato Giacomo Alberione, Editore e apostolo del nuovo millennio, p. 115.
12 Beato Giacomo Alberione, Editore e apostolo del nuovo millennio, p. 169.
13 Beato Giacomo Alberione, Editore e apostolo del nuovo millennio, p. 175.
14 Beato Giacomo Alberione, Editore e apostolo del nuovo millennio, p. 181.
15 Beato Giacomo Alberione, Editore e apostolo del nuovo millennio, p. 181.
16 Beato Giacomo Alberione, Editore e apostolo del nuovo millennio, p. 189.
17 Giacomo Alberione, Anima e corpo per il Vangelo, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2005, p. 213.
18 Beato Giacomo Alberione, Editore e apostolo del nuovo millennio, p. 267.
19
20 Beato Giacomo Alberione, Editore e apostolo del nuovo millennio, p. 301.
21 Beato Giacomo Alberione, Editore e apostolo del nuovo millennio, p. 309.
22 Beato Giacomo Alberione, Editore e apostolo del nuovo millennio, p. 317.
23 Beato Giacomo Alberione, Editore e apostolo del nuovo millennio, p. 351.