Le parole di Benedetto XVI nel suo viaggio in Benin (18-20/11/2011)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 19 /11 /2011 - 15:32 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito alcuni brani dai discorsi di Benedetto XVI nel suo viaggio in Benin. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti, così come i titoli assegnati ai diversi brani, sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (19/11/2011)

Indice

Modernità e tradizione in Africa

dal discorso di Benedetto XVI nella Cerimonia di benvenuto all’aeroporto internazionale "Cardinale Bernardin Gantin" di Cotonou (Benin), 18/11/2011

Il Benin è una terra di antiche e nobili tradizioni. La sua storia è prestigiosa. Vorrei approfittare di questa occasione per salutare i Capi tradizionali. Il loro contributo è importante per costruire il futuro di questo Paese. Desidero incoraggiarli a contribuire, con la loro saggezza e la loro conoscenza dei costumi, al delicato passaggio che attualmente si va operando tra la tradizione e la modernità.

La modernità non deve fare paura, ma essa non può costruirsi sull’oblio del passato. Deve essere accompagnata con prudenza per il bene di tutti evitando gli scogli che esistono sul Continente africano e altrove, per esempio la sottomissione incondizionata alle leggi del mercato o della finanza, il nazionalismo o il tribalismo esacerbato e sterile che possono diventare micidiali, la politicizzazione estrema delle tensioni interreligiose a scapito del bene comune, o infine la disgregazione dei valori umani, culturali, etici e religiosi. Il passaggio alla modernità deve essere guidato da criteri sicuri che si basano su virtù riconosciute, quelle che enumera il vostro motto nazionale, ma anche quelle che si radicano nella dignità della persona, nella grandezza della famiglia e nel rispetto della vita. Tutti questi valori sono in vista del bene comune, l’unico che deve primeggiare e costituire la preoccupazione maggiore di ogni responsabile. Dio si fida dell’uomo e desidera il suo bene. Sta a noi rispondergli con onestà e giustizia all’altezza della sua fiducia.

La Chiesa, da parte sua, dà il suo specifico contributo. Con la sua presenza, la sua preghiera e le sue diverse opere di misericordia, specialmente nel campo educativo e sanitario, essa desidera offrire ciò che ha di meglio. Vuole manifestarsi vicina a colui che si trova nel bisogno, a colui che cerca Dio. Desidera far comprendere che Dio non è inesistente o inutile come si cerca di far credere, ma che Egli è l’amico dell’uomo. È in questo spirito d’amicizia e di fraternità che vengo nel vostro Paese, Signor Presidente.

(In lingua fon) Dio benedica il Benin!

La misericordia di Dio concede il perdono e guida alla verità nella storia della salvezza

dal discorso di Benedetto XVI nella visita alla Cattedrale di Cotonou (Benin), 18/11/2011

La Storia della Salvezza, che culmina nell’Incarnazione di Gesù e trova pieno compimento nel Mistero pasquale, è una splendida rivelazione della misericordia di Dio. Nel Figlio è reso visibile il "Padre misericordioso" (2 Cor 1,3), che, sempre fedele alla sua paternità, "è capace di chinarsi su ogni figlio prodigo, su ogni miseria umana e, soprattutto, su ogni miseria morale, sul peccato" (Giovanni Paolo II, Enc. Dives in misericordia, 6). La misericordia divina non consiste solamente nella remissione dei nostri peccati: essa consiste anche nel fatto che Dio, nostro Padre, ci riconduce, talvolta non senza dolore, afflizione e timore da parte nostra, sulla via della verità e della luce, perché non vuole che ci perdiamo (cfr Mt 18,14; Gv 3,16). Questa duplice manifestazione della misericordia divina mostra come Dio è fedele all’alleanza sigillata con ogni cristiano nel Battesimo.

La Chiesa cattolica ed il crescente successo delle Chiese evangeliche o pentecostali

dall’incontro con i giornalisti nel corso del viaggio aereo in beni (18/11/2011)

P. Lombardi: Mentre gli africani sperimentano l’indebolimento delle loro comunità tradizionali, la Chiesa cattolica si trova confrontata con il successo crescente di Chiese evangeliche o pentecostali, a volte auto-createsi in Africa, che propongono una fede attraente, una grande semplificazione del messaggio cristiano: insistono sulle guarigioni, mescolano i loro culti con quelli tradizionali. Come si colloca la Chiesa cattolica nei confronti di queste comunità, aggressive nei suoi confronti? E come può essere attraente, quando queste comunità si presentano come festose, calorose o inculturate?

