L’evangelizzazione nella parola di Dio, di Carlo Maria Martini
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Riprendiamo dal volume Ecumenismo ed evangelizzazione. Atti della XII Sessione ecumenica del SAE, AVE; Roma, 1975, pp. 23-43 un articolo di C.M. Martini. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (28/11/2011)
Il tema, molto ampio in se stesso, mi obbliga a fare soltanto alcune riflessioni sull'evangelizzazione, partendo dai dati biblici e, in particolare, a limitarmi anche in questi, quasi solo agli Atti degli Apostoli, che del resto sono il libro per eccellenza dell'evangelizzazione. Ne risulta uno stimolo alla ulteriore ricerca in altri libri biblici, di conferme e approfondimenti delle cose qui esposte. Mi propongo, prima di tutto, di fare qualche riflessione sul termine «evangelizzazione»; poi vedremo i testi degli Atti degli Apostoli intorno a questo tema e, infine, alcune deduzioni dal materiale degli Atti stessi.
La difficoltà che si incontra dovendo parlare della «evangelizzazione nella Parola di Dio», sta nel fatto che la parola evangelizzazione non è una parola biblica; non troviamo questa parola «evangelizzazione» né nell'Antico, né nel Nuovo Testamento e ciò non soltanto nel senso che manca il sostantivo mentre esiste il verbo evangelizzare (e già questa è però una differenza non trascurabile) ma anche nel senso che nel Nuovo Testamento non troviamo un unico termine che equivalga al termine moderno di evangelizzazione, che raduni come termine tecnico tutte quelle mille cose che oggi si indicano con il termine di evangelizzazione.
C'è quindi una differenza tra la terminologia biblica e la nostra, che è bene apprezzare e riconoscere. Il termine evangelizzazione, dunque, preso in sé non è un termine biblico, non è neanche un termine patristico, non si trova se non raramente nella letteratura dei Padri della Chiesa antica. I Padri greci usano sì la parola «euanghelismòs» che potrebbe essere un corrispondente del nostro termine evangelizzazione, ma, in essi come ricaviamo tra l'altro dal Dizionario Patristico del Lampe, la parola indica per la più l'annunciazione di Gabriele a Maria.
La traduzione più coerente è di solito un atto specifico di evangelizzazione, e non come sembriamo intendere noi oggi l'azione evangelizzatrice. C'è forse un termine, una occorrenza tardiva di Teodoro di Ancira che parla del termine in senso più generale con un significato più simile al nostro, ma si tratta di una occorrenza isolata; perciò si può dire che anche la patristica greca non sembra conoscere il termine evangelizzazione nel senso in cui lo stiamo usando in questi anni.
Se poi passiamo ai Padri latini, vediamo che un lessico come il Forcellini neppure usa, neppure recensisce il termine «evangelizatio» che pure si trova nel latino dei documenti recenti. Il Blaise, invece, nel Dizionario degli Autori cristiani, dà un solo esempio del termine evangelizatio, nell'Opus imperfectum in Mattheum; anche da ciò si vede come non sia frequente l'uso di questa parola.
Quando comincia dunque l'uso di questo termine nel senso moderno? È interessante notare che una scorsa dei vari dizionari di teologia cattolica, ci pone di fronte all'assenza completa del termine nei repertori alfabetici; fino a qualche anno fa, per esempio, opere di grande importanza per la sintesi della teologia cattolica come il Dictionnaire de Théologie catholique, Dictionnaire de la Bible, Supplément du Dictionnaire de la Bible, Dictionnaire de Spiritualité, ed altri non avevano la voce «evangelizzazione».
L'uso del termine nella sua accezione attuale è quindi molto recente. Volendo ricercarne l'origine, credo la si ritroverebbe in ambiente evangelico; da ciò l'interesse di uno studio comune perché i nostri fratelli evangelici ci insegnino come, quando e con che significato è nato il termine; nella Chiesa cattolica infatti lo si trova solo da pochi anni e come derivato da un ambiente e da una cultura distinta.
Forse anche per questo, tra noi il termine assume significati assai vari rendendo difficile e talora confusa la discussione su questo tema. Penso dunque che i nostri fratelli evangelici potranno spiegarci perché il termine è nato tra loro. La mia impressione è che sia nato ad opera dei movimenti di risveglio del secolo scorso, diventando una parola quasi tecnica per indicare l'azione di quei movimenti di risveglio, di evangelizzazione, tipici a partire dalla fine del '700 e l'inizio dell'800; quasi una parola d'ordine di quei gruppi che venivano acquistando la persuasione che senza un'intensa azione di diffusione del messaggio, la Chiesa si sarebbe gradualmente ridotta ad un piccolo gruppo di devoti, venendo meno alla sua missione fondamentale; erano gruppi per lo più spontanei, dai quali è nato più tardi praticamente il movimento ecumenico. C'è certamente un legame storico che sarà interessante approfondire in questi giorni, tra l'origine stessa della parola (nata probabilmente appunto nel secolo scorso come termine tecnico) il movimento di risveglio evangelico e il movimento ecumenico.
Noi cattolici oggi beneficiamo di tutta questa tradizione che non abbiamo ancora imparato a conoscere e che quindi sarebbe bene mettere in luce e chiarire, anche nei suoi termini storici, per lo stesso approfondimento teologico cattolico. Dunque, la parola evangelizzazione inizia in ambiente evangelico, probabilmente nel secolo scorso e giunge nell’ambiente cattolico soltanto una decina d'anni fa.
