Presentiamo on-line tre testi del prof.Giancarlo Biguzzi, docente di Nuovo Testamento presso la Pontificia Università Urbaniana, già apparsi sulla rivista Eteria, appartenenti ad una serie di articoli che avevano lo scopo di introdurre, come in agili reportage giornalistici, ad una prima conoscenza dei luoghi e delle figure del Nuovo Testamento. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di rendere più facile la lettura on-line. Il prof.Biguzzi, nel suo articolo «L’autore delle Lettere Pastorali e Timoteo», in G. De Virgilio, a cura di, Il deposito della fede, EDB, Bologna 1998, 81-111, ha proposto l’attribuzione della paternità delle lettere pastorali allo stesso Timoteo, che vi avrebbe riunito tutte le memorie paoline di cui era depositario. Per una presentazione riassuntiva di quel lavoro vedi, su questo stesso sito, dello stesso autore, Le lettere pastorali e la chiesa ministeriale nella storia.
Il Centro culturale Gli scritti (29/6/2007)
Konya è nel taccuino di viaggio di ogni visitatore della Turchia a motivo del poeta e
mistico Rumi o Mevlana che, venendo probabilmente dall’Afganistan, visse nella città e vi è
sepolto nel bel mausoleo dalle cupole verde-smeraldo. Il turista va a Konya ancora più per i dervisci
danzanti, discepoli di Rumi, i quali danzano vorticosamente su se stessi per ore e ore, chiedendo alla loro danza e
al lamento del flauto di portarli all’unione mistica con Dio.
Un altro motivo per andare a Konya sarebbe Paolo. Konya (Iconio, per gli antichi) fu infatti una delle tappe
apostoliche di Paolo e Barnaba nel primo viaggio missionario (Atti 14,1-7). Ma della Iconio “paolina” e
cristiana oggi resta pochissimo: una chiesetta intitolata a Paolo, e tanti cristiani quanti se ne possono contare
sulle dita di una solo mano. Qualche dito, anzi, è in soprappiù.
Se così è di Iconio, che dire di Listra, menzionata da Luca nello stesso contesto di Atti 14?
Listra è a soli 38 km da Konya, ma oggi non è niente altro che una collina incolta che si eleva a
quaranta o cinquanta metri sul livello dei circostanti campi coltivati a pianta di cece. Se ci si arrampica sulla
vetta per leggervi devotamente il testo biblico che la riguarda, tutto quello che lassù si può vedere
sono alcuni fori scavati senza criterio tra le erbacce da “tombaroli” in cerca di improbabili
fortune.
Quello che Paolo fece e disse a Listra in occasione del primo viaggio missionario è ben
noto (cf. Atti 14,6-21). Ma per Listra l’Apostolo transitò anche agli inizi del secondo viaggio
missionario, in compagnia di Sila (nelle lettere di Paolo chiamato Silvano), ed è in questa circostanza che
emerse la figura di Timoteo, un uomo che vale la pena d’imparare a conoscere meglio: «Paolo si
recò a Listra dove c’era un discepolo chiamato Timoteo, figlio di una donna credente e di padre greco
ecc.» (Atti 16,1).
Il testo di Luca fa capire che, a differenza del padre “greco” e cioè pagano, Timoteo e la
madre all’epoca del secondo viaggio erano già credenti: lo erano divenuti con ogni probabilità ad
opera di Paolo e Barnaba nel primo viaggio missionario. Fu così che, avendo dato buona prova di sé
già da qualche tempo, Timoteo fu cooptato da Paolo come suo accompagnatore e collaboratore: «.. egli era
assai stimato dai fratelli di Listra e di Iconio, e Paolo volle che partisse con lui» (Atti 16,2-3).
Secondo il libro degli Atti, il terzetto dei missionari attraversò la penisola anatolica in
direzione del mare egeo, e giunse fino a Troade. Da Troade i tre passarono in Macedonia, dove fondarono le chiese
di Filippi, Tessalonica, Berea e Corinto (Atti 16-18).
