Catechesi in pigiama. Educare alla fede in famiglia, di Franca Feliziani Kannheiser
Riprendiamo sul nostro sito un testo di Franca Feliziani Kannheiser. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (28/11/2011)
Qual è il ruolo della famiglia nella catechesi? Possono i percorsi di IC realizzarsi senza il contributo della famiglia? O ancor di più: è ipotizzabile un’educazione alla fede che non tenga conto del contesto familiare?
Se l’annuncio che il bambino riceve non trova echi e radici nell’ambiente familiare, esso rischia di essere come quel seme che piantato in un terreno arido e sassoso muore o viene rubato dagli uccelli. Da parte sua la famiglia può realizzare la sua realtà di grembo fecondo della fede, solo se si nutre a quello più ampio della comunità parrocchiale in un accordo armonico di ruoli e di compiti.
Spesso la famiglia deve essere aiutata a riscoprire la sua dignità di educatrice della fede, prima di tutto attraverso un accompagnamento discreto e sapiente dei genitori alle radici della propria fede che possono essere nascoste da anni di trascuratezza e indifferenza, in seguito attraverso l’incoraggiamento ad assumersi ruoli attivi nell’educazione cristiana dei figli, ogni famiglia secondo le sue disponibilità e competenze. E poiché non esiste la famiglia, ma tante famiglie, anche la modalità di educazione alla fede che essa mette in atto non può essere solo una, standardizzata, ma tante, quelle che meglio corrispondono alla sensibilità e alla preparazione dei genitori: così ci potrà essere una catechesi esplicita là dove i genitori si sentiranno in grado di trasmettere e spiegare i contenuti del cristianesimo, ma ci potranno anche essere situazioni in cui l’educazione alla fede si esprimerà quasi esclusivamente attraverso il linguaggio implicito della quotidianità, vissuta con nuova consapevolezza e profondità e per ciò aperta al trascendente.
Il Vangelo della quotidianità
Penso che il Vangelo che i genitori sono chiamati ad annunciare come risposta al comando di Gesù: “Andate e annunciate il Vangelo” sia soprattutto quello della quotidianità. I genitori possono essere testimoni che proprio la quotidianità è la strada su cui il bambino può incontrare la presenza discreta e operante di Dio. Il momento del risveglio e quello dell’addormentarsi, il pasto, il gioco e lo studio possono trasformarsi in “tempi sacri” per entrare in rapporto con Dio, così come la cucina e il lettone di mamma e papà possono diventare “spazi sacri” perché lì Dio si rivelerà nei momenti di intimità della famiglia, nelle parole e nei gesti che rendono manifesto ciò di cui la famiglia vive: il rispetto e la cura reciproci, la tenerezza, la condivisione. Solo in famiglia il bambino impara ad ascoltare, osservare, toccare, gustare. Solo la mano della mamma o di una persona cara può richiamare la sua attenzione sulla foglia colorata del faggio e sull'andare paziente della lumaca. Solo lei può additare, come una meraviglia, il fiore appena sbocciato o il frutto maturo al punto giusto.
Sono sue le braccia che accolgono il bambino al risveglio, quando ci si sente «gettati nel mondo» e non ancora pronti per un nuovo inizio. (Il modo di svegliarsi o di essere svegliati - con una carezza o con uno strattone, con un sorriso o con un brusco richiamo - non condizionerà, forse, i tanti inizi delle sue giornate e della sua vita?). Da lei o dal papà il bambino riceve alla sera il racconto o il giocattolo-viatico per entrare nel Paese del sonno, a volte spaventoso come la terra della morte. Osservandola egli impara quanta cura richiede la preparazione del cibo, ma anche quanta festa comunichi la tavola apparecchiata per le occasioni speciali, quando gli amici si riuniscono per celebrare ricorrenze e compleanni o, semplicemente, la gioia di stare insieme. Le premure e le tenerezze che si scambiano i genitori gli rendono visibile la tenerezza di Dio che ascolterà risuonare, poi, nell'annuncio del Vangelo. E il loro atteggiamento di fronte alla malattia e alla morte gli farà capire se si può sperare contro ogni speranza.
In famiglia il bambino riceve il sacramento della Riconciliazione e del perdono, molto tempo prima di sapersi accostare a un confessionale e dalla fiducia del genitori mutua il coraggio di crescere, di «stare sulle proprie gambe», per intraprendere autonomamente nuovi cammini. Questa «catechesi sacramentale» che i genitori attuano con ogni loro gesto sarà arricchita ed esplicitata dalla narrazione di Gesù e dal Dio che egli chiama «Padre». Solo in seguito la catechesi parrocchiale guiderà il fanciullo ad approfondire questo cammino di fede, accogliendolo in una comunità più ampia dove potrà ricevere un annuncio più approfondito e sistematico e partecipare alla celebrazione comunitaria.
