Visita guidata ai ritratti dei cardinali vicari di Roma dalla presa di Porta Pia, di Michele Manzo
Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Michele Manzo che consente, anche se solo in maniera giornalistica, di percorrere la storia dei cardinali vicari della diocesi di Roma dal 1900 ad oggi. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Vedi anche la Galleria dei ritratti dei vicari di Roma dalla presa di Porta Pia.
Il Centro culturale Gli scritti (24/11/2011)
Ci vediamo con il gruppo dei visitatori all’entrata del palazzo del Vicariato, a San Giovanni, e voltiamo verso destra, fino ad arrivare di fronte agli ascensori. Saliamo al terzo piano. All’uscita dell’ascensore ci dirigiamo a destra, verso l’ingresso dei tribunali. Dopo una decina di metri percorsi nell’ampio corridoio centrale notiamo che si apre sulla nostra destra un altro corridoio dove hanno sede l’Ufficio catechistico ed alcuni patroni dei tribunali ecclesiastici, chiuso in fondo da una vetrata, lungo la cui parete destra sono appesi una dozzina di quadri raffiguranti i cardinali vicari di Roma dalla presa di Porta Pia ad oggi.
Andiamo fino in fondo al corridoio per iniziare ad osservarli in ordine cronologico (ci sono le targhette su ciascun quadro a fornirci la denominazione del Vicario e l’arco temporale del suo governo). Vediamo velocemente i primi tre, dipinti a mezzobusto, della seconda metà dell’Ottocento. Le domande iniziano a partire dal quarto Vicario, il card. Domenico Jacobini, a causa di una durata inspiegabilmente molto breve desumibile dalla targhetta (1899-1900).
Come mai questo cardinale resta in carica solo un anno? Cosa gli è accaduto?
In realtà non si tratta di un anno ma addirittura di un solo mese e mezzo, da metà dicembre a fine gennaio, in quanto si ammalò gravemente proprio all’inizio dell’incarico e morì in un breve lasso di tempo, senza riuscire a realizzare quanto si proponeva da molto tempo in ordine alla moralizzazione del clero extra-diocesano residente a Roma. Aveva passato tanti anni all’estero, lui romano verace, e lì aveva redatto un documento di grave denuncia della situazione critica del clero a Roma. Riguardava in particolare la condotta morale del clero extra-diocesano che, venuto a Roma per qualche ragione – spesso per conflitti con il proprio vescovo – vi rimaneva grazie alla confusione che vi regnava in quanto a governo ecclesiastico. L’autorità ufficiale – cioè il Vicario del Papa – era spesso soverchiato da autorità ‘superiori’. Il chierico in questione trovava presto qualche monsignore disposto a proteggerlo e si inseriva nel ‘mercato’ del sacro sempre fiorente in città a causa della penuria di clero locale. A Roma li chiamavano i preti ‘scagnozzi’ poiché si prestavano a qualsiasi ministero per soldi, offrendo i loro servizi alle famiglie benestanti soprattutto in occasione dell’amministrazione dei sacramenti. Si diceva che erano disposti anche a stare in ginocchio delle ore dinanzi alla salma del defunto, pur di far fare bella figura alla famiglia pagante. Le cronache parlano di festeggiamenti particolari, da parte di tali gruppi di preti, nelle osterie della zona del Pantheon alla notizia della morte del card. Jacobini. Il Vicariato aveva infatti la sua sede in due sole stanzette in piazza S. Agostino ed il Vicario risiedeva nel palazzo di via delle Scrofa lì accanto. L’organismo del Vicariato non aveva tanta importanza. Nella città papalina la molteplicità dei poteri ecclesiastici presenti a Roma (cardinali, curia, religiosi) non permetteva allora al Vicario di governare la diocesi con la libertà e le facoltà di un qualsiasi vescovo.
E quest’altro che gli è succeduto, il cardinal Respighi, è riuscito a porre tali rimedi?
Sì, senz’altro, anche se non certo da solo. Era bolognese ma durante il suo vicariato si tiene una forte spinta riformistica in tutta la diocesi, forse la prima sollecitazione ad adeguare la chiesa romana alle mutazioni della città-capitale italiana, già raddoppiata rispetto a quella papalina di trent’anni prima. È il nuovo Papa, Pio X, che decide di prendere in mano la situazione di Roma e di destinarle molta parte delle sue attenzioni e risorse finanziarie. L’altro personaggio protagonista di questa fase, soprattutto nella fase operativa, è il ‘duro’ segretario del Vicariato mons. Faberj. Seguendo fedelmente e tenacemente le direttive di Pio X, Respighi e Faberj riescono a elaborare piani di riforma in tutti i campi: dalla musica sacra ai seminari (che vengono unificati nel Romano), dal clero alla rete parrocchiale (in cui vengono eliminate una ventina di parrocchie del centro storico per crearne altrettante nella periferia di allora, corrispondente all’attuale cinta delle mura aureliane). La sede del Vicariato, quasi a segnare la crescita d’importanza, viene trasferita in un palazzo nobile di via della Pigna, dalla parte opposta del Pantheon rispetto a S. Agostino, acquistato con una ingente somma, in cui rimarrà poi per circa sessant’anni fino al trasferimento nell’attuale sede del Laterano. È Faberj ad occuparsi personalmente della realizzazione delle decisioni che vengono prese dal Papa in apposite udienze con Respighi e con lui ogni quindici giorni. Il suo compito più sgradito è quello di ‘ripulire’ la città dal clero con comportamento immorale, quasi sempre extra-diocesano, creandosi tante antipatie fino a rimanerne vittima, con l’allontanamento dal Vicariato, dopo la morte di Respighi.
