La lunga marcia della sharia, Dall’Arabia Saudita alla Nigeria: dove la legge islamica prevale, di Camille Eid
Riprendiamo da Avvenire del 30 /10/2011 due articoli ed un’intervista di Camille Eid. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.Per ulteriori approfondimenti sull'Islam, vedi la sezione Cristianesimo, ecumenismo e religioni.
Il Centro culturale Gli scritti (30/10/2011)
1/ La parola: «La via di Dio», di Camille Eid
Sharia è l’abbreviazione di 'Shari’at-Allah', letteralmente 'la via di Dio'. Si tratta, quindi, di una via divina contrapposta alle «passioni di coloro che non sanno». Fonti della sharia sono infatti il Corano e la Sunna, la tradizione del profeta, i cui testi hanno tuttavia dato luogo a diverse interpretazioni da parte delle scuole giuridiche islamiche. Il fondamento e il soggetto ultimo del diritto è Dio, la cui volontà – espressa appunto nella sharia – determina i diritti e i doveri dei singoli e della collettività. Per questo, l’applicazione integrale delle disposizioni della sharia, non solo in materia di diritto familiare ma anche penale, rappresenta la primissima rivendicazione dei gruppi islamici che considerano la sharia come toccasana per i mali della umma islamica.
2/ La lunga marcia della sharia, Dall’Arabia Saudita alla Nigeria: dove la legge islamica prevale, di Camille Eid
La vittoria del partito islamico tunisino Ennahda alle prime elezioni dell’era post Ben Alì e le ultime dichiarazioni del presidente del Consiglio nazionale di transizione libico sulla volontà di introdurre la sharia nel Paese ripropongono su larga scala il dibattito – in verità mai sopito – sul ruolo della legge islamica negli ordinamenti statali moderni. Che si ripropone anche in Egitto, dove i Fratelli musulmani sono favoriti nelle prossime elezioni politiche.
Slogan come 'l’islam è la soluzione' sono oggi la bandiera politica di numerosi movimenti politici che puntano all’edificazione di uno Stato su basi ritenute divine. E dove le minoranze cristiane devono spesso fare i conti con restrizioni più o meno grandi della loro libertà di espressione.
Se è vero che alcuni Paesi islamici – come la Turchia, l’Indonesia e il Senegal – adottano una forma di separazione tra Stato e religione, molti altri evocano la sharia come fonte principale, e talvolta unica, della legislazione.
La sharia viene 'integralmente' applicata, secondo la rigida interpretazione wahhabita, in Arabia Saudita , unico Paese al mondo a considerare il Corano come la propria 'Costituzione'. Il venerdì, dopo la preghiera del mezzogiorno, l’esecuzione delle pene previste dal Corano, i cosiddetti hudud, ha luogo in pubblico: taglio della mano per i ladri, decapitazione per gli assassini, lapidazione per gli adulteri. Nelle città i membri della polizia religiosa, i mutawain, vegliano al rigoroso rispetto del codice di abbigliamento islamico.
Ma la sharia regna sovrana in tutti gli altri Paesi del Golfo. Così nel Kuwait , dove la legge islamica viene indicata come 'fonte principale della legislazione' (articolo 2). Nello Yemen l’articolo 3 della Costituzione stabilisce che 'la sharia islamica è la fonte di tutte le legislazioni' del Paese. L’articolo 12 del codice penale menziona le pene coraniche previste per gli hudud: ribellione, apostasia, rapina, furto, adulterio, falsa accusa di adulterio e consumo di vino. Negli Emirati Arabi Uniti, l’articolo 75 del regolamento della Corte suprema federale precisa che 'vengono applicate le prescrizioni della sharia islamica, le leggi federali e altre leggi in vigore negli emirati membri in armonia con le prescrizioni della sharia'. Il regolamento fa poi riferimento alle regole consuetudinarie precisando che vengono applicati solo 'quando non in contraddizione con le prescrizioni della sharia'. La sharia costituisce la fonte unica della legislazione in Iran sin dal 1979, anno di instaurazione della Repubblica islamica. L’articolo 4 della Costituzione afferma, infatti, che 'tutte le leggi, tutti i regolamenti di ordine civile, penale, finanziario, economico amministrativo, militare, politico o altro, siano stabiliti sulla base delle norme islamiche'. L’islam è definito religione di Stato all’articolo 12, con la precisazione che il rito ufficiale è quello sciita duodecimano.
Assai singolare è il caso dell’Egitto, dove la Costituzione del 1971 stabiliva nell’articolo 2 che 'i principi della legge islamica costituiscono una fonte principale della legislazione'. Fino all’emendamento costituzionale del 22 maggio 1980, proposto dall’allora presidente Anwar Sadat, secondo il quale i principi della legge islamica sono diventati 'la fonte principale della legislazione' egiziana.
La mossa di Sadat è stata interpretata come una concessione ai gruppi fondamentalisti che esigevano una 'stretta' in senso islamico della carta fondamentale dello Stato. Nello stesso periodo, è stato anche stabilito, per decisione della Corte costituzionale, che 'qualunque legge contraria all’islam è contraria alla Costituzione'.