Sempre secondo gli Atti, Timoteo seguì Paolo anche nel terzo viaggio, tanto è vero che da Efeso fu
dall’Apostolo mandato in missione in Macedonia poco prima del tumulto degli argentieri (Atti 19,22), e
poi, con Paolo e con i delegati delle chiese, partì da Corinto alla volta Gerusalemme (Atti 20,4), per la
consegna della colletta alla chiesa-madre (Romani 15,25-28).
Le due lettere indirizzate a Timoteo, che formano il gruppo delle “lettere
Pastorali” insieme a quella di cui Tito è destinatario, sono ancora più ricche di informazioni
sul nostro uomo: da esse si possono ricavare una biografia quasi completa di lui e un ritratto sia psicologico
che apostolico, abbastanza preciso e particolareggiato.
Le notizie personali di 1-2Timoteo riguardano lo stesso Timoteo da almeno sei prospettive:
(1) La famiglia d’origine e l’infanzia di Timoteo. La seconda lettera a Timoteo ci dice il nome
della nonna di Timoteo (Loide) e della madre (Eunice), e parla della fede che le due donne gli hanno trasmesso (1,5),
così che egli ha imparato a conoscere le sante Scritture fin dall’infanzia (3,14-15).
(2) L’iniziazione alla fede ricevuta da Paolo. Ripetutamente l’Autore fa di Timoteo un uditore
di Paolo: «Prendi come modello le sane parole che hai udite da me» (2Timoteo 1,13; cf. anche 2,2). In
2Timoteo 3,10-11 è detto che, oltre all’insegnamento di Paolo, Timoteo ha imparato a conoscere anche il
suo modo di vivere, la sua programmazione apostolica, e poi la sua fede, pazienza, agape, capacità di
resistenza, le persecuzioni e i patimenti. Le persecuzioni e i patimenti sono esplicitamente identificati con quelli
cui Paolo andò incontro ad Antiochia di Pisidia, Iconio e Listra, e cioè nel primo viaggio missionario,
così come parallelamente narra Atti 13,50-14,20. Tra l’altro s’intravede che l’avere
seguito da vicino quei fatti, dev’essere stato per Timoteo un’esperienza decisiva, analoga a quella di
Damasco per Paolo.
(3) La vocazione apostolica mediante profezia. Due volte l’Autore rievoca le profezie pronunciate a
proposito di Timoteo: «...secondo le profezie [pronunciate] a tuo proposito in passato» (1Timoteo
1,18; cf. anche 4,14). Probabilmente a Listra uno o più profeti avevano alzato la voce in piena assemblea di
preghiera designando Timoteo alla missione, così come era avvenuto ad Antiochia di Siria per Barnaba e Paolo
(Atti 13,2). Tra l’altro, come ad Antiochia, così anche a Listra c’era stato il rito
dell’imposizione delle mani: su Timoteo avevano imposto le mani lo stesso Paolo («Ti esorto a ravvivare
il dono di Dio che è in te attraverso l’imposizione delle mie mani», 2Timoteo 1,6), e il
presbiterio («Non trascurare il dono che ti fu dato con l’imposizione delle mani del presbiterio,
ecc.», 1Timoteo 4,14).
(4) Le difficoltà personali nell’esercizio del ministero. L’Autore conosce e parla anche
delle difficoltà incontrate da Timoteo nel lavoro apostolico, dando di lui informazioni sorprendenti. Parla
infatti delle lacrime di Timoteo (2Timoteo 1,4), dei suoi problemi di salute (1Timoteo 5,23: «Non
bere soltanto acqua, ma bevi un po’ di vino a causa dello stomaco e dei tuoi frequenti disturbi»),
della sua timidezza contro cui il miglior antidoto è richiamarsi all’imposizione delle mani
ricevuta agli inizi (2Timoteo 1,6-7). Più di tutto, però, è sorprendente che, secondo
l’Autore, Paolo conosca e parli di vere e proprie crisi morali del suo collaboratore, il quale sembra
sballottato da passioni giovanili (2Timoteo 2,22), incline all’iracondia (1Timoteo 5,1; 2Timoteo 2,22-25),
e bisognoso di progresso spirituale o apostolico (1Timoteo 4,15). Timoteo, infine, nello svolgimento del suo
ministero sarebbe oggetto di poca stima e rispetto da parte di qualcuno, a motivo della sua giovane età
(1Timoteo 4,12).