Di «evange1izzazione» si comincia a parlare nei documenti cattolici con l'inizio del Concilio, il quale ne usa, forse, la prima volta nel documento dedicato ai laici «Apostolicam actuositatem» al n. 6. Parlando dei laici, vi si dice «Moltissime occasioni si presentano ai laici di esercitare l'apostolato dell'evangelizzazione e della santificazione».
Appare successivamente in altri due documenti. Innanzitutto in «Ad Gentes», il decreto per l'apostolato missionario al n. 6; e, parlando dei sacerdoti, nella Costituzione «Presbyterorum ordinis», al n. 4. Dal tempo del Concilio la parola assume dunque uno «status» giuridico.
Poi la si ritrova, ormai con pieno diritto di cittadinanza, in documenti ecclesiastici più recenti, in particolare sul «Sacerdozio ministeriale» del Sinodo, nella prima parte, là dove descrive la missione dei presbiteri come evangelizzazione e vita sacramentale. Questa è la prima volta che si dà una qualche definizione dell'evangelizzazione, almeno descrittiva, che manca invece nei documenti conciliari. Per esempio si dice: «L'Evangelizzazione è ordinata a far sì che tutti, diventati figli di Dio in seno alla Chiesa, prendano parte al Sacrificio e mangino la Cena del Signore». E poi, continuando, si parla addirittura di «evangelizzazione permanente»: «... il Vangelo deve essere sempre integralmente annunciato dalla Chiesa al mondo».
Il termine «evangelizzazione» viene poi usato nel Documento di base per il Rinnovamento della Catechesi, che al n. 25 dice: «L'evangelizzazione propriamente detta è il primo annunzio della salvezza a chi, per ragioni varie, non ne è a conoscenza o ancora non crede». E continua specificando che l'evangelizzazione può ampiamente accompagnare sempre la stessa vita cristiana, in quanto «ogni generazione abbisogna, anzi i cristiani ferventi hanno sempre bisogno di ascoltare l'annuncio delle verità e dei fatti fondamentali».
Il motivo fondamentale che ha portato i documenti ufficiali della Chiesa Cattolica Italiana a esprimersi sull'evangelizzazione si potrebbe forse ritrovare nel pericolo del ritualismo, proprio del tipo di cattolicesimo italiano. Cito soltanto una frase del Documento dei Vescovi «Vivere la fede oggi», del 1971, che dice: «Quanti sono consapevoli degli impegni di vita cristiana che i riti sacri presuppongono e coinvolgono? Le feste si rinnovano con puntualità e solennità secondo le antiche consuetudini; i segni religiosi, sono ancora presenti e dominanti nel panorama di un popolo che da circa due millenni si gloria del nome di cristiano, ma si può sempre dire che tutto questo nasca da un profondo senso religioso, da un'autentica fede cristiana?». La preoccupazione è dunque che si vada, o si sia già andati, verso un ritualismo diffuso, per mancanza di un approfondimento reale della fede; perciò il Documento della C.E.I. del maggio '74 si esprime cosi: «Alla base di tutto deve essere con insistenza ribadito il necessario primato della evangelizzazione. Se ci si limitasse ancora a concentrare l'attenzione quasi unicamente sulla prassi sacramentale, si finirebbe con il ridurre il sacramento, avulso dal suo vitale contesto di fede, ad un puro gesto di pratica esteriore senza riflessi concreti e profondi nella vita».
Questo dunque è uno dei motivi, almeno tra quelli addotti ufficialmente, che hanno fatto affiorare il tema di cui ci occupiamo, nel cattolicesimo italiano. Tuttavia occorre forse allargare un po' la nostra domanda sul perché dell'affiorare di questo tema, non soltanto a livello italiano, dove la situazione è certamente un po' particolare rispetto ad altre forme di cattolicesimo nel mondo, ma anche a livello mondiale.
Un altro motivo, presente nei documenti cattolici ufficiali, lo si potrebbe tradurre con un'espressione paolina: «la porta aperta». Sembra alla Chiesa di vedere oggi nel mondo elementi che possono costituire una porta aperta all'evangelizzazione e alla ripresa del movimento evangelizzante. Tra essi il Documento preparatorio del Sinodo ricorda «la ricerca di un nuovo stile di vita, la liberazione da tutte le forme di asservimento, le nuove forme comunitarie che sorgono dappertutto, l'aumentato senso della responsabilità personale, la convergenza delle varie religioni e ideologie del mondo, nella ricerca della pace e della giustizia...»; tutti elementi che sembrano riproporre l'urgenza dell'evangelizzazione.
D'altra parte, insieme con questa «porta aperta» il Documento preparatorio riconosce anche porte che sembrano chiuse o prossime a chiudersi, che pure ripropongono questa urgenza, come: la cultura moderna che offre talora concezioni e interpretazioni dell'esistenza, chiuse a Dio e al Vangelo; l’ateismo che sembra progredire, alcuni valori tradizionali, famiglia, patria, amore, che sono in via di trasformazione. Questi motivi di crisi che si avvertono ovunque, dice il Documento preparatorio al Sinodo, non sono in nessun modo superabili attraverso un semplice adattamento delle attività della Chiesa alle esigenze sociologiche, psicologiche ecc., ma postulano, da una parte, che siano considerate in maniera approfondita le nozioni fondamentali implicite nel ministero della evangelizzazione, quali: la salvezza, la fede, la conversione, il perdono del Cristo, la Chiesa, ecc.; dall'altra, che alla luce di tali nozioni siano ripensati i principi metodologici dell'evangelizzazione. Fin qui quanto troviamo, riguardo al tema, nei documenti ufficiali della Chiesa cattolica.