Di fronte alle difficoltà oggettive di introdurre la sharia in Paesi multireligiosi si è fatto ricorso a diverse soluzioni. Così nella Nigeria , dove dodici Stati della Federazione hanno introdotto, a partire dal 2000, la legge islamica riconoscendo ai propri tribunali religiosi il diritto di dirimere le questioni penali, avvalendosi di un articolo della Costituzione che autorizza le corti d’appello islamiche a esercitare 'un’altra giurisdizione loro conferita dalla legge dello Stato'. Fino ad allora, i tribunali sharaitici avevano competenza solo in materia di matrimonio e codice di famiglia relativamente a musulmani o a controversie tra musulmani in cui le parti acconsentono a ricorrere ad essi.
Un recente e interessante caso di revisione della Carta costituzionale in chiave islamica è l’Iraq post-Saddam. La nuova Costituzione, sottoposta a referendum popolare nel 2005, menziona l’islam come religione di Stato e la sharia 'una fonte principale della legislazione'. Precisando che 'non è permesso emanare leggi contrarie ai principi e alle disposizioni dell’islam', la Carta afferma tuttavia, all’articolo 41, il rispetto della libertà di pensiero e di coscienza di tutti i cittadini.
3/ Il pensatore musulmano: la fede non va mai imposta. Un’intervista di Camille Eid a Abhdullahi Ahmed an-Naim
«Imporre la sharia come legge positiva è più dannoso del laicismo per l’integrità dell’esperienza religiosa dei musulmani». Lo afferma il pensatore sudanese Abhdullahi Ahmed an-Naim, direttore del Center for International and Comparative Law presso la Emory Law School di Atlanta, nonché autore di diversi libri su islam e diritti umani.
«L’errore di base – aggiunge – è che la religione non va mai imposta, né a livello individuale né a quello istituzionale. La sharia – ma questo vale per qualsiasi altra credenza religiosa – richiede un’adesione del musulmano che vale solo se fatta in maniera volontaria e intenzionale ».
È così difficile per le nuove leadership arabe pensare lo Stato moderno senza un riferimento alla religione?
Le leadership ricorrono solitamente a queste generiche dichiarazioni di intenti nel tentativo di guadagnare nuovi consensi o per una legittimazione religiosa del potere, ma esse sono ben consce delle difficoltà quando si tratta di passare all’applicazione. Data la presenza di diverse interpretazioni del Corano e della Sunna, l’imposizione della sharia farebbe, infatti, affidamento sulla specifica interpretazione di chi detiene il potere politico, escludendo tutte le altre interpretazioni. Ad esempio, l’interpretazione malikita (una scuola giuridica dell’islam sunnita, ndr) riguardo l’accertamento dell’adulterio è diversa rispetto a quella delle altre tre scuole. Lo stesso dicasi per altri temi.
È sostenibile l’idea di un Stato islamico puro?
Si tratta di un’illusione. Persino dal punto di vista storico. La maggioranza dei musulmani considera il periodo dei 4 primi califfi come modello di società ideale e riproponibile. Molti però dimenticano che gli sciiti ritengono usurpatori della carica i primi tre califfi, e che il regno del quarto, Alì, ha visto una guerra civile tra musulmani. Gli stessi Abbassidi di Baghdad, che hanno conquistato il potere in nome della legittimità islamica, hanno governato più secondo calcoli politici che in base ai principi della sharia.
Da dove arriva allora la pretesa attuale dei musulmani di molti Paesi?
Da un’imitazione, mal riuscita, dell’Occidente nel periodo post-coloniale. È stato adottato il modello europeo dello Stato nazionale, centralizzato e burocratico con l’appropriazione, per ignoranza o per intenzione, dell’elemento religioso per rivendicare una legittimità.
Molti musulmani che aspirano a vedere la sharia applicata come unica legge accusano i loro oppositori laici di voler soppiantare la 'legge di Dio' con una legge elaborata dagli uomini...
Purtroppo, i movimenti islamici sono riusciti a terrorizzare molti musulmani su questo punto. Persino i fautori della laicità evitano di parlare di Stato secolare, preferendo il concetto di 'dawla madaniyya', cioè Stato civico. La contrapposizione legge divina-legge umana è tuttavia fuorviante. In fin dei conti, anche una legge ispirata da Dio va intesa con la mente umana, e ogni tentativo di applicarla è un tentativo puramente umano. Il vero paragone va quindi fatto tra una comprensione umana del Corano e una comprensione umana dell’esperienza laica.
Alcune società islamiche non sembrano voler abbandonare l’illusione della sharia né tanto meno volere attuarla attraverso lo Stato...
È un paradosso, superabile con una giustificazione islamica per la neutralità religiosa dello Stato, per mezzo della quale l’islam può giocare un ruolo positivo nell’ambito pubblico, senza che lo Stato lo imponga come legge o come norma di condotta.