(5) Il rapporto affettuoso con Paolo. Paolo giorno e notte prega per il suo collaboratore e di lui ricorda
le lacrime, e desidera ardentemente di rivederlo, e sa che il poterlo rivedere lo riempirebbe di gioia (2Timoteo
1,3-4). Nei prescritti delle lettere, poi, Timoteo è affettuosamente definito «genuino figlio nella
fede» e «amato figlio» (1Timoteo 1,2; 2Timoteo 1,2): è definito cioè
“figlio” di Paolo in termini che, come nel caso di Onesimo (Filemone 10), alludono al ruolo avuto da
Paolo nella conversione di Timoteo e nel suo battesimo. Affettuosi vocativi, quali: «O figlio Timoteo»,
«O uomo di Dio», «O Timoteo» (1Timoteo 1,18; 6.11; 6,20), «O figlio mio»
(2Timoteo 2,1), propongono il rapporto tra Paolo e Timoteo in termini di “figliolanza spirituale” e di
particolare tenerezza.
(6) Gli ordini e le consegne di Paolo. Le consegne date a Timoteo riguardano piccoli problemi quotidiani, e
tuttavia danno l’idea della stretta, assidua collaborazione e della dedizione senza riserve di Timoteo nei
confronti di Paolo: nella prima lettera Timoteo è pregato di rimanere a Efeso per contrastare insegnamenti
eterodossi (1Timoteo 1,3), e Paolo conta di raggiungerlo presto (3,14: 4,13). Nella seconda invece Timoteo deve
raggiungere Paolo (4,9), probabilmente a Roma (1,17), e deve raggiungerlo prima dell’inverno (4,21), portando
con sé Marco (4,11) e dopo avere recuperato i suoi effetti personali a Troade, nella casa di Carpo:
«Venendo, portami il mantello che ho lasciato a Troade in casa di Carpo, e i libri, soprattutto le
pergamene» (4,13).
La nostra conoscenza di Timoteo è ulteriormente arricchita dai testi che lo riguardano
nelle lettere certamente autentiche di Paolo.
La prima osservazione che vale la pena di fare è che Paolo descrive il suo rapporto con Timoteo in termini
diversi da quelli con cui descrive il rapporto che egli intrattenne per esempio con Tito o con Apollo. Quanto a Tito,
Paolo lo “prega gentilmente” di andare a Corinto o di portarvi a compimento la colletta (2Cor 8,6;
12,18), e se poi Tito decide di sua spontanea volontà di partire (2Cor 8,16-17), significa che avrebbe potuto
altrettanto liberamente decidere di non partire. È quello che Apollo farà, richiesto da Paolo di andare
anch’egli a Corinto: «...l’ho pregato vivamente di venire da voi, ma non ha voluto assolutamente
saperne di partire ora» (1Corinzi 16,12). Quanto a Timoteo, invece, Paolo dice ripetutamente che lo invia: a
Tessalonica, a Filippi, a Corinto (1Tessalonicesi 3,2; Filippesi 2,19; 1Corinzi 4,17), e dal contesto non
s’intravede che Timoteo possa fare resistenza o opporsi, come avrebbero potuto fare Tito e Apollo.
Tito e Apollo, dunque, erano colleghi di Paolo, e cioè missionari autonomi e indipendenti che
collaboravano con lui solo occasionalmente mentre, da Listra in poi, Timoteo fu collaboratore stabile
dell’Apostolo, ininterrottamente al suo fianco e ai suoi ordini.
Insomma, era un vero e proprio segretario a tempo pieno.
