Il vescovo che scriveva anche in punto di morte. Ventiquattro lettere inedite di san Carlo Borromeo nell'archivio parrocchiale di Asso raccontano della sua attenzione pastorale, di Silvia Guidi
Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 4/11/2011 un articolo scritto da Silvia Guidi. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (3/11/2011)
Il 1° novembre 1584, Carlo non riesce a camminare; sorretto dai suoi collaboratori celebra ad Arona la sua ultima messa. L'indomani, non è più in grado di muoversi. Suo cugino Renato fa preparare una barca con un letto a bordo per riportarlo a Milano; sul fiume, il vescovo trova ancora la forza per dettare alcune lettere. Monsignor Massimo Gaio nella prefazione a 24 lettere inedite con firma autografa di San Carlo Borromeo (Asso, Tipografia artigiana Vallassinese, 2011, supplemento a "L'Armonia", numero di aprile) sceglie di raccontare la vita del vescovo di Milano dalla fine: "Se perfino il giorno prima di morire il nostro santo scelse, ancora una volta questo strumento per comunicare le sue volontà, è segno che fu il preferito di tutto il suo ministero".
La sua operosità ha del leggendario - continua il parroco di San Giovanni Battista - ad Asso conserviamo queste ventiquattro lettere autentiche con la sua firma, probabilmente dettate da lui: un minimo frammento di una vastissima mole, di una miniera di documenti. Nell'Ambrosiana sono conservate migliaia di lettere che dettava e poi correggeva di suo pugno. Si parla di quattrocento persone che in Curia sgobbavano alle sue dipendenze". Non sempre mossi dallo stesso eroico spirito di servizio del loro vescovo. "A volte si ribellavano - continua monsignor Gaio, raccontando un aneddoto tratto dalle biografie del santo - si narra che una volta gli fu proposto un segretario molto esperto in legge ma fragile di costituzione. Carlo non lo volle: "Non sarà capace di sostenere le fatiche cui tutti debbono sobbarcarsi allo stesso modo"".
Fonti considerate minori, come questa della raccolta di lettere inviate dal vescovo a don Girolamo Curioni - vicario foraneo della pieve di Vallassina, che Carlo più volte indica come "nostro carissimo prevosto d'Asso" - possono riservare molte sorprese, continua l'autore della prefazione: "Anche da queste fonti più locali, attente alla vita delle periferie delle diocesi, si può ricostruire l'identikit dell'uomo, del credente, del pastore, dell'arcivescovo. Questo Carlo che scrive o detta di getto, ma poi ci ripensa, revisiona e cancella, corregge e riformula, aggiunge ancora qualcosa lascia intravvedere il suo pensiero più vero, quello che spesso veniva soffocato dalla sua notevole capacità di autocontrollo".
L'attenzione al gregge del cardinale di Santa Prassede - dal maggio 1577 in poi si firma così e sostituisce al simbolo araldico dei Borromeo la parola Humilitas - arriva fino a toccare il quotidiano di ogni singolo fedele, come la preoccupazione per chi si spostava per lavoro in "terre eretiche", o il permesso di lavorare il legname necessario per i restauri all'interno della chiesa in caso di neve. Che si tratti di consigliare i sacerdoti su questioni apparentemente troppo minute per essere rilevanti (come l'invito ricorrente a scrivere in bella grafia, scegliendo fogli adeguati a essere rilegati) o su delicati temi dottrinari, l'intento è sempre lo stesso: rafforzare in chi lo ascolta la consapevolezza che essere cristiani significa essere stati toccati dall'amore divino.
"Reverendo vicario - scrive in un messaggio datato 26 settembre 1574 - per iniziare i fedeli alla devozione della Compagnia del Santissimo Sacramento e riscaldarli ad abbracciarla con fervore, date ordine...". Nell'epistolario il verbo "riscaldare" ricorre spesso; i curatori del libro, Armando e Roberto Nava, lo traducono con "stimolare a", ma forse è meglio non trovare un sinonimo a una parola così ricca e affettivamente significativa, che getta una luce calda e familiare sull'attivismo del vescovo e sulla sua puntigliosa cura del particolare, facendo capire la differenza tra formalismo e carità che "urge" all'azione.
Da vescovo, Carlo ha un senso acuto del dovere del proprio stato di vita, e chiede questo anche ai suoi preti e ai fedeli laici, secondo la loro condizione. Visita per due volte tutte le parrocchie della diocesi, la più popolosa del mondo; fissa le visite nei mesi più caldi perché, ama dire, "è bello fare del bene nelle giornate che molti dedicano al riposo". E siccome le ore più afose del pomeriggio invitano al sonno, in quelle ore, per non perdere tempo, viaggia.
Chiunque lo incontra resta colpito dalla sua forza, dalla tenacia, dall'instancabile impeto di costruzione. "Ma quest'uomo è di ferro?" sbotta un giorno il suo amico san Filippo Neri. Eppure il suo fisico è debole, provato dalla fatica e perfino dalle pallottole conficcate nella carne dopo un attentato. Il segreto sta nella sua storia: da giovane cardinale, prima della sua seconda conversione, ha vissuto un cristianesimo senza infamia e senza lode. Sa cosa significa sprecare il tempo, e cerca di salvare il suo gregge dalla peste silenziosa di una vita cristiana scialba, senza sacrificio e senza gioia.
(©L'Osservatore Romano 4 novembre 2011)