Santo Padre: Queste comunità sono un fenomeno mondiale, in tutti i continenti, soprattutto sono altamente presenti in modi diversi in America Latina ed in Africa. Direi che gli elementi caratteristici sono poca istituzionalità, poche istituzioni, un peso leggero di istruzione, un messaggio facile, semplice, comprensibile, apparentemente concreto e poi – come Lei ha detto – liturgia partecipativa con l’espressione dei propri sentimenti, della propria cultura e combinazioni anche sincretistiche tra religioni. Tutto questo garantisce, da una parte, successo, ma implica anche poca stabilità. Sappiamo anche che molti ritornano alla Chiesa cattolica o migrano da una di queste comunità all’altra. Quindi, non dobbiamo imitare queste comunità, ma chiederci cosa possiamo fare noi per dare nuova vitalità alla fede cattolica. E, direi, un primo punto è certamente un messaggio semplice, profondo, comprensibile; importante è che il cristianesimo non appaia come un sistema difficile, europeo, che un altro non possa comprendere e realizzare, ma come un messaggio universale che c’è Dio, che Dio c’entra [con noi], che Dio ci conosce e ci ama e che la religione concreta provoca collaborazione e fraternità. Quindi, un messaggio semplice e concreto è molto importante. Poi, anche che l’istituzione non sia troppo pesante è sempre molto importante, che sia prevalente, diciamo, l’iniziativa della comunità e della persona. E direi anche una liturgia partecipativa, ma non sentimentale: non dev’essere basata solo sull’espressione dei sentimenti, ma caratterizzata dalla presenza del mistero nella quale noi entriamo, dalla quale ci lasciamo formare. E, infine, direi, è importante nell’inculturazione non perdere l’universalità. Io preferirei parlare di interculturalità, non tanto di inculturazione, cioè di un incontro delle culture nella comune verità del nostro essere umano nel nostro tempo, e così crescere anche nella fraternità universale; non perdere questa grande cosa che è la cattolicità, che in tutte le parti del mondo siamo fratelli, siamo una famiglia che si conosce e che collabora in spirito di fraternità.

Intenzioni e concrete realizzazioni nelle conferenze internazionali per l’Africa

dall’incontro con i giornalisti nel corso del viaggio aereo in beni (18/11/2011)

P. Lombardi: Santità, negli ultimi decenni si sono avute in terra africana molte operazioni di peace-keeping, conferenze per le ricostruzioni nazionali, commissioni di verità e riconciliazione con risultati a volte buoni e a volte deludenti. Durante l’assemblea sinodale, i vescovi hanno avuto parole forti sulle responsabilità degli uomini politici nei problemi del continente. Quale messaggio pensa di indirizzare ai responsabili politici dell’Africa, e qual è il contributo specifico che la Chiesa può dare alla costruzione di una pace durevole nel continente?

Santo Padre: Il messaggio si trova nel testo che consegnerò alla Chiesa in Africa: non posso riassumerlo adesso, in poche parole. Vero è che ci sono state tante conferenze internazionali proprio anche per l’Africa, per la fraternità universale. Si dicono cose buone, e qualche volta anche si fanno realmente cose buone: dobbiamo riconoscerlo. Ma certamente le parole sono più grandi, le intenzioni, anche la volontà è più grande della realizzazione e dobbiamo chiederci perché la realtà non arriva alle parole e alle intenzioni. Mi sembra che un fattore fondamentale sia che questo rinnovamento, questa fraternità universale esige rinunce, esige anche di andare oltre l’egoismo ed essere per l’altro. E questo è facile da dire, ma è difficile da realizzare. L’uomo, così com’è dopo il peccato originale, vuole avere se stesso, avere la vita e non donare la vita. Quanto ho, vorrei conservarlo. Ma con questa mentalità, secondo cui non voglio donare, ma avere, naturalmente le grandi intenzioni non possono funzionare. Ed è proprio solo con l’amore e la conoscenza di un Dio che ci ama, che ci dona, che possiamo arrivare a questo: osiamo perdere la vita, osiamo donarci perché sappiamo che proprio così ci guadagniamo. Quindi, oggi i dettagli che si trovano nel documento del Sinodo riguardano questa posizione fondamentale: amando Dio ed essendo in amicizia con questo Dio che si dà, anche noi possiamo osare e implorare di dare, non solo di avere; di rinunciare, di essere per l’altro, di perdere la vita nella certezza che sì, proprio così, ci guadagniamo.