Nell’epistolario paolino Timoteo appare a fianco di Paolo in tre importanti ruoli. Il primo
e il secondo apparivano già negli Atti: con Paolo e Silvano, anzitutto, il nostro Timoteo partecipa alla
fondazione di chiese (2Corinzi 1,19); e in secondo luogo viene mandato in missione a Tessalonica, Corinto,
e Filippi (1Tessalonicesi 3,2.6; 1Corinzi 4,17 e 16,10; Filippesi 2,19).
Quello che però è di grande importanza è il terzo ruolo: Timoteo è co-mittente in ben
sei lettere di Paolo, e più precisamente nelle due lettere ai Tessalonicesi, nella seconda ai Corinzi,
nelle lettere ai Filippesi, ai Colossesi e in quella a Filemone. “Co-mittente” è colui il cui nome
viene messo da Paolo accanto al proprio in testa alla lettera, per esempio quando scrive: «Paolo e Timoteo ai
santi che sono a Filippi ecc.». Di solito si dice che Paolo mette il nome di altri mittenti per dare alle sue
lettere maggior autorevolezza ecclesiale, ma forse si può dire di più. È probabile infatti
che Paolo non concepisse le sue lettere in totale solitudine come vuole una diffusa e un po’ troppo romantica
immagine di lui. Piuttosto egli ne discuteva ed elaborava il contenuto con i suoi collaboratori, per cui
“co-mittente” significa in qualche modo anche “co-autore”.
E non basta. Nell’epistolario paolino Timoteo infatti è il co-mittente per eccellenza, non solo
perché lo è per ben 6 volte, ma anche perché le lettere paoline che hanno il nome di qualche
co-mittente sono soltanto 7; poi perché la settima – la 1Corinzi – nella quale il co-mittente
è Sostene, non ha potuto avere Timoteo come co-mittente dal momento che, secondo il testo stesso della
lettera, egli è in viaggio (1Cor 4,17; 16,10); poi infine perché Timoteo è il primo di
una équipe di 8 collaboratori a inviare i saluti nella lettera ai Romani (16,21): in
una lettera, cioè, che non ha co-mittenti perché la comunità di Roma non era stata fondata da
Paolo, e Paolo si assume in prima persona tutta la responsabilità di ciò che scrive. Come quella ai
Romani, anche la lettera ai Galati è una lettera “difficile”, per cui Paolo menziona come
co-mittenti dei collaboratori anonimi («Paolo apostolo ecc. e tutti i fratelli che sono con me, alle chiese
della Galazia ecc.»), tra i quali si può mettere Timoteo senza paura di andare lontano dal vero.
Parlando in termini paradossali, si potrebbe dunque dire che le lettere di Paolo sono sì lettere di Paolo, ma
sono anche lettere di Timoteo.
Come ben si vede, l’importanza di Timoteo per il cristianesimo delle origini è
enorme, e la sua figura non è affatto di secondo piano, come di solito si dà per scontato che sia.
Il Nuovo Testamento fa il nome di un centinaio di persone che sono state in relazione con Paolo. Di esse una
cinquantina sono state certamente collaboratori e collaboratrici dell’Apostolo nella sua attività
missionaria, anche se a vario titolo: i termini usati sono «fratello», «apostolo»,
«ministro», «con-servo», «patrona (e cioè “sponsor”»,
«collaboratore», «commilitone» ecc.). Ebbene, tra tutti il più vicino
all’Apostolo è stato certamente Timoteo. Non per nulla è a lui che, secondo le lettere
Pastorali, Paolo affida il suo testamento (2Timoteo 4,6-8), ed è a lui che trasmette il deposito della
fede (1Timoteo 6,20; 2Timoteo 1,14), in qualità di collaboratore più fidato e di erede spirituale.
Vicinissimo come nessun altro all’Apostolo mentre era vivo, e suo successore nella guida di tutto
l’immenso cantiere apostolico da lui aperto, Timoteo dev’essere considerato il “numero due”
del movimento paolino e uno degli uomini più importanti nel difficile trapasso dall’epoca apostolica a
quella sub-apostolica. Insomma: un piccolo gigante.
Eusebio di Cesarea, autore della prima storia della chiesa, al tempo di Costantino (inizi sec.