Al di là, però, di queste motivazioni, vorrei proporne qualche altra, che sarà certamente esaminata da altre relazioni e dai gruppi di studio, ma che mi sembra opportuno mettere in luce fin d'ora, sforzandoci di andare cosi più in là del mondo che più direttamente conosciamo, e arrivando al cuore del problema della fede cristiana oggi.
Il primo motivo lo vedrei in una certa perdita del mordente missionario che si esperimenta oggi in parecchie Chiese. Il Cristianesimo odierno, visto almeno dal di fuori, sembra passare da una fase missionaria a una fase in cui si preoccupa soprattutto dei suoi, di una formazione più attenta delle proprie élites sempre più ristrette, perdendo il mordente, l'impegno dell'annuncio del Cristo a chi non crede.
Dietro a questa perdita del mordente missionario che si potrebbe documentare in cifre e statistiche, almeno nel campo cattolico, c'è un secondo tema che affiora e che ha cominciato a manifestarsi soprattutto dopo il Concilio Vaticano II. Infatti: se dopo il Concilio si cerca, con alterne vicende, di instaurare sempre più un metodo di dialogo, di rispetto degli altri, di rispetto dei valori, di rispetto delle culture, come può questo andare d'accordo con una forte carica evangelizzatrice?
Questa obiezione che forse, teoricamente, si potrebbe risolvere in maniera facile, in realtà sembra pesare nell'animo di parecchi missionari e di molte persone che, impegnate nell'evangelizzazione, avvertono il disagio di conciliare il rispetto profondo dovuto alla scoperta dei valori degli altri (persone, popoli, culture) con l'impegno per l'annuncio del Vangelo.
Il problema dunque si fa più delicato perché coinvolge l'ascolto e l'accettazione del Vangelo e l'annunciarlo agli altri, mettendo in rapporto ciò che possediamo per dono di Dio, per grazia dello Spirito, con i valori, pur reali, posseduti dagli altri.
Dietro a questo problema, che certamente richiede attenzione e approfondimento, c'è ancora un terzo e ultimo aspetto che vorrei ricordare come motivo della insorgenza del tema: ci troviamo talora di fronte a incertezze anche nel definire il contenuto stesso di ciò che dobbiamo portare, di ciò che dobbiamo evangelizzare.
Ci si domanda da più parti: che cosa porta, in fondo, chi evangelizza? Quale messaggio annuncia? O in altre parole: è possibile definire in altri modi più accettabili l'«evangelizzazione» tenendo presente la tecnicità di questo termine? Si può cioè tradurre «evangelizzazione» con «coscientizzazione», con «promozione umana», con «liberazione», con «rivoluzione», o con altri termini collegati? Ecco che la discussione ci porta allora all'interno del contenuto stesso della evangelizzazione e dei modi con cui essa va recepita prima di tutto da noi che ascoltiamo e pratichiamo la Parola e poi da coloro ai quali questa Parola deve essere portata.
I problemi tecnici e pratici che ne derivano sono moltissimi; ne enuncio soltanto qualcuno:
Vi sono termini diversi, più moderni, per tradurre questa parola «evangelizzazione»?
Come esprimere il contenuto dell'evangelizzazione in maniera accessibile alle nostre culture e far sì che essa sia percepibile facilmente all'uomo d'oggi? Come impedire che questa traduzione sfiguri il messaggio rendendolo irriconoscibile? Come conciliare evangelizzazione e dialogo, Parola proclamata e ascolto degli altri? Tutti questi temi, a loro volta, ne propongono altri, chiarendoci così perché oggi si parla tanto di evangelizzazione.
A me non spetta qui, se non dare qualche indicazione di avvio, a partire dalla Bibbia e in particolare dal Nuovo Testamento e dal libro degli Atti degli Apostoli dedicato soprattutto a questo tema; compito molto facilitato dal fatto che sono state opportunamente programmate per ogni giorno lezioni bibliche su alcuni testi fondamentali riguardanti l'evangelizzazione; perciò senza entrare in merito dei testi che saranno sviluppati giorno per giorno, vorrei limitarmi a qualche osservazione generale che serva per avviare la riflessione.
Mi sono proposto alcune domande, concretamente tre, alle quali tenterò di rispondere brevemente.
La prima è soprattutto terminologica: c'è nel Nuovo Testamento una terminologia univoca riguardante l'evangelizzazione?
La seconda: si può definire, si può determinare un contenuto preciso della predica di evangelizzazione partendo dai documenti del Nuovo Testamento, in particolare dagli Atti degli Apostoli?
La terza: come avviene il contatto con l'uditore nella Chiesa primitiva; quale ne è il metodo evangelizzatore?
Facciamone un breve esame.
1. La terminologia: c'è una terminologia univoca nel Nuovo Testamento che possa raccogliere in una parola sola tutta questa serie di realtà che noi accogliamo sotto il termine «evangelizzazione»?
Partiamo soprattutto dal problema odierno che è appunto il problema di definire esattamente che cosa si intenda con questa parola evangelizzazione, perché si danno definizioni diverse anche nei documenti cattolici più vicini a noi. Il documento sul Rinnovamento della Catechesi, per esempio, riferisce l'evangelizzazione specialmente alla prima proclamazione del messaggio; il documento dell'ultima assemblea della C.E.I. sembra usare il termine in senso più vasto, cioè dando alcune descrizioni di carattere globale. Per es. «Con l’evangelizzazione la Chiesa rende presente, nel segno della Parola, la persona del Cristo e ne attualizza l'insegnamento; nella parola evangelizzatrice della Chiesa l'uomo incontra dunque il Cristo che gli parla, conosce la propria vocazione, si apre all'amore del Padre e al disegno salvifico»; queste definizioni sono molto generali.