L’Africa “polmone spirituale” per l’umanità

dall’incontro con i giornalisti nel corso del viaggio aereo in beni (18/11/2011)

P. Lombardi: Santità, all’apertura del Sinodo Africano a Roma, Lei aveva parlato dell’Africa come di un grande "polmone spirituale per un’umanità in crisi di fede e di speranza". Pensando ai grandi problemi dell’Africa, questa espressione appare quasi sconcertante. In che senso pensa veramente che dall’Africa possa venire fede e speranza per il mondo? Pensa a un ruolo dell’Africa anche nell’evangelizzazione del resto del mondo?

Santo Padre: Naturalmente l’Africa ha grandi problemi e difficoltà, tutta l’umanità ha grandi problemi. Se io penso alla mia gioventù, era un mondo totalmente diverso da quello di oggi e qualche volta penso di vivere in un altro pianeta rispetto a quando ero ragazzo. Così l’umanità si trova in un processo sempre più veloce e rapido di trasformazione. Per l’Africa questo processo degli ultimi 50-60 anni - partendo dall’indipendenza, dopo il colonialismo, fino ad arrivare al tempo di oggi - è stato un processo molto esigente, naturalmente molto difficile, con grandi difficoltà e problemi, e questi problemi non sono ancora superati. Con il processo dell’umanità procedono anche le difficoltà. Tuttavia questa freschezza del sì alla vita che c’è in Africa, questa gioventù che esiste, che è piena di entusiasmo e di speranza, anche di umorismo e di allegria, ci mostra che qui c’è una riserva umana, c’è ancora una freschezza del senso religioso e della speranza; c’è ancora una percezione della realtà metafisica, della realtà nella sua totalità con Dio: non questa riduzione al positivismo, che restringe la nostra vita e la fa un po’ arida, e anche spegne la speranza. Quindi direi un umanesimo fresco che si trova nell’anima giovane dell’Africa, nonostante tutti i problemi che esistono e che esisteranno, mostra che qui c’è ancora una riserva di vita e di vitalità per il futuro, sulla quale possiamo contare.

Speranza

dal discorso di Benedetto XVI nell’incontro con i membri del governo, i rappresentanti delle istituzioni della repubblica, il corpo diplomatico ed i rappresentanti delle principali religioni, nel Palazzo Presidenziale di Cotonou,  19/11/2011

Spesso, nei miei precedenti interventi, ho unito alla parola Africa quella di speranza. L’ho fatto a Luanda due anni fa e già in un contesto sinodale. La parola speranza figura del resto più volte nell’Esortazione apostolica postsinodale Africae munus che firmerò fra poco. Quando dico che l’Africa è il continente della speranza, non faccio della facile retorica, ma esprimo molto semplicemente una convinzione personale, che è anche quella della Chiesa. Troppo spesso il nostro spirito si ferma a pregiudizi o ad immagini che danno della realtà africana una visione negativa, frutto di un’analisi pessimista. Si è sempre tentati di sottolineare ciò che non va; meglio ancora, è facile assumere il tono sentenzioso del moralizzatore o dell’esperto, che impone le sue conclusioni e propone, in fin dei conti, poche soluzioni appropriate. Si è anche tentati di analizzare le realtà africane alla maniera di un etnologo curioso o come chi non vede in esse che un’enorme riserva energetica, minerale, agricola ed umana facilmente sfruttabile per interessi spesso poco nobili. Queste sono visioni riduttive e irrispettose, che portano ad una cosificazione poco dignitosa dell’Africa e dei suoi abitanti.