IV), e i Padri del concilio di Calcedonia (451 dC) consideravano come primo vescovo di Efeso il collaboratore di
Paolo di nome Timoteo, ed è legittimo chiedersi quanto ci sia di vero nell’affermazione.
La documentazione su Timoteo è relativamente abbondante perché viene menzionato nel Nuovo Testamento
ben 24 volte. Tra gli evangelisti per esempio solo Giovanni viene nominato altrettanto frequentemente, mentre il nome
di Matteo ricorre solo 5 volte, quello di Marco 8 volte, e quello di Luca addirittura soltanto 3. Timoteo era nativo
della Licaonia (nell’attuale Turchia centrale), probabilmente della città di Listra. Suo padre era
pagano, ma Timoteo era nato da un matrimonio misto: la madre infatti era giudea. Come giudea forse non era molto
fervorosa, anzitutto perché aveva sposato un pagano e poi perché non circoncise il figlio, secondo il
costume giudaico che a quel tempo considerava giudeo o no in base alla linea materna. Queste informazione si
trovano negli Atti degli Apostoli (Atti 16,1-3); ma, a dire il vero, un altro testo del Nuovo Testamento sembra
accreditare un‘altra immagine della madre. 2Timoteo 1,5 infatti dice che la madre Eunice e la nonna Loide
avevano introdotto Timoteo alla conoscenza delle Scritture fin dalla sua infanzia. Tutto sommato, si può
pensare che, come succede anche oggi nelle famiglie in cui solo uno dei coniugi è credente, la madre di
Timoteo avesse scelto la linea della flessibilità e, insieme, della non abdicazione.
I tre, e cioè madre, nonna e figlio si accostarono alla fede cristiana, non sappiamo in quali circostanze. Fu
forse Paolo ad evangelizzarli: molte volte lui stesso parla di Timoteo come di un ‘figlio’, di un figlio
‘nel Signore’, di un figlio ‘vero’, ‘amato’, fedele’, e questo linguaggio
nelle lettere di Paolo è linguaggio battesimale. Poi, durante una liturgia, un qualche profeta deve
avere alzato la voce e designato Timoteo a qualche ruolo di responsabilità, per cui gli furono imposte le mani
per l’investitura (1Timoteo 1,18; 4,14; 2Timoteo 1,6), ed egli deve essersi dedicato all’evangelizzazione
nelle città della regione, per esempio di Listra, Derbe e Iconio che, dice il libro degli Atti, lo conoscevano
e lo stimavano. Fu così che queste chiese lo raccomandarono a Paolo quando l’apostolo passò da
quelle parti sulla via del suo secondo viaggio missionario. Paolo, che già aveva un compagno di viaggio e di
lavoro in Sila (o Silvano), lo prese con sé e, insieme ai due collaboratori, fondò le chiese di
Filippi, Tessalonica e Berea in Macedonia (= Grecia settentrionale) e Corinto in Acaia (= Grecia meridionale).
Non è possibile qui seguire in tutti i particolari la vicenda di Timoteo a fianco di Paolo, ma di lui bisogna
dire che Paolo, prima di giungere a Corinto, da Atene lo inviò a Tessalonica con l’incarico di
consolidare la fede della comunità e di riportarne informazioni fresche. Timoteo, pur essendo ancora
giovane, fece un ottimo lavoro (1Tessalonicesi 3,2.6). Per questo Paolo più tardi, nel corso del terzo viaggio
missionario, da Efeso lo mandò a Corinto per una missione che, a dire il vero, era ben più delicata
e difficile. Questa volta Timoteo non fu all’altezza, e Paolo dovette mandare un collaboratore più
energico nella persona di Tito (1Corinzi 4,17; 16,10). Timoteo comunque conservò tutta la fiducia di Paolo
perché l’Apostolo gli fece firmare come co-mittente la seconda lettera ai Corinzi, quella ai Filippesi,
quella ai Colossesi e quella a Filemone, come aveva fatto per la prima e seconda ai Tessalonicesi.