Quando però, poi, in questo stesso documento si parla delle varie forme di evangelizzazione, (al n. 62 e seg.) si vede chiaramente che l'uso della parola è esteso a momenti che vanno al di là del primo annuncio a chi non crede; per es. si parla di forma fondamentale dell'evangelizzazione legandola alla celebrazione dei sacramenti: «l'evangelizzazione prepara il sacramento e ne accompagna la celebrazione»; si menziona come forma di evangelizzazione o catechesi (si noti il sinonimo) quella che prolunga nel tempo l'interesse psicologico sul sacramento ricevuto; infine si menzionano l'omelia e le altre forme di predicazione, come forma di evangelizzazione.
Abbiamo perciò un uso largo e un uso più ristretto del termine, mentre altri documenti propongono indicazioni ancora più vaste. Il Documento preparatorio al Sinodo, per esempio, registra come primo significato qualsiasi attività con cui, in qualunque modo, il mondo viene trasformato conformemente alla volontà di Dio creatore e redentore; quindi praticamente sotto questa definizione è compresa tutta l'opera salvifica.
Vediamo perciò come non sia facile, almeno nei documenti cattolici più recenti, trovare una convergenza precisa riguardo al tema.
Dal punto di vista biblico varrei far notare alcune cose:
- Mi pare non abbia valore richiamarsi, per definire bene il tema, alla distinzione tra kerigma e didaché, che era stata fatta da parecchi autori negli ultimi venti anni, richiamandosi ai lavori di Dodd, il quale per primo nel '36 aveva iniziato questa distinzione e l'aveva proposta come programmatica del Nuovo Testamento, legando specificamente alla parola kerigma la prima evangelizzazione e a didaché l'insegnamento successivo.
In realtà il Nuovo Testamento non fa questa distinzione terminologica precisa; in esso troviamo la parola «didaché» e il verbo corrispondente «didaschein» riferiti anche al primo annuncio; per esempio, in Atti 4,2; Atti 5,42; Atti 13,12; Atti 17,9; Rom 6,17 sembra che si usi il termine «didaché» per il primo annuncio della Parola; quindi non è esatto dire che il kerigma è il primo annuncio nel Nuovo Testamento e didaché l'istruzione successiva fatta nelle comunità.
Vi sono invece casi, forse minori, in cui il kerigma sembra riferirsi al complesso di tutta l'attività predicativa (cfr. Rom 16,25). Da ciò è dunque evidente che non si può indicare una terminologia precisa ricavandola dal Nuovo Testamento, anche se essa fa comodo per una distinzione nostra; invece è chiaro che il Nuovo Testamento distingue di fatto, oggettivamente, una prima predica ai non credenti con una presentazione globale del messaggio, dalle successive istruzioni che aiutavano a rafforzare e ad approfondire la fede. In questo senso c'è una distinzione, ma non possiamo legarla troppo facilmente e acriticamente a due termini, quasi che essi ci diano la chiave terminologica delle espressioni del Nuovo Testamento.
Anche limitandoci alla predica ai non credenti, alla predica di impatto, e limitando l'evangelizzazione all'annuncio del Cristo a chi non crede, vediamo che nel Nuovo Testamento (cfr. Atti degli Apostoli) esiste una notevole varietà terminologica: non c'è quindi una condensazione su un unico termine, dalla cui analisi filologica si possa dedurre tutto; abbiamo formule molto generali, per es.: «parlare la Parola di Dio» (Atti 4,21); «dire tutte le parole della Vita» (Atti 5,20) ecc.
Ciascuna di queste indicazioni ha un sottofondo, contiene una serie di allusioni: «parlare la Parola di Dio» indica l'attività evangelizzatrice come continuazione e attuazione dell'attività profetica: i profeti parlavano la Parola di Dio, gli Apostoli proclamano, sono consci di affermare la Parola di Dio, con tutto il significato che essa ha nel sottofondo antico-testamentario; dire «tutte le parole della Vita», probabilmente ha una relazione con le parole dette da Dio a Mosè e da Mosè riferite al popolo: la legge che dà la vita. C'è quindi un riferimento all'attività mosaica e a tutto ciò che ne deriva, per cui ciascuna di queste formule andrebbe studiata specificamente per costruire un quadro complessivo.
Altri esempi di formule globali si trovano ancora negli Atti: «insegnare nel nome di Gesù», «riempire Gerusalemme di questa dottrina» (Atti 5,28); e formule più complesse come: «insegnare ed evangelizzare il Cristo Gesù» (Atti 5,42); «evangelizzare il Signore Gesù» (Atti 11,20) o formule più elaborate: «proclamare che Gesù è il Figlio di Dio» (Atti 9,20); «testimoniare a Giudei e Greci la conversione a Dio e la fede nel nostro Signore Gesù Cristo» (Atti 20,21). Sono questi soltanto alcuni esempi che però ci fanno vedere la grande varietà di formule esistenti nella Chiesa primitiva. La realtà era molto ricca e molto sentita era anche la terminologia corrispondente a questa realtà.
2. Il contenuto. Dietro a questa grande varietà terminologica abbiamo una costanza nel contenuto? Cioè, si può determinare il contenuto della evangelizzazione così come ce la presenta il Nuovo Testamento?
Anche qui mi limito a richiamare alcuni testi fondamentali soprattutto degli Atti degli Apostoli, nei quali troviamo due tipi di esempi sul contenuto della evangelizzazione. Vi sono alcune sintesi brevi di sermoni di tre, quattro versetti, che indicano la sintesi di una predica, e vi sono le note sintesi più ampie dei capitoli 2, 3, 10, 13.
Riassumiamo brevemente il contenuto e quindi le indicazioni che derivano dalle une e dalle altre.
