Il 22 novembre memoria liturgica di santa Cecilia. Il cardinale, l’archeologo e gli scrittori, di Fabrizio Bisconti
Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 22/11/2011 un articolo scritto da Fabrizio Bisconti. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (30/11/2011)
Il 20 ottobre del 1959, a coronamento di un progetto promosso dal cardinale Paolo Emilio Sfondrato, in vista del Giubileo del 1600, si rinvennero i corpi dei martiri sistemati da Pasquale I nella basilica titolare di Santa Cecilia in Trastevere.
I lavori, avviati nell’ambito di una politica religiosa ispirata dal circolo di personaggi che ruotavano attorno all’oratorio filippino della Chiesa Nuova, che vedeva impegnati il cardinale Cesare Baronio, ma anche un gruppo di antiquari e archeologi, che desideravano ricondurre la Chiesa della Controriforma verso il cristianesimo delle origini, si calano perfettamente nella scoperta e nella ricerca delle catacombe cristiane di Roma, effettuate, con grande fortuna e metodo, dall’archeologo maltese Antonio Bosio.
Fu proprio Bosio, massimo esperto della Roma sotterranea cristiana, seppure appena venticinquenne, a redigere la cronaca della ricognizione delle spoglie dei martiri e, segnatamente, del corpo di santa Cecilia, per esplicita volontà di Papa Clemente VIII. La ricognizione, che attirò l’attenzione di tutta la città e che comportò anche la riesumazione dei compagni di martirio della santa, Valerio, Tiburzio e Massimo, ma anche di Lucio e Urbano, avvenne in maniera solenne e alla presenza di vescovi, canonici e insigni presbiteri.
Secondo Bosio, nella sua Historia passionis beatae Caeciliae virginis, durante gli scavi del transetto della basilica trasteverina, tornarono alla luce due monumentali sarcofagi marmorei, uno dei quali conteneva una cassa in cipresso, che, a sua volta, custodiva le spoglie della martire Cecilia: «Dentro questa cassa era il corpo della beata vergine Cecilia, coperto da un telo di seta scuro, che, però, lasciava trasparire le vesti dorate macchiate di sangue della fanciulla e quel corpo giaceva sul lato destro, con le gambe appena piegate, le braccia protese, con il corpo reclinato, il viso rivolto a terra, come se dormisse, conservando, forse, la stessa posizione assunta dalla vergine dopo il triplice colpo di scure».
Tutta Roma - racconta Bosio - corse presso la basilica trasteverina e lo stesso Clemente VIII si recò, più volte, per pregare sul corpo della martire per poi commissionare una preziosa urna argentea, dove i resti della santa furono composti il 21 novembre del 1599.
L’eco della scoperta e della nuova sistemazione del corpo di Cecilia ispirò gli artisti del tempo, tanto che Francesco Vanni concepì la suggestiva Apparizione di Santa Cecilia al cardinal Sfondrato ancora conservata nella sacrestia della Chiesa del Gesù. Ma l’opera artistica più commovente e più aderente allo spirito devoto e ammirato del cardinale Sfondrato è rappresentata dalla statua marmorea ordinata dall’alto prelato a Stefano Maderno, che lavorò tenendo conto della posizione e delle sembianze della fanciulla, così come fu rinvenuta nella ricognizione. Stefano Maderno, appena ventitreenne, terminò la statua che lo rese celebre e accontentò le istanze del cardinale committente - lombardo come lui - che fu folgorato dalla storia della piccola vergine, sistemata solo nell’altomedioevo nella basilica di Trastevere e proveniente dal cuore delle catacombe di San Callisto.
Nell’area primitiva di quest’ultimo cimitero, infatti, proprio accanto alla cripta dei Papi del III secolo, l’archeologo romano Giovanni Battista de Rossi, rinvenne un grande cubicolo, che, secondo la tradizione, doveva ospitare la prima sepoltura della martire romana. Il grande ambiente, modificato a più riprese, conserva ancora alcune decorazioni ad affresco, che interessano specialmente il monumentale lucernario, dove si riconosce un ampio santorale relativo ai culti del comprensorio callistiano e di quello contiguo della memoria apostolorum, tra i quali quelli relativi a Quirino, Sebastiano, Policamo e Ottato di Vescera. Mentre questi affreschi rimontano alla fine del V secolo o agli esordi del seguente, altri dipinti, che raffigurano Papa Urbano, la stessa Cecilia orante e il Cristo pantocrator, interessano l’età bizantina e quella medievale.
La memoria di Cecilia nelle catacombe di San Callisto è testimoniata dagli Itinerari del VII secolo, anche se la più antica menzione del culto è riportata nel Martirologio Geronimiano del V secolo, mentre nessun cenno compare nella Depositio martyrum, il documento risalente al IV secolo e degno della massima attenzione, in quanto ad attendibilità.
La questione agiografica relativa a santa Cecilia - come sottolineava negli anni Trenta del secolo scorso Hippolyte Delehaye - può essere considerata uno dei soggetti plus embrouillé dans toute l’hagiographie romaine, in quanto basata su una passio leggendaria, piuttosto tarda, priva di coordinate storiche affidabili e amplificata dall’affabulazione popolare.
Ma gli scavi del de Rossi, il rinvenimento della cripta nel complesso di San Callisto, la fortuna iconografica già nell’affresco bizantino dell’ambiente catacombale, ma anche nei mosaici ravennati, ci assicurano che il culto per la giovane martire romana nacque piuttosto precocemente, lasciando intravedere una attendibilità storica della figura, delle gesta e della tragica fine della fanciulla cristiana, ormai difficilmente giudicabile, in quanto avvolta dalla leggenda e dalla affabulazione commossa della devozione popolare.