La catechesi sacramentale
Da ciò che è stato detto appare evidente che un percorso di catechesi sacramentale non può esaurirsi nello spazio di pochi anni. Esso inizia nella prima infanzia ed è affidato prima di tutto alla famiglia che non può, però, svolgere il suo compito se non è sostenuta dalla comunità ecclesiale in cui ascoltare, sperimentare e vivere ciò che è chiamata a comunicare al bambino. Presentiamo un esempio.
L’eucaristia, un sacramento che nasce in famiglia
Forse nessun sacramento come l’eucaristia porta l’impronta della famiglia: si celebra intorno alla tavola, richiama uno dei momenti centrali della vita della famiglia, il pasto condiviso. In fondo, facciamo memoria dell’eucaristia e quindi della morte e resurrezione del Signore, ogni volta che ci sediamo a tavola insieme, che condividiamo, nei racconti che si intrecciano, le delusioni e le speranze, i successi e gli insuccessi dell’intera giornata, ogni volta che ogni componente diventa consapevole e grato per la grazia della presenza degli altri. La grande eucaristia domenicale che riunisce la grande famiglia dei cristiani è preparata nelle mille cucine e sale da pranzo in cui si realizza e perpetua il miracolo del mangiare insieme, se questo diventa momento di autentico incontro. Perché ci sono pasti familiari che preparano l’eucaristia ed altri che vi si contrappongono: i primi sono quelli in cui non ci si nutre solo di cibo, ma soprattutto della presenza reciproca e che sono resi lieti dalla comprensione, dalla complicità, dal conforto; i secondi sono quelli consumati in un silenzio astioso, costellati da rimproveri, rinfacci, ripicche. Ecco perché i genitori che chiedono per i loro figli il sacramento dell’eucaristia, dovrebbe impegnarsi a modificare il modo di consumare i pasti in famiglia per renderli un vero momento di comunione: non è la catechesi sull’eucaristia che la chiesa chiede loro principalmente, ma l’educazione a consumare il pasto come un momento durante il quale il bambino può maturare il rispetto per i doni della natura, la gratitudine per poter usufruire di beni che tanti altri non hanno, la consapevolezza che viviamo del calore della comunità, l’impegno dell’accoglienza e della condivisione con chi ha meno di noi.
Un esempio di preparazione remota all’eucaristia
In un prezioso libretto, purtroppo non ancora tradotto in italiano, dal titolo Mit dem Kleinkind Gott erfahren (Fare esperienza di Dio con il bambino), il pedagogista Fritz Oser e un gruppo di genitori descrivono alcune scene di vita familiare che evidenziano in quale modo un’esperienza quotidiana delle più comuni può diventare occasione di educazione religiosa.
La prima scena è la seguente e potrebbe rappresentarsi in ogni famiglia con un bambino piccolo, verso mezzogiorno.
La piccola Cristina apre la porta della cucina. La mamma è affaccendata ai fornelli: presto arriverà il papà per il pranzo. L’acqua bolle, bisogna ancora preparare l’insalata. La mamma ha mille cose da fare. Cristina cerca di arrampicarsi sulla sedia per vedere meglio ciò che succede. “Giù da lì. Cristina. Adesso non ho tempo per te. Corri a giocare..”.
I minuti sono contati, la mamma ha fretta e proprio adesso arriva il bambino che tocca di qua e di là, magari fa cadere qualcosa: volano i rimproveri e il pranzo sarà condito da lacrime e musi lunghi.
Forse le cose potrebbero anche andare diversamente: magari così.
La mamma va in cucina insieme al bambino che potrà aiutarla a preparare gli ingredienti del pranzo. mentre lavorano, nasce il dialogo:
“Adesso prepareremo il pranzo, pomodori, basico, spaghetti, formaggio da grattugiare…
“Spaghetti, pomodori, insalata ci sarà anche il dolce?”
“Sarebbe bello, ma oggi non ho avuto tempo per prepararlo. Magari domani. Guarda nel cestino della frutta, certamente c’è qualcosa che ti piace.”
Gli ingredienti sono pronti: la mamma comincia a cucinare, il bambino è impegnato nelle piccole incombenze adatte alle sue capacità, quando tornerà il papà potrà raccontargli che anche lui ha preparato il pranzo…
Da una situazione di questo tipo il bambino potrà imparare che:
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Nella nostra casa il cibo si tratta con cura e rispetto
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È bello preparare da mangiare insieme: la mamma mi spiega tutto, ha tempo per me, anche quando è impegnata..
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Prepariamo una cosa bella anche per il papà.