Ecco alcune sintesi brevi di sermoni: in Atti 17,1-3 si sintetizza la predica di Paolo dicendo che egli andava spiegando e dimostrando che il Cristo doveva patire e risorgere da morte, e diceva: «Questo Gesù che io vi annuncio è il Cristo». Questo testo in tre righe presenta una sintesi della predica paolina; analogamente in Atti 26,22-23: Paolo annuncia ciò che han detto Mosè e i Profeti, cioè che il Cristo doveva soffrire e che il risuscitato, per primo, dai morti annuncerebbe la luce al popolo e ai gentili. Formule analoghe in Atti 9,22; 18,28; 8,5; ecc. In queste brevi sintesi di discorso abbiamo già dunque una indicazione della costanza del contenuto.
Per le formule più ampie, non potendo esporle completamente, vorrei limitarmi a farne quasi un centone unico, in una specie di discorso continuato risultante dalle formule prese da vari capitoli per vedere che forma esso assume, e per notare due cose: le presenze e le assenze, cioè le cose che ci sono e quelle che non ci sono.
Leggo brevemente questo tentativo di centone dei vari discorsi messi insieme.
Ministero di Gesù: «Dio ha consacrato in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazareth. Egli dovunque andava faceva del bene, guariva tutti quelli che erano oppressi dal diavolo perché Dio era con Lui. Egli è accreditato da Dio presso di voi con prodigi, portenti e miracoli che Dio ha compiuto in voi per mezzo suo».
Processo e morte di Gesù: «Questo Gesù è stato tradito: voi per mano di gente senza legge l'avete crocifisso e ucciso, l'avete consegnato e rinnegato davanti a Pilato, avete rinnegato il Santo ed il Giusto, avete ucciso l'autore della vita sospendendolo ad un legno. Gli abitanti di Gerusalemme lo hanno misconosciuto; pronunciando la condanna contro di Lui hanno verificato le profezie. Dopo aver compiuto tutto quello che era stato scritto di Lui, lo deposero dal patibolo e lo misero in un sepolcro».
Resurrezione di Gesù: «... Ma Dio lo ha resuscitato sciogliendo il dolore della morte. Queste cose Davide le aveva predette, questo Gesù, dunque, Dio lo ha resuscitato, e tutti ne siamo testimoni. Per voi Dio ha resuscitato il suo servo al terzo giorno, in maniera che non debba mai tornare alla corruzione».
Apparizione di Gesù: «Dio ha voluto che si manifestasse ai testimoni che aveva scelti, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con Lui dopo la resurrezione dai morti; Dio lo ha costituito Signore e Cristo, questo Gesù che voi avete crocifisso, e lo ha fatto pietra d'angolo, capo supremo e Salvatore...
Questo Gesù, ottenuto dal Padre il dono promesso dello Spirito, lo ha effuso e noi ne siamo testimoni insieme allo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli ubbidiscono... Questo Gesù è stato costituito da Dio giudice dei vivi e dei morti. Pentitevi dunque! ciascuno di voi si faccia battezzare in nome di Gesù per ottenere il perdono dei peccati, e riceverà il dono dello Spirito, che è per voi e per i vostri figli... Fate dunque penitenza e convertitevi perché i vostri peccati siano cancellati... Gesù, Dio lo ha resuscitato per voi, per distogliere ciascuno di voi dai vostri peccati... Non c'è in alcun altro salvezza, solo nel Suo nome possiamo essere salvi; Dio lo ha elevato come Salvatore per concedere a Israele la conversione e la remissione dei peccati»... ecc.
Questa serie di testi ci dà dunque una sintesi di quanto ricorre qua e là in vari contesti e in varie situazioni, riguardo alla predica di evangelizzazione del cristianesimo primitivo. Esaminandoli brevemente notiamo alcune presenze e qualche assenza, sulle quali poi dovremo ritornare.
Presenze evidenti: Gesù Cristo è al centro della predica; il riferimento a Lui è continuo sia nelle sintesi brevi, come nelle sintesi più ampie: Gesù è l'evento definitivo della salvezza; Dio interviene nel mondo in Gesù Cristo, nella sua vita, morte, resurrezione.
Tutti questi eventi sono visti in relazione alla conversione, alla fede, al dono dello Spirito; l'azione di Dio e la trasformazione dell'uomo sono conseguenze di un'azione straordinaria e mirabile di Dio.
Si tratta di una predicazione escatologica che proclama ciò che Dio ha fatto per trasformare la situazione del mondo in quest'ultimo tempo, con un riferimento continuo, essenziale alla persona di Gesù, con uno sbocco alla conversione, alla fede, al dono dello Spirito, e a tutte le attività che lo Spirito crea e che saranno poi spiegate soprattutto nel capitolo secondo degli Atti.
L'evangelizzazione primitiva può essere dunque descritta, riguardo ad alcune presenze fondamentali, come «la proclamazione dell'opera di Dio nella vita, morte, glorificazione di Gesù Cristo, il quale offre a chi l'ascolta e si converte, il perdono dei peccati e il dono dello Spirito».
Noto soltanto l'assenza, istruttiva per noi, di riferimenti alla situazione ambientale sociologica, politica, economica; in questi brevi schemi di discorsi non appaiono evidenti riferimenti a questi temi. L'evangelizzazione nella Chiesa primitiva è l'annuncio di un grande evento che si è verificato da parte di Dio, cioè l'evento del Cristo, con le sue conseguenze trasformanti.
Questi due fattori (evento e conseguenze trasformanti) sono dunque importanti e irrinunciabili in ogni traduzione della evangelizzazione in altri termini culturali, sia di forma che di contenuto.