Quanto a Timoteo, ‘vescovo’ di Efeso, il testo che in tutto il Nuovo Testamento può essere
chiamato in causa è quello di 1Timoteo 1,3. In circostanze su cui bisognerebbe a lungo discutere senza poi
arrivare a nulla di definitivo, Paolo si rivolge a Timoteo e gli scrive: “Quando partii per la Macedonia, io ti
lasciai a Efeso affinché tu ti opponessi a certuni che insegnano dottrine eterodosse, favole e genealogie
interminabili ecc.”. Nelle due lettere di Paolo a Timoteo molti altri sono i consigli e le direttive che Paolo
invia al suo stimato collaboratore e sostituto: la seconda volta dalla sua prigionia a Roma (2Timoteo 1,17).
Ebbene, è tutto questo coinvolgimento di Timoteo da parte di Paolo nel governo della comunità
efesina, che ha fatto pensare a Timoteo come primo ‘vescovo’ di Efeso. Di per sé il titolo di
‘vescovo’ per i tempi di Paolo e Timoteo, e cioè negli anni 60 del sec. I. dC, è un
anacronismo, perché sarà usato nel senso che ha ora cinquant’anni più tardi, agli inizi
del sec. II, da Ignazio di Antiochia. E tuttavia chiunque è in grado di rendersi conto se ci sia o no
qualcosa del nostro ‘episcopato’ nel compito di guidare una chiesa che un apostolo affida a un suo
collaboratore, e in che senso e misura Timoteo sia o no il primo vescovo di Efeso.
Con tutte le differenze del caso, Termoli farà nel Molise qualcosa di analogo a quello che
da circa una decina di anni l’associazione “Eteria” fa a Efeso e a Tarso, in Turchia.
“Eteria” convoca alcune decine di studiosi negli anni pari a Efeso per un simposio di studi sulla
letteratura giovannea e, negli anni dispari, a Tarso sulle lettere di Paolo. Dei simposi giovannei e paolini vengono
puntualmente pubblicati gli Atti che sono giunti già al quindicesimo volume.
Anche a Termoli, cittadina sull’Adriatico in vista del Gargano e delle isole Tremiti, si è tenuto un
simposio biblico nei giorni 1-3 settembre 1997 il quale non resterà unico ma avrà il suo seguito alla
scadenza di ogni cinque anni. Oggetto degli studi termolani è un complesso di tre brevi lettere
dell’epistolario paolino, due delle quali sono indirizzate a Timoteo e uno a Tito, che vengono chiamate lettere
“Pastorali”.
La qualifica di “pastorale” è stata data dapprima alla sola prima lettera a Timoteo da uno
studioso tedesco di nome B.N. Berdot (1703), e poi è stata estesa alla terna da un altro tedesco, P. Anton
(1753). L’etichetta è appropriata perché il contenuto delle tre lettere è molto
meno teologico e speculativo che non quello di lettere come quelle ai Galati, ai Romani o ai Corinzi, ed è
invece marcatamente apostolico-pastorale, dal momento che le tre lettere danno regole per guidare una
comunità cristiana, per sceglierne i ministri, o per far fronte agli insegnamenti eterodossi.
La scelta delle tre lettere pastorali come oggetto di studio per gli incontri quinquennali di
Termoli è motivata da Timoteo il quale ha in comune con Termoli molto di più che non la lettera
iniziale “T”. Infatti da secoli nella cappella dell’episcopio di Termoli, in un’elegante
reliquiario argenteo, si conserva il cranio (mancante di una mandibola) di Timoteo.
Agli scettici che chiedevano come mai una reliquia del collaboratore di Paolo potesse mai essere capitata a Termoli,
diede risposta lo scavo fatto nella cripta della cattedrale nel 1945 in vista di lavori di consolidamento. In
quell’occasione venne alla luce sotto il pavimento una lastra marmorea che, insieme a ciò che essa
nascondeva, consentì di ricostruire una vicenda fino ad allora sconosciuta.