Sono consapevole che le parole non hanno dovunque il medesimo significato. Ma, quella di speranza varia poco secondo le culture. Alcuni anni fa, ho dedicato una Lettera enciclica alla speranza cristiana. Parlare della speranza, significa parlare del futuro, e dunque di Dio! Il futuro si radica nel passato e nel presente. Il passato, noi lo conosciamo bene, addolorati per i suoi fallimenti e lieti per le sue realizzazioni positive. Il presente, lo viviamo come possiamo. Al meglio, spero, e con l’aiuto di Dio! È su questo terreno composto da molteplici elementi contradditori e complementari che si tratta di costruire, con l’aiuto di Dio.

Cari amici, vorrei leggere, alla luce di questa speranza che ci deve animare, due realtà africane che sono di attualità. La prima si riferisce piuttosto in maniera generale alla vita sociopolitica ed economica del Continente, la seconda al dialogo interreligioso. Queste realtà interessano tutti noi, perché il nostro secolo sembra nascere nel dolore e faticare a far crescere la speranza in questi due campi particolari.

In questi ultimi mesi, numerosi popoli hanno espresso il loro desiderio di libertà, il loro bisogno di sicurezza materiale, e la loro volontà di vivere armoniosamente nella diversità delle etnie e delle religioni. È anche nato un nuovo Stato nel vostro Continente. Numerosi sono stati anche i conflitti generati dall’accecamento dell’uomo, dalla sua volontà di potere e da interessi politico-economici che escludono la dignità delle persone o quella della natura. La persona umana aspira alla libertà; vuole vivere degnamente; vuole buone scuole e alimentazione per i bambini, ospedali dignitosi per curare i malati; vuol essere rispettata; rivendica un modo di governare limpido che non confonda l’interesse privato con l’interesse generale; e soprattutto, vuole la pace e la giustizia. In questo momento, ci sono troppi scandali e ingiustizie, troppa corruzione ed avidità, troppo disprezzo e troppe menzogne, troppe violenze che portano alla miseria ed alla morte. Questi mali affliggono certamente il vostro Continente, ma ugualmente il resto del mondo. Ogni popolo vuole comprendere le scelte politiche ed economiche che vengono fatte a suo nome. Egli si accorge della manipolazione, e la sua reazione è a volte violenta. Vuole partecipare al buon governo. Sappiamo che nessun regime politico umano è l’ideale, che nessuna scelta economica è neutra. Ma essi devono sempre servire il bene comune. Ci troviamo dunque davanti ad una rivendicazione legittima che riguarda tutti i Paesi, per una maggiore dignità, e soprattutto una maggiore umanità. L’uomo vuole che la sua umanità sia rispettata e promossa. I responsabili politici ed economici dei Paesi si trovano di fronte a decisioni determinanti e a scelte che non possono più evitare.

Da questa tribuna, lancio un appello a tutti i responsabili politici ed economici dei Paesi africani e del resto del mondo. Non private i vostri popoli della speranza! Non amputate il loro futuro mutilando il loro presente! Abbiate un approccio etico con il coraggio delle vostre responsabilità e, se siete credenti, pregate Dio di concedervi la sapienza. Questa sapienza vi farà comprendere che, in quanto promotori del futuro dei vostri popoli, occorre diventare veri servitori della speranza. Non è facile vivere la condizione di servitore, restare integri in mezzo alle correnti di opinione e agli interessi potenti. Il potere, qualunque sia, acceca con facilità, soprattutto quando sono in gioco interessi privati, familiari, etnici o religiosi. Dio solo purifica i cuori e le intenzioni.

La Chiesa non offre alcuna soluzione tecnica e non impone alcuna soluzione politica. Essa ripete: non abbiate paura! L’umanità non è sola davanti alle sfide del mondo. Dio è presente. È questo un messaggio di speranza, una speranza generatrice di energia, che stimola l’intelligenza e conferisce alla volontà tutto il suo dinamismo. Un Arcivescovo di Toulouse, il Cardinale Saliège, diceva: "Sperare, non è abbandonare; è raddoppiare l’attività". La Chiesa accompagna lo Stato nella sua missione; vuole essere come l’anima di questo corpo indicando infaticabilmente l’essenziale: Dio e l’uomo. Essa desidera compiere, apertamente e senza paura, questo immenso compito di colei che educa e cura, e soprattutto che prega continuamente (cfr Lc 18,1), che indica dove è Dio (cfr Mt 6,21) e dov’è il vero uomo (cfr Mt 20,26 e Gv 19,5). La disperazione è individualista. La speranza è comunione. Non è questa una via splendida che ci è proposta? Invito ad essa tutti i responsabili politici, economici, così come il mondo universitario e quello della cultura. Siate, anche voi, seminatori di speranza!