Nel primo caso la mamma si comporta solo come un’efficiente casalinga, nel secondo è anche un’educatrice. La griglia evidenzia la valenza formativa di questa esperienza:
Attività concreta con il bambino | Valenza educativa | Educazione religiosa |
Dialogare mentre si fa qualcosa insieme | Sviluppo di un rapporto di complicità e di fiducia | L’amore si manifesta concretamente nel dialogo |
Preparare i diversi ingredienti | Ammirare un bel cespo d’insalata o il colore dei pomodori, gustare il profumo del pane fresco | Quante belle cose ha fatto Dio per noi! Grazie! |
Il bambino e la mamma si aiutano reciprocamente | L’aiuto reciproco trasforma il lavoro in gioia | Rispetto, condivisione amore per il prossimo |
Naturalmente non tutti i pasti possono essere preparati insieme, tuttavia ogni giornata può offrire a chi sa coglierle mille occasioni per trasformare un gesto abituale in uno ricco di significato umano e religioso. Come sottolineano gli autori:
Molte mamme pensano che avere tempo per il proprio figlio significhi sbrigare in fretta tutti i mestieri, per poi dedicarsi alla sua educazione. Noi invece riteniamo che l’essenziale dell’educazione si realizza durante le occupazioni quotidiane, nelle situazioni normali di ogni giorno, qui nascono anche le decisioni più importanti in materia di fede.
Mettersi a tavola per fare festa
Il clima che si è creato durante la preparazione del pasto fa si che il sedersi a tavola diventi un momento di vero nutrimento da cui ripartire per affrontare con slancio il resto della giornata: le parole che si scambiano saziano la fame di ascolto e di comprensione che spesso è più tormentosa della fame di cibo. Una parola, un gesto, uno sguardo sono come il pane, più del pane.
Dove poi la tavola riunisce intorno a sé diverse generazioni, si esperimenta uno scambio di idee e di esperienze che saziano la fame di conoscenza dei più piccoli e li aiutano a capire che ognuno arricchisce la famiglia (e la società) con la diversità dei suoi doni e che lo sforzo di comprendere e di tollerare i limiti di ciascuno ci rende più forti e più maturi..
Il sapore speciale della domenica
Se non è possibile preparare in questo modo il pranzo di tutti i giorni, perché pressati da mille impegni, forse si può tentare di farlo, almeno la domenica, che si realizza veramente come “giorno del Signore” quando diventa l’occasione per sperimentare un nuovo modo di vivere, quello secondo il cuore di Dio. In questo giorno, dal gusto speciale, la fretta e lo stress dovrebbero essere dimenticati, per prendersi tempo per se stessi e per gli altri, per riscoprire il gusto del riposo, del gioco, dell’incontro. La vita viene essenzializzata a ciò che veramente conta: attraverso la preghiera individuale e comunitaria si prende coscienza che proprio il rapporto con Dio è il fondamento di una vita piena; la tavola apparecchiata con cura particolare, il buon cibo gustato insieme con distensione e allegria diventa segno della grande festa che Dio prepara per tutti gli uomini. Il pane condiviso richiama un altro pane quello spezzato insieme con una famiglia più grande, composta da tante famiglie, da tante persone che si riuniscono intorno all’altare per trovare forza e nutrimento.
Una domenica in famiglia potrebbe essere così.
Questa mattina non suona nessuna sveglia. Ci si alza con calma e chi si alza per primo, prepara la colazione per tutti. Oggi infatti si fa colazione insieme, magari ancora in pigiama. La televisione è spenta. Il giornale è ancora piegato. Si parla, si racconta, si stabiliscono i piani della giornata. I compiti sono stati fatti il giorno prima, non c’è nessun impegno urgente. Il cellulare serve solo per comunicare con parenti e amici. La giornata si stende davanti come un tempo lungo di vacanza: magari nel pomeriggio si potrà fare una passeggiata in città o in campagna. Forse a cena ci saranno ospiti da accogliere con simpatia: la famiglia si allarga.
Dopo la colazione ci si prepara per la messa: in parrocchia ci si incontra con il parroco, con famiglie persone amiche: è bello salutarsi, raccontarsi la settimana e poi riunirsi insieme intorno all’altare. L’ascolto della Parola è preparato dai tanti ascolti ricevuti e offerti durante la settimana; la richiesta di perdono è espressione dei tanti momenti di conflitto e di riconciliazione. L’offertorio è la presentazione delle gioie e delle difficoltà che tutta la famiglia ha vissuto nei giorni precedenti. Intorno al Pane che è Gesù, l’intera famiglia può recitare la preghiera “Come questi chicchi di grano formano un solo pane, la nostra famiglia e queste famiglie che tu hai riunito formano con te una sola famiglia. Rendici capaci d’incontrarci, di comprenderci, di condividere: allora la vita diventerà una festa senza fine”.