Infatti anche quando la predica del Nuovo Testamento si dilunga su altri temi (come nelle parti parenetiche delle Epistole) sulle conseguenze della trasformazione per la situazione del mondo, è sempre in relazione all'evento decisivo del Cristo; la predica neotestamentaria non è dunque un valore astratto: il primato della povertà, il primato della giustizia o anche il primato della carità; neppure è il capovolgimento delle situazioni umane come tali; è la presenza di Cristo fra noi che compie le promesse di Dio. Questa mi sembra il fondamento, il punto di riferimento continuo di tutta la evangelizzazione primitiva.
3. Il metodo. Come avviene, nella predica primitiva il contatto con l'uditore?
Esaminando attentamente i documenti, e in particolare il discorso degli Atti (che danno predica e contesto) dobbiamo dire che tale contatto è costante: il metodo di annuncio della Chiesa primitiva bada sempre al rapporto con l'uditore; non c'è mai l'evangelizzazione astratta: parola che vibra nell'aria, nella speranza che qualcuno, in qualche maniera, l'ascolti; la parola che viene annunciata è la Parola del Cristo, è il Cristo stesso come persona; ma questo annuncio avviene sempre in un contesto nel quale si ha un rapporto diretto con chi ascolta. L'evangelizzazione è sempre fatta sulla persona di Gesù, ma «a qualcuno», a qualche persona concreta che ha con la Parola un qualche aggancio visibile e specifico.
Quali sono questi agganci, che peraltro sono molto di più che semplici agganci ma vere situazioni ambientali e condizioni di realizzazione?
Esaminando i discorsi degli Atti, mi sembra di poter ridurre questo rapporto tra Parola e situazione dell'ascoltatore, a quattro categorie che propongo come motivo di ripensamento: a) il segno; b) lo Spirito; c) la Scrittura; d) l'esperienza religiosa dell'uditore.
a) - Il Segno. Spesso il rapporto con l'uditore è stabilito con un segno, cioè, in concreto, soprattutto nei primi capitoli, con un miracolo; avviene qualcosa di straordinario; per es. la guarigione dello storpio nel Tempio; crea meraviglia, crea sorpresa, crea la domanda; partendo da ciò si proclama il Cristo risorto e si lancia l'appello alla penitenza; quindi il contesto di ascolto è segnato immediatamente e fortemente da questo segno strepitoso che ha sconvolto gli uditori.
Vediamo come si svolge il discorso (Atti 3,12-13): la gente corre verso Pietro e Giovanni, nel portico detto di Salomone; quindi c'è attesa, ansia, desiderio di sapere; vedendo ciò, Pietro si rivolge al popolo e dice: «O Israeliti, perché vi meravigliate di questo?». Quindi il punto di partenza è la meraviglia degli uditori. «Perché tenete gli occhi fissi su di noi, come se per nostra virtù o per merito della nostra pietà avessimo fatto camminare quest'uomo? Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri Padri glorificò il servo suo Gesù...». E qui inizia la predica di evangelizzazione. È chiaro il punto d'attacco e la sua importanza; non è una predica proclamata a gente distratta che non sa che farsene, ma è la risposta a una domanda provocata da un segno.
Un rapporto analogo tra parola e segno l'abbiamo (Atti 4,29-30) nella preghiera finale della persecuzione che dice: «E ora, Signore, riguarda le loro minacce e concedi ai tuoi servi di annunziare con piena sicurezza la Tua Parola, dal momento che stendi la Tua mano perché si compiano guarigioni, miracoli e prodigi nel nome del Tuo Santo Servo Gesù». Qui la traduzione non è facile, il testo che ho letto dice: concedi di annunziare la Tua Parola dal momento che stendi la tua mano perché si compiano guarigioni. Il testo greco è più forte, ma anche volutamente generico: il versetto 29 dice: «nell'estendere la tua mano»; i significati che può avere questo gesto sono vari: strumentale, di condizione, di causa, di situazione; cioè esiste una terminologia piuttosto vasta, difficile da definire con una delle nostre categorie, che però pone una chiarissima relazione tra l'annunciare con parresia, con completa sincerità, libertà e coraggio, la Parola, e «l'estendere tu» la mano per fare segni, guarigioni, miracoli per il nome del suo servo Gesù.
Avendo qui l'elencazione di tre obiettivi «nell'estendere la tua mano per operare guarigioni, segni e prodigi», possiamo già porre la domanda che forse potrà essere sviluppata più ampiamente in alcuni gruppi di studio: quali segni sono collegati ordinariamente con la Parola? Guarigioni, miracoli e prodigi costituiscono una categoria che può essere molto ampia, inserendovi tutto ciò che guarisce l'uomo, tutto ciò che lo promuove, lo innalza, lo libera, cosicché ogni esperienza di liberazione fa parte degli elementi che si collegano con la Parola: guarigione, segni, prodigi? È un problema che oggi si pone molto insistentemente.
Vorrei dare soltanto qualche indicazione per riflettere su questo tema, molto importante, ma dal quale non si possono trarre conclusioni definitive; infatti è estremamente difficile affermare che ogni esperienza di liberazione umana può essere considerata espressione di evangelizzazione; per lo meno non è evangelizzazione ogni esperienza di liberazione o di promozione come tale, ma ogni esperienza di miglioramento, di umanizzazione che è espressione della strapotente azione di Dio la quale si esplica in alcune di queste azioni.