Chi è il cardinale che lo ha seguito e che è rimasto per ben diciotto anni?
Il card. Pompilj era umbro di provenienza ma romano di formazione e di vita, passata all’interno della curia vaticana in vari incarichi di tipo giuridico. Nominato da Pio X nel suo ultimo anno di vita, dopo la morte di Respighi, per mettere ordine in una diocesi in cui le riforme della fase precedente non erano ancora state ‘digerite’, Pompilj deve anzitutto liberarsi di Faberj ma allo stesso tempo il passaggio di pontificato tra Pio X e Benedetto XV e poi lo scoppio della prima guerra mondiale lo pongono di fronte a nuove esigenze e nuove sensibilità. Mutato il contesto, Pompilj, impegnato soprattutto a seguire le sorti dei sacerdoti e seminaristi romani andati al fronte, si adatta alle richieste del nuovo Pontefice che alla fine della guerra gli chiede una fase di forte rilancio delle attività collegiali della diocesi. Si moltiplicano i congressi eucaristici e catechistici e nel giro di tre anni, dal 1919 al 1922, la chiesa romana riesce a riprendere vitalità e visibilità nella città, ormai al bivio tra la gestione liberale e quella fascista. Riprendono le processioni popolari (ben organizzate e molto frequentate) e vengono riesposti i simboli cristiani nei luoghi storici della città, come al Colosseo e al Campidoglio. Nel ’22 si trova a cambiare nuovamente Papa. È Pio XI che gli chiede di mantenere lo slancio già acquisito, che procede fino alla Conciliazione del ’29. Nei due anni che seguono, fino alla sua morte, il rapporto con Pio XI si deteriora a causa di un mancato coinvolgimento del Vicario nelle trattative che precedono i Patti Lateranensi, cui Pompilj si contrappone duramente, venendo per questo ad esser controllato e temuto dalla polizia fascista. Un anno prima della morte già Pio XI gli affianca il successore designato alla guida di un organismo finora poco importante, l’Opera per la preservazione della fede a Roma (che era nata in funzione della lotta anti-protestante agli inizi del secolo), cui viene aggiunto un compito molto più centrale nella strategia del Papa: la costruzione delle nuove parrocchie nella periferia della città.
Si tratta forse del card. Marchetti Selvaggiani che vediamo ritratto qui di fianco?
Esatto. Il Vicario preferito da Pio XI è proprio lui, romano con piglio forte e deciso, ma anche saggio e lungimirante, amico del nuovo segretario di stato card. Pacelli, pronto a gestire senza indugi i piani costruttivi del pontefice. Potendo utilizzare gli ingenti mezzi frutto dei Patti, messi a disposizione dal Papa, realizza negli anni Trenta la fase di maggior crescita delle parrocchie romane, destinate in particolare alla fascia dei grandi quartieri della periferia urbana esterna alle mura aureliane. Le nuove parrocchie sono circa quaranta (erano poco più di sessanta), ed altre cinquanta cappelle sono erette nella fascia circostante della campagna romana.
Di fronte al fascismo e alla guerra che cosa ha fatto?
Rispetto al regime fascista si è tenuto in netto riserbo, pur profittando del clima di collaborazione tra i due Stati. Non andava mai alle inaugurazioni e cerimonie ufficiali, in cui sarebbe stato costretto ad incontrare le autorità. Rispetto alla guerra si è preoccupato, insieme al nuovo Papa Pacelli suo amico personale (si davano del “tu”), cioè Pio XII, soltanto della salvezza del maggior numero di persone perseguitate, sia giovani di leva sia ebrei sia antifascisti. Nei seminari e collegi romani sono state ospitate e protette migliaia di persone, soprattutto durante l’inverno 43-44 in cui i tedeschi hanno occupato la città.
E poi, nel dopoguerra, nello scontro tra cattolici e comunisti, chi è che guida la diocesi, quest’altro cardinale?
