Nel luogo del riposo dell'apostolo Filippo. Il responsabile degli scavi illustra la scoperta della tomba a Hierapolis, di Francesco D'Andria
Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 3/8/2011 un articolo scritto da Francesco D'Andria dell'Università del Salento. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti sulla Turchia, vedi la sezione I luoghi della Bibbia e della storia della chiesa.
Il Centro culturale Gli scritti (12/10/2011)
"Anche in Asia infatti riposano grandi astri, che si leveranno nell'ultimo giorno della parousìa del Signore (...) (tra questi) Filippo, uno dei dodici apostoli, il quale si è addormentato a Hierapolis (...) anche Giovanni (...) si è addormentato a Efeso". Così scriveva intorno all'anno 190 il vescovo di Efeso, Policrate, in una lettera inviata al vescovo di Roma Vittore.
Di qualche anno successivo è il Dialogo, un testo in cui il presbitero romano Gaio discute le tesi di Proclo, un rappresentante dell'eresia montanista radicata nella Frigia. Mentre Gaio indica i "trofei" di Pietro e Paolo, fondamenta della Chiesa di Roma, Proclo si riferisce ai sepolcri di Filippo e delle sue figlie profetesse, ubicati a Hierapolis. Numerose altre fonti collegano la città frigia all'apostolo di Betsaida in Galilea e la ricerca archeologica ha permesso di ritrovare il complesso monumentale nel quale si articolava la memoria di Filippo.
Già nel 1957, al momento della fondazione della missione archeologica italiana a Hierapolis, Paolo Verzone, docente di ingegneria del Politecnico di Torino, aveva posto con forza la questione portando alla luce sulla collina orientale, fuori le mura della città, una straordinaria chiesa a pianta ottagonale. Si tratta di un capolavoro dell'architettura bizantina del V secolo, frutto delle tradizioni locali nella lavorazione del travertino e del raffinato sapere di architetti legati alla corte imperiale di Costantinopoli. La pianta complessa inoltre fa riferimento alla simbologia dei numeri: gli otto lati del corpo centrale, il quadrato che ingloba l'ottagono, i cortili triangolari, le cappelle a sette lati sviluppano una sottile trama di riferimenti teologici. Verzone aveva identificato nell'ottagono il Martyrion di san Filippo e qui aveva cercato la tomba, ma senza risultati.
A partire dalla ripresa dei lavori (2001) nell'edificio, si ripresero le indagini anche attraverso prospezioni geofisiche, in particolare nella zona dell'altare, ma senza alcun successo. Nello stesso tempo Giuseppe Scardozzi, un ricercatore del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) - Istituto per i beni archeologi e monumentali (Ibam) di Lecce, identificava, attraverso lo studio delle immagini satellitari e le indagini topografiche, la grande strada processionale che portava i pellegrini, attraverso la città, sino alla collina del santo. I fedeli, uscendo dalla porta della città, attraversavano un ponte e, prima di affrontare la salita lungo una gradonata in travertino, dovevano lavarsi all'interno di una terma, anch'essa a pianta ottagonale, in cui le esigenze igieniche poste dall'eccezionale afflusso di fedeli, si univano a pratiche di purificazione rituale. Alla sommità della scalinata una fontana permetteva di dissetarsi e di compiere le altre abluzioni prima di salire all'Ottagono. Qui erano predisposte stanze con il pavimento tagliato nella nuda roccia dove i fedeli passavano la notte, forse per entrare in contatto diretto con il santo attraverso pratiche di incubazione attestate anche in altri santuari cristiani di pellegrinaggio come quello intorno alla chiesa dei Santi Cosma e Damiano a Costantinopoli.
La campagna di scavi della missione archeologica italiana a Hierapolis su concessione del Ministero della cultura di Turchia, quest'anno ha interessato un pianoro a mezza costa, a pochi metri di distanza dall'Ottagono. Qui emergeva, da un immane cumulo di pietre e di marmi lavorati, la parte superiore del frontone in travertino di una tomba a sacello di età romana. Era un fatto normale poiché la zona era interessata da una vasta necropoli di questo periodo, ma intorno numerose erano le tracce di muri e i frammenti di marmo bizantini. Così gli scavi energicamente coordinati da Piera Caggia (Ibam-Cnr) hanno portato alla luce una grande basilica a tre navate: si sono rinvenuti capitelli in marmo con raffinate decorazioni riferibili al V secolo, croci, tralci vegetali, transenne traforate, fregi con palme stilizzate all'interno di nicchie. Inoltre il pavimento della navata centrale è realizzato a intarsi marmorei (opus sectile) con motivi geometrici a colori molto variati.
Sulla cornice di un architrave in marmo era leggibile il monogramma di Teodosio, probabilmente riferibile all'imperatore bizantino. Una ricchezza di decorazioni che ogni giorno si arricchisce di nuovi esempi! Ma il fatto più straordinario è che questa chiesa a tre navate è costruita intorno alla tomba a sacello di età romana che costituisce il fulcro di tutta la costruzione: inglobata in una struttura su cui è una piattaforma raggiungibile attraverso una scala di marmo. I pellegrini, entrando dal nartece, salivano nella parte superiore della tomba dove immaginiamo fossero collocate lampade, immagini e reliquie del santo, e scendevano da un altro lato, attraversando un pianerottolo decorato da un raffinato mosaico con raffigurazione di pesci. Un riferimento al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci (Giovanni, 6, 5)?
La particolarità di questa scala è data dall'alto grado di usura delle superfici marmoree, segno del passaggio di migliaia di persone e gli stessi segni di usura sono sull'architrave della porta d'ingresso alla tomba dove il travertino è lisciato come l'alabastro. Intorno alla porta della tomba una serie di fori fa pensare a una chiusura metallica applicata e una porta ulteriore in legno era davanti, a giudicare dagli incassi ricavati sul pavimento.
Con la scoperta di questa seconda chiesa si scioglie anche l'interrogativo posto da un sigillo in bronzo di dieci centimetri di diametro, di sicuro proveniente da Hierapolis e ora al museo di Richmond negli Stati Uniti. Rappresenta al centro san Filippo, indicato dall'iscrizione, in veste di pellegrino e serviva a segnare i pani distribuiti ai fedeli in occasione della panegyris (festa del santo). Ai due lati del santo sono raffigurati due edifici posti sulla sommità di due scalinate. Quello alla sua destra, a pianta centrale con cupola, rappresenta certamente il Martyrion, quello alla sua sinistra, sinora non spiegato, è stato ora identificato con la chiesa a tre navate in corso di scavo, anche per la facciata con spioventi coperti da tegole. Si direbbe una fotografia del complesso scattata nel VI secolo e il secondo edificio allude, anche per la presenza di una lampada appesa all'ingresso, alle strutture dei sepolcri dei santi.
La ricerca archeologica permette ora di mettere insieme tante tessere, raccolte in molti anni di indagini, e di comporre un mosaico coerente. Il sepolcro di san Filippo costituisce il fulcro intorno a cui si articolano gli edifici di questo straordinario santuario di pellegrinaggio, fiorito tra V e VI secolo nella vallata del fiume Lykos in Turchia, di fronte a Colosse, celebre per la lettera di san Paolo, e a Laodicea, una delle sette chiese dell'Apocalisse.
(©L'Osservatore Romano 3 agosto 2011)