Nel testo biblico, ciò che desta la meraviglia, lo stupore, che provoca la domanda: «Chi ha fatto questo? a chi sono da riferirsi queste realtà? non è l'efficienza di una cosa bene organizzata dagli uomini, ma l'esperienza di una potente azione di Dio. E ciò anche nei testi dell'Antico Testamento: per es.: Israele è liberato dall'Egitto, ma non per la sua forza, per la sua astuzia, per la sua organizzazione, per la sua capacità di darsi uno statuto giuridico da solo, ma per l'intervento diretto di Dio.
Potremmo forse dire così: ogni esperienza in cui appare l'opera di Dio che supera le forze di morte, ogni esperienza in cui l'egoismo umano, e diciamo l'entropia, l'indifferenza verso la quale l'azione umana come tale lasciata al proprio egoismo va a terminare, viene interrotta da una forza contraria che si sente originata dall'alto, può essere considerata in relazione a questa attualizzazione della Parola; qualche esperienza di strapotente azione di Dio è quindi essenziale per capire il «segno» così come ce lo presentano gli Atti degli Apostoli.
b) - Lo Spirito. Anche questo segno è così vasto che potrebbe comprenderli un po' tutti, ma lo definiamo a parte perché ha dei contesti in cui può essere analizzato in maniera specifica: il contesto privilegiato è ancora Atti 2,32.
«Costui è quel Gesù che Iddio ha risuscitato: noi tutti ne siamo testimoni, e ora dunque, dopo essere stato elevato al cielo dalla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre la promessa dello Spirito Santo, Egli ha diffuso quel medesimo Spirito che voi vedete e ascoltate».
Ecco il contatto immediato con l'uditore; non si parla di una verità stratosferica, ma si viene a parlare di un qualcosa «che voi vedete e ascoltate». Analizzando tutta la struttura di questo capitolo, vediamo che parte appunto da un evento dello Spirito che crea la domanda: «perché questo? che cosa significa ciò?». La risposta fa appello al contesto dello Spirito per dire: «In questa esperienza voi sentite giungere a voi la vita del Cristo Risorto presso Dio», la quale dunque non è una verità astratta, ma tocca attraverso l'esperienza dello Spirito.
Che cosa si può mettere sotto la categoria dello Spirito? Mi pare che qui il Nuovo Testamento ci dia alcune indicazioni preziose: vedi Atti degli Apostoli, ma ancor più le Lettere di S. Paolo; la categoria dello Spirito comprende tutto ciò che il Nuovo Testamento pone come frutto e come effetto dello Spirito, cioè tutte quelle realtà che fanno vivere in una comunità una esperienza spirituale inconfondibile, cioè una esperienza che crea la domanda: ma come avviene ciò? come mai succedono queste cose?
Mi riferisco in particolare a due passi del Nuovo Testamento: l'elenco di 1 Cor 12,8-10, in cui abbiamo appunto una serie di cose che lo Spirito opera: il linguaggio della sapienza, il linguaggio della scienza, la fede, i carismi di guarigione, il dono di operare miracoli, la profezia, il discernimento degli spiriti, la diversità delle lingue, l'interpretazione delle lingue; tutte cose che compie un solo e medesimo Spirito, e che creano, per la loro novità, per la loro imprevedibilità, in quanto vanno contro alla legge di egoismo, di morte, di indifferenza e, diciamo, di opportunismo quotidiano, la domanda: «ma come può esservi questa esplosione di vita, di carità, di doni, di servizio, di vivacità in mezzo alle sofferenze, di gioia in mezzo alla prova?»; da qui nasce la risposta evangelizzatrice.
La Lettera ai Galati (cap. 5,22) che fa vedere come di fatto possiamo vivere ampiamente e talora in situazioni molto umili, semplici e nascoste, questa esperienza dello Spirito che è carità, gioia, pace, pazienza, benignità, bontà, fedeltà, dolcezza, temperanza; tutte cose che in situazioni di difficoltà, di disagio, di attrito continuo nella vita quotidiana, creano la domanda: «ma come è possibile conservare pace e serenità, servizio, affabilità, dono?».
Lo Spirito suscita queste situazioni e suscita la domanda; perché nessuno rimane indifferente di fronte a una persona veramente disinteressata, generosa e sincera che non cerca il proprio tornaconto, ma si dona superando ogni legge di opportunismo. Questa domanda suscita la risposta: «È lo Spirito del Cristo Risorto». E quindi il Cristo è evangelizzato.
c) - La Scrittura. Per chi accetta il Vecchio Testamento come manifestazione di un disegno di Dio, si mostra, partendo dai testi, che tale disegno si compie in Gesù e quindi l'attualizzazione, il rapporto è dato dalla Bibbia stessa: noi abbiamo questa Bibbia, la riconosciamo come valore e su questo nasce il rapporto con la parola evangelizzatrice.
Cito soltanto qualcuno dei molti testi, per es. Atti 13, 32-33: «Noi vi annunciamo la buona novella della promessa fatta ai Padri nostri e che Dio ha compiuto resuscitando Gesù per noi loro figli, come sta scritto nel Salmo... ecc.; oppure nella comunità incipiente di Berea: Atti 17,11: «Questi, animati da sentimenti più nobili di quelli di Tessalonica, ricevettero la Parola con ogni prontezza, ed esaminavano ogni giorno le Scritture per vedere se le cose stessero in tal modo».
Ma si potrebbe dire: questo elemento di contatto è limitato soltanto a chi già crede e conosce le Scritture? In realtà sappiamo che, almeno nella nostra civiltà occidentale, grazie a Dio, la situazione è buona, cioè ci sono molte persone che sono sensibili a una lettura delle Scritture; e quando si parla loro a partire dalle Scritture, c'è subito un primo punto di contatto, c'è almeno la domanda: «Che cosa significano questi libri che ci vengono da tanto lontano, che ci portano un'esperienza cosi grande, che ci dicono qualche cosa di molto più elevato di ogni nostro discorso quotidiano?».