Sì, è il cardinal Micara, molto diverso per capacità operative rispetto al suo predecessore. È un curiale a tutto tondo, che considera il Vicariato come un ufficio. Può contare però su un Pio XII che fa da sé scavalcandolo frequentemente, ad esempio utilizzando il gesuita padre Lombardi per i suoi piani di cristianizzazione dei comportamenti cittadini. Poi, nel rapporto diretto con le parrocchie e i fedeli Micara può contare su una figura di Vicegerente super, quella di mons. Traglia che poi infatti gli succederà alla sua morte. È lì, nel quadro successivo. Micara non basta a Pio XII, scontento di lui al punto da affiancargli perfino un secondo Vicegerente fin dal 1953, mons. Cunial. Nel frattempo, tuttavia, per meriti acquisiti sul campo, cioè nella preparazione rapida del Primo Sinodo Romano del 1960, il nuovo pontefice Giovanni XXIII nomina Traglia Pro-vicario. Con Micara infatti il Papa era entrato in dissonanza riguardo l’evento sinodale mai tenutosi a Roma da 400 anni e così Giovanni aveva ripiegato sull’altro. L’idea che il nuovo Papa aveva di Micara è che fosse un immobilista.
E Traglia, come mai poi rimane Vicario solo per tre anni?
Perché il nuovo Papa, cioè Paolo VI, non si fida molto di lui. Micara lo aveva appoggiato nel conclave della sua elezione. Traglia, invece, al Concilio Vaticano II si era sempre espresso a favore del campo tradizionalista. Stava in diocesi da troppo tempo, vice gerente dal ’36 e poi pro-vicario dal ’60. Ci voleva un nuovo Vicario disposto ad applicare le novità del Concilio a Roma, la diocesi del Papa. Ecco così che, caso unico del Novecento, un Vicario viene sostituito in vita (ancora non ci sono i limiti di età). Paolo VI gli preferisce il card. Dell’Acqua, fedele collaboratore quando era in Segreteria di Stato e poi sostituto con Giovanni XXIII, figura amica e sintonizzata con i migliori esiti del Concilio.
È quest’altro più avanti... ma anche lui rimane poco tempo, solo quattro anni. Come mai?
Perché il destino, o lo Spirito Santo, ha voluto così. Aveva tutto a suo favore. Era benvoluto dal Papa innanzitutto. Dalla diocesi si stava facendo conoscere e tutto andava positivamente. Era una figura dotata di una certa carica di affettività, non autoritario, di tipo giovanneo come spirito. È riuscito solo ad introdurre i germi del Concilio a Roma ma non a controllarne gli esiti. Un infarto improvviso lo ha colpito infatti a Lourdes, durante il pellegrinaggio diocesano di fine agosto del 1972. Quindi Paolo VI deve sostituirlo in fretta.
Come mai la scelta cade sul card, Poletti?
Non era già cardinale prima di diventare Vicario, come tutti gli altri, ma lo diventò più tardi. Il motivo è che era già Vicegerente, secondo rispetto all’anziano mons. Cunial, ma chiamato nel ’69 dalla diocesi di Spoleto proprio perché giudicato da Papa Montini all’altezza di poter sostenere l’azione di Dell’Acqua. In quei pochi anni si era mostrato capace di essere vicino alle parrocchie e alle situazioni di disagio. Alla morte di Dell’Acqua dunque Poletti, lui che montiniano non era stato, appare agli occhi del Papa il miglior successore. Grazie alle sue capacità pastorali ed alle sue abilità amministrative Poletti diviene invece in breve il Vicario più vicino alla sensibilità del pontefice. Poletti gestisce con saggezza ed equilibrio la delicata fase del post-concilio, detta anche della contestazione ecclesiale. In questo ambito si trova a dover condurre il noto convegno del Febbraio ’74 detto sui ‘mali di Roma’ ed a guidare la diocesi in un mutato orientamento nei confronti della politica romana di allora.
E poi con Giovanni Paolo II come si è trovato?
La bravura di Poletti la si riscontra anche nel rapporto con Papa Woytjla, con cui è rimasto fino allo scoccare dei 75 anni, per circa 13 anni. Giovanni Paolo II ne ha apprezzato le doti di saggezza nominandolo presidente della Conferenza Episcopale Italiana per due quinquenni. Lo vedeva spesso perché conduceva a pranzo quasi ogni giovedì con lui i sacerdoti della parrocchia che il Papa sarebbe andato poi a visitare la domenica. Parlava con tutti. In Vicariato riceveva chiunque, parroci e fedeli... bastava fare la fila. Andava nelle parrocchie senza formalità ed aveva rinnovato il personale del Vicariato, soprattutto nello stile. Ha condotto anche la lunga fase di preparazione del secondo Sinodo diocesano che poi però ha concluso il suo successore che è quello dell’ultimo ritratto e che certamente avrete conosciuto.
Ah! Già, il cardinal Ruini. Certo che lo abbiamo conosciuto. È venuto anche nella nostra parrocchia.
Infatti è rimasto in carica fino a pochi anni fa, anche oltre il limite d’età. Giovanni Paolo II si è molto fidato di lui, al punto da affidargli anche l’incarico di presidente della Conferenza Episcopale Italiana per dieci anni, dopo che ne era stato segretario per cinque anni.