Vorrei ora affrontare il secondo punto, quello del dialogo,interreligioso. Non mi sembra necessario ricordare i recenti conflitti nati in nome di Dio, e le morti date in nome di Colui che è la Vita. Ogni persona di buon senso comprende che bisogna sempre promuovere la cooperazione serena e rispettosa delle diversità culturali e religiose. Il vero dialogo interreligioso rigetta la verità umanamente egocentrica, perché la sola ed unica verità è in Dio. Dio è la Verità. Per questo fatto, nessuna religione, nessuna cultura può giustificare l’appello o il ricorso all’intolleranza e alla violenza. L’aggressività è una forma relazionale piuttosto arcaica che fa appello ad istinti facili e poco nobili. Utilizzare le parole rivelate, le Sacre Scritture o il nome di Dio per giustificare i nostri interessi, le nostre politiche così facilmente accomodanti, o le nostre violenze, è un gravissimo errore.

Non posso conoscere l’altro se non conosco me stesso. Non posso amarlo se non amo me stesso (cfr Mt 22,39). La conoscenza, l’approfondimento e la pratica della propria religione sono dunque essenziali al vero dialogo interreligioso. Questo non può cominciare che con la preghiera personale e sincera di colui che desidera dialogare. Che egli si ritiri nel segreto della sua camera interiore (cfr Mt 6,6) per domandare a Dio la purificazione del ragionamento e la benedizione per il desiderato incontro. Questa preghiera chiede anche a Dio il dono di vedere nell’altro un fratello da amare, e nella tradizione che egli vive un riflesso della verità che illumina tutti gli uomini (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Dich. Nostra aetate, 2).

Conviene dunque che ognuno si ponga in verità davanti a Dio e davanti all’altro. Questa verità non esclude, e non è una confusione. Il dialogo interreligioso mal compreso porta alla confusione o al sincretismo. Non è questo il dialogo che si cerca.

Nonostante gli sforzi compiuti, sappiamo anche che, talvolta, il dialogo interreligioso non è facile, o anche che è impedito per diverse ragioni. Questo non significa affatto una sconfitta. Le forme del dialogo interreligioso sono molteplici. La cooperazione nel campo sociale o culturale può aiutare le persone a comprendersi meglio e a vivere insieme serenamente. È anche bene sapere che non si dialoga per debolezza, ma dialoghiamo perché crediamo in Dio, Creatore e Padre di tutti gli uomini. Dialogare è un modo supplementare di amare Dio ed il prossimo nell’amore della verità (cfr Mt 22,37).

Avere speranza non significa essere ingenui, ma compiere un atto di fede in Dio, Signore del tempo, Signore anche del nostro futuro. La Chiesa cattolica attua così una delle intuizioni del Concilio Vaticano II, quella di favorire le relazioni amichevoli tra essa e i membri di religioni non cristiane. Da decenni, il Pontificio Consiglio che ne ha la gestione, tesse legami, moltiplica gli incontri, e pubblica regolarmente documenti per favorire tale dialogo. La Chiesa tenta così di porre rimedio alla confusione delle lingue e alla dispersione dei cuori nate dal peccato di Babele (cfr Gen 11).

Saluto tutti i responsabili religiosi che hanno avuto l’amabilità di venire qui ad incontrarmi. Voglio assicurare a loro, come pure a quelli di altri Paesi africani, che il dialogo offerto dalla Chiesa cattolica viene dal cuore. Li incoraggio a promuovere, soprattutto tra i giovani, una pedagogia del dialogo, affinché scoprano che la coscienza di ciascuno è un santuario da rispettare, e che la dimensione spirituale costruisce la fraternità. La vera fede conduce invariabilmente all’amore. È in questo spirito che vi invito tutti alla speranza.