Penso perciò che l'esperienza che si fa nel nostro mondo occidentale, almeno dove la Bibbia è stata portata e proclamata, e quindi rimane in qualche maniera presente, è che la pagina biblica crea sempre facilmente un rapporto con l'uditore, almeno un rapporto di domanda, di curiosità, di interesse, anche forse di un certo disagio: «Perché la Bibbia dice così?». C'è in fondo a questa domanda anche la difficoltà di afferrarne il senso: «La Bibbia ha qualcosa da dire? Non la capisco, ma vorrei capirla!».
Anche questo aspetto del problema offre dunque una vasta possibilità di contatti non limitata soltanto ad ambienti specifici.
d) - L'esperienza religiosa dell'uditore. Gli Atti degli Apostoli ci descrivono chiaramente anche ambienti nei quali la Scrittura era ignorata completamente, non si sapeva neppure che esistesse; sono i casi dei capitoli 16 e 17, dei quali vorrei almeno indicare, dal punto di vista del contenuto, che cosa ci suggerisce in questi casi l'esperienza del cristianesimo primitivo.
Mi pare infatti che quando non c'è contatto possibile sulla base delle Scritture perché sono del tutto ignorate, allora il rapporto si può stabilire sulla base dell'esperienza religiosa degli uditori. Paolo dice in sostanza, ai pagani di Atene: «Voi avete una certa comprensione religiosa della storia del mondo: di questa vostra comprensione religiosa, anche se generica e iniziale, vi viene annunciata ora la pienezza». C'è dunque un rapporto con una domanda religiosa, una qualche concezione, direi, della presenza di Dio, del fatto che la storia umana non si esaurisce in se stessa, ha un senso superiore ad essa, deve avere dei valori di riferimento assoluti.
È interessante notare qui, mi sembra, non tanto i singoli esempi che io ho definito come Segno, Spirito, Scrittura, Esperienza religiosa, che forse potrebbero avere altri nomi, ma il fatto che la predica di evangelizzazione ordinariamente fa appello a un «contesto», almeno, come minimo, a un contesto comunitario di vita cristiana vissuta. S. Paolo parla di predicazione con potenza, intesa, mi sembra, non solo come esibizione di segni straordinari, ma come rinnovamento umano e religioso della comunità che accoglie il messaggio; quindi vi è uno stretto rapporto tra evangelizzazione e comunità: «Voi siete la mia lettera di raccomandazione».
Nel metodo dell'evangelizzazione dunque, c'è sempre un richiamo all'attualità; un richiamo a quegli elementi che in qualche maniera si possono definire come religiosi, che pongono cioè in rapporto col disegno di Dio, con la Sua presenza mirabile, con l'accettazione del Suo disegno nel mondo, con un senso e un valore in qualche maniera trascendente della storia; la speranza del Nuovo Testamento è che in ogni uomo esiste ed è da scoprire una qualche domanda di questo tipo, altrimenti senza la presenza di questa domanda, un rapporto non potrebbe nascere e sarebbe vano il mandato di predicare.
Per concludere: l'evangelizzazione si riferisce sempre al Cristo sia come oggetto dell'annuncio sia come movente dell’annuncio; oggetto privilegiato dell'evangelizzazione è la persona di Gesù, perciò ogni definizione del contenuto dell'evangelizzazione, come pure ogni nuova proposta di modo di evangelizzare va sempre riferita alla realtà del Cristo Signore.
Questo è il punto di confronto perenne; sono insufficienti, mi sembra, tutti quei contenuti di evangelizzazione che si riferiscono alla sola situazione umana trasformata o da trasformare, senza un riferimento sostanziale all'autore di questa trasformazione, che è il Cristo, e al carattere trascendente di questa trasformazione, che è l'opera di Dio attraverso la fede, la penitenza, la conversione e il dono dello Spirito.
Il predicare unicamente una situazione umana da cambiare, può essere un'ottima predica, di carattere filosofico o sociale, ma non è evangelizzazione, perché non ha un riferimento sostanziale a Colui che muta la situazione, cioè il Cristo, e al carattere trascendente di questo cambio, che non è relazione tra causa umana ed effetto umano, ma è conversione, fede, accettazione della regola evangelica dell'umiltà e della pace, accettazione della morte e resurrezione, e dono trasformante dello Spirito.
Il Cristo è dunque l’oggetto privilegiato dell'annuncio ed è anche il movente dell'annuncio.
L'annuncio è un incarico, una missione, una responsabilità; ed è quindi anche un dovere proporzionale al tipo di missione ricevuta. È un dovere generale per ogni battezzato, ed è un dovere speciale per tutti coloro che la Chiesa, nel suo ambito, incarica in maniera più particolare di questa evangelizzazione specifica. È dovere che dal Cristo, per mezzo degli Apostoli, si diffonde a tutta quanta la Chiesa.
Essendo un dovere possiamo concludere che non è un compito facile, né un compito che promette soddisfazioni, né un compito a cui ci si sobbarchi come a un diversivo, ma è un incarico duro e difficile, che richiede soprattutto costanza e fedeltà; proprio come il seme della parabola evangelica, che appunto porta frutto nella costanza e nella pazienza. Non essendo né un'opera facile, né un'opera che ci siamo presi da noi, è un'opera nella quale è importante perseverare, malgrado le difficoltà, nella fedeltà alle leggi di quest'opera, cioè al Cristo che manda. Allora l'evangelizzazione potrà perennemente ritrovare la sua forza.