Nel loculo che si apriva sotto la lastra erano i resti di un uomo anziano, i quali mancavano del cranio ma
comprendevano una mandibola, che poi risultò essere quella mancante al cranio conservato in episcopio. La
lastra marmorea poi recava un’iscrizione secondo le cui esplicite dichiarazioni nell’anno 1239 il
vescovo termolano Stefano e il capitolo della cattedrale nascosero il corpo del «beato Timoteo, discepolo
dell’apostolo Paolo».
Se è vero che il 1239 è ancora molto distante dai tempi di Paolo, si possono però ricostruire
gli anelli della tradizione riguardante Timoteo in questo modo. L’11 maggio del 330 l’imperatore
Costantino aveva inaugurato la nuova Roma, dal suo nome chiamata “Costantinopoli”. Perfezionando
l’opera del padre, il figlio Costanzo ebbe modo tra l’altro di requisire alla chiesa di Efeso le reliquie
di Timoteo per porle sotto l’altare della chiesa dei Santi Apostoli, appunto a Costantinopoli, accanto a quelle
di S. Andrea e di S. Luca, come ci riferisce Epifanio di Salamina (æ 403; cf. Index discipulorum,
117,12). Questo avvenne intorno al 356.
A Costantinopoli le reliquie di Timoteo furono venerate per secoli, tanto che i pellegrini le
elencano tra i luoghi di devozione della città fino al 1203. Nel 1204 la tristemente famosa quarta
crociata, invece che portare alla liberazione del santo Sepolcro di Gerusalemme che era in mano ai musulmani, si
risolse in un furioso saccheggio di Costantinopoli, città e capitale cristiana. Per l’anno seguente
è documentata una manomissione del corpo di Timoteo del quale, da quell’anno in poi, a Costantinopoli
non si ha più alcuna notizia.
Tra il 1204, epoca della manomissione delle reliquie, e il 1239, epoca dell’iniziativa del vescovo
termolano Stefano per metterle al sicuro sotto il pavimento della cattedrale, corrono pochi decenni nei quali
devono essere avvenuti il trasferimento delle reliquie a Termoli come bottino di guerra, il tentativo di proporle
alla venerazione della gente, la constatazione che qualcuno le rivendicava o ne minacciava il possesso, e
l’iniziativa di occultarle.
Le reliquie furono così sottratte alle razzie dei Turchi o alle rivendicazioni di Costantinopoli o di qualche
città rivale ma, per non essersi ancora potuta radicare a Termoli una durevole tradizione di culto, caddero
nell’oblio totale della gente e del clero. Fino al fortunato ritrovamento dell’11 maggio 1945 (la
stesso giorno dell’inaugurazione di Costantinopoli nel 330!).
Secondo gli Atti degli Apostoli è da Listra, in Pisidia, che Timoteo legò la sua
vita a quella di Paolo (Atti 14,1-3), e secondo l’iscrizione venuta alla luce l’11 maggio del 1945 i suoi
resti mortali sarebbero ora conservati, dunque, nel basso Molise.
Le possibilità che quelle reliquie siano autentiche sono legate alla prima tomba di Timoteo, quella di Efeso.
Se dalla fine del primo secolo cristiano alla fondazione di Costantinopoli Timoteo ha davvero riposato a Efeso in
quella tomba, allora è possibile e probabile che ora Termoli conservi il suo corpo. Anche se non si
è in possesso di una prova definitiva, è comunque del tutto giusto e giustificato convocare ogni cinque
anni un convegno di studi su Timoteo e sulle lettere che lo hanno come destinatario.
L’associazione “Eteria” e la diocesi di Termoli meritano il più grande elogio perché,
in un tempo in cui si cerca il profitto ad ogni costo, impegnano soldi ed energie in iniziative culturali e,
più in particolare, promuovono lo studio dei testi biblici, paolini e giovannei, portandoli fuori del chiuso
delle accademie scientifiche. Tocca al lettore attento di premiare chi, con fatica e con intelligenza, voga contro
corrente.
Per altri articoli e studi del prof.Giancarlo Biguzzi o sulle lettere di S.Paolo presenti su questo sito, vedi la pagina Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) nella sezione Percorsi tematici