Queste considerazioni generali si applicano in maniera particolare all’Africa. Nel vostro Continente sono numerose le famiglie i cui membri professano credenze diverse, e tuttavia le famiglie restano unite. Questa unità non è solamente voluta dalla cultura, ma è un’unità cementata dall’affetto fraterno. Naturalmente, talvolta ci sono anche delle sconfitte, ma anche parecchie vittorie. In questo campo particolare, l’Africa può fornire a tutti materia di riflessione ed essere così una sorgente di speranza.

Per finire, vorrei utilizzare l’immagine della mano. La compongono cinque dita, diverse tra loro. Ognuna di esse però è essenziale e la loro unità forma la mano. La buona intesa tra le culture, la considerazione non accondiscendente delle une per le altre e il rispetto dei diritti di ciascuno sono un dovere vitale. Occorre insegnarlo a tutti i fedeli delle diverse religioni. L’odio è una sconfitta, l’indifferenza un vicolo cieco, e il dialogo un’apertura! Non è questo un buon terreno in cui saranno seminati dei semi di speranza?

Tendere la mano significa sperare per arrivare, in un secondo tempo, ad amare. Cosa c’è di più bello di una mano tesa? Essa è stata voluta da Dio per donare e ricevere. Dio non ha voluto che essa uccida (cfr Gen 4,1ss) o che faccia soffrire, ma che curi e aiuti a vivere. Accanto al cuore e all’intelligenza, la mano può diventare, anch’essa, uno strumento di dialogo. Essa può fare fiorire la speranza, soprattutto quando l’intelligenza balbetta e il cuore inciampa.

Secondo le Sacre Scritture, tre simboli descrivono la speranza per il cristiano: l’elmo, perché protegge dallo scoraggiamento (cfr 1 Ts 5,8), l’ancora sicura e salda che fissa in Dio (cfr Eb 6,19) e la lampada che permette di attendere l’aurora di un nuovo giorno (cfr Lc 12,35-36). Avere paura, dubitare e temere, porsi nel presente senza Dio, o non avere nulla da attendere, sono atteggiamenti estranei alla fede cristiana (cfr S. Giovanni Crisostomo, Omelia XIV sull’Epistola ai Romani, 6: PG 45, 941c) e, credo, ad ogni altra credenza in Dio. La fede vive il presente, ma attende i beni futuri. Dio è nel nostro presente, ma è anche nel futuro, "luogo" della speranza. La dilatazione del cuore è non soltanto la speranza in Dio, ma anche l’apertura alla cura delle realtà corporali e temporali per glorificare Dio. Seguendo Pietro, di cui sono il successore, auguro che la vostra fede e la vostra speranza siano in Dio (cfr 1 Pt 1,21). È questo l’augurio che formulo per l’Africa intera, che mi è tanto cara! Abbi fiducia, Africa, ed alzati! Il Signore ti chiama. Dio vi benedica. Grazie.

Il tempo del Seminario per mettere da parte tesori

dal discorso di Benedetto XVI nell’incontro con i sacerdoti, i seminaristi, i religiosi e fedeli laici nel cortile del Seminario Saint Gall a Ouidah, 19/11/2011

Rivolgendomi ora a voi, cari seminaristi, vi incoraggio a mettervi alla scuola di Cristo per acquistare le virtù che vi aiuteranno a vivere il sacerdozio ministeriale come il luogo della vostra santificazione. Senza la logica della santità, il ministero non è che una semplice funzione sociale. La qualità della vostra vita futura dipende dalla qualità della vostra relazione personale con Dio in Gesù Cristo, dai vostri sacrifici, dalla felice integrazione delle esigenze della vostra formazione attuale. Di fronte alle sfide dell’esistenza umana, il sacerdote di oggi come quello di domani – se vuole essere un testimone credibile a servizio della pace, della giustizia e della riconciliazione – dev’essere un uomo umile ed equilibrato, saggio e magnanimo. Dopo 60 anni di vita sacerdotale, posso confidarvi, cari seminaristi, che non rimpiangerete di avere accumulato durante la vostra formazione tesori intellettuali, spirituali e pastorali.

(continua...)