Ripresentiamo on-line un articolo, dal titolo La catechesi e il catechista nell’esperienza ecclesiale del Nuovo Testamento, scritto da padre Ugo Vanni S.J. per la rivista Via, verità e vita, novembre-dicembre (XXIX) 80, pagg.6-18. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza di questo testo sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.
L’Areopago
Se ci chiediamo qual è la figura del catechista nel Nuovo Testamento,
a un primo esame dei testi rischiamo di rimanere delusi.
Il termine «catechizzare» ricorre piuttosto raramente. Ma anche una prima occhiata
a queste ricorrenze - 8 in tutto - ci dà subito un orientamento e permette una prima
inquadratura del problema.
Si parla di una catechesi ricevuta e che deve essere ulteriormente approfondita, all'inizio del
Vangelo di Luca (Lc 1,4). Se ne riparla negli Atti a proposito di Apollo: «facendo
catechesi» (At 18,25), prepara, apre la via del Signore.
Paolo applica il termine a se stesso: dice di voler «catechizzare» nel senso di
dare un vero insegnamento comprensibile e approfondito (1 Cor14,19). Parla di catechesi -
«catechizzante e catechizzato» - come di una attività che si svolge nella
Chiesa (cfr. Gal6,6) e richiede una reciprocità.
Accanto a questo uso cristiano, troviamo «catechizzare» in un contesto giudaico:
Paolo ci parla del giudeo «catechizzato dalla legge» (Rom2,18) e quindi più
responsabile. Due volte «catechizzare» è usato in senso neutro e profano col
significato semplicemente di «informare ripetutamente» (cfr. At18.25; 21,21.24).
Ne viene allora un problema: catechesi - il senso greco da cui deriva Katecheo ha come
senso fondamentale “riecheggiare” – significa risonanza. Si tratta di una
notizia, di una dottrina, di un insegnamento destinati ad avere una certa eco in un ambiente,
in una persona. La persona e l’ambiente reagiscono alla notizia, all’insegnamento,
che trovano così una loro risonanza.
Che significa questa risonanza che si può avere anche in campo profano e giudaico,
quando viene attuata in un contesto cristiano? Chi, cos’è propriamente ciò
che “risuona”? Chi provoca la risonanza? Qual è l’ambiente in cui si
realizza?
Luca parlandoci di catechesi, ci dice che il suo contenuto aveva per oggetto
quanto avevano tramandato «i testimoni oculari e i servitori della parola» (Lc1,1):
si tratta di Cristo. Luca stesso ce lo esplicita quando, all'inizio degli Atti, ci dice che si
è interessato di «tutto ciò che Gesù cominciò a fare e a
insegnare» (At1,1).
L'oggetto della catechesi è Cristo stesso.
E’ Lui che deve «risuonare». L'accuratezza di Luca che ci parla di fonti, di
testimoni oculari e auricolari consultati, di indagini fatte con tutta precisione sempre
intorno alla sua persona e alla sua opera, richiama questa prospettiva irrinunciabile. La
catechesi deve esprimere Cristo e solo Lui, lo deve esprimere seriamente, con tutta
l'accuratezza, la precisione che merita. Una catechesi che minimizzasse questa
centralità cristologica, che parlasse di Cristo in maniera nebulosa, approssimativa: non
sarebbe più all'altezza del suo oggetto.
Ma la catechesi - ci dice ancora Luca negli Atti - prepara, apre la strada. Non si contenta di
annunciare Cristo con la dovuta serietà, ma, come suggerisce l'immagine della strada -
una strada da percorrere fino a raggiungere la meta che si vuole - ha il compito di portare
Cristo a contatto con gli uomini, con la loro situazione specifica, con la loro cultura. La via
da percorrere li deve raggiungere dove sono. E l'annuncio di Cristo, avrà, a seconda
delle situazioni concrete che raggiunge nell'ambiente culturale in cui è presentato, una
sua risonanza specifica.
E quanto troviamo nella comunità della Chiesa primitiva.
Alcuni esempi di questa «risonanza» esaminati da vicino ci aiuteranno a
comprendere meglio che cos'è la catechesi e qual'è la figura del catechista che
l'annuncia.
Cominciamo dalle comunità che si sono formate nell'ambiente
geografico di Gesù. Le possiamo ricostruire specialmente dal Vangelo di Matteo, dalla
Lettera di Giacomo e anche dalla riscoperta recente di altri elementi
riguardanti le comunità giudaico-cristiane primitive.
La comunità del Vangelo di Matteo è particolarmente sensibile alla risonanza
della catechesi. Aveva alle spalle, per quanto possiamo dedurre da un'analisi del Vangelo
stesso, un'esperienza prolungata, condotta con passione e intelligenza, dei valori proposti
dall'Antico Testamento. L'incontro con Cristo trova la comunità preparata e
sensibilizzata. La novità del suo messaggio è tanto più apprezzata e
gustata, in quanto toglie le lacune che l'Antico Testamento comportava e porta al massimo
sviluppo i suoi valori.
Gesù - comprenderà con gioia la comunità - non è venuto ad abolire,
ma a perfezionare (Mt5,17). Ne deriva un'insistenza particolare su quello che è un
approfondimento comparativo dell'Antico e del Nuovo Testamento: si tratta cioè di
comprendere e di far comprendere sempre di più e sempre meglio come l'Antico Testamento
si salda con Cristo e viceversa.
Il Vangelo di Matteo - è stato detto - è il Vangelo del catechista. Potremmo
aggiungere e precisare: è il Vangelo del catechista che si sente in funzione di una
comunità la quale trova nello sviluppo ascendente e continuo della storia della salvezza
l'aspetto che l'affascina di più.
Nell'ambiente giudaico dell'Antico Testamento era nota e aveva un'importanza determinante la
figura dello scriba. Lo scriba dedicava le sue energie migliori alla parola di Dio rivelata: si
trattava di capirla, di spiegarla, di insegnarla bene, per comprendere con precisione il punto
di aggancio con l'uomo occorreva praticarla di persona. Ciò spesso non si verificava:
sono tipiche del Vangelo di Matteo le parole di condanna drastica di Gesù per quegli
scribi - molti di essi erano anche Farisei - che dividevano la parola di Dio dalla pratica di
vita (Mt23,4-36). Non senza una punta di amarezza Gesù era costretto a dire alla gente:
«sulla cattedra di Mosè si sono assisi gli scribi e i Farisei. Conservate ed
eseguite tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo la loro condotta. Dicono,
infatti, e non fanno» (Mt23,2-3). Lo scriba era il catechista dell'Antico Testamento.
Esiste una figura di catechista tipica nel Nuovo Testamento espressa dalla comunità di
Matteo? Da quanto abbiamo visto, la risposta non può non essere affermativa. Troviamo,
difatti, proprio nel Vangelo di Matteo un ritratto interessantissimo dello scriba-catechista
cristiano. Gesù dopo aver espresso a lungo il suo insegnamento in parabole, termina con
queste parole rivolte ai discepoli: «Avete compreso tutto questo? Risposero: sì.
Perciò ogni scriba ammaestrato in fatto di regno dei cieli è simile a un padre
di famiglia che trae dal suo tesoro cose antiche e cose nuove» (Mt13.51-52).
L'immagine si riferisce allo scriba catechista e merita di essere analizzata da vicino. Lo
scriba catechista ha un deposito, un «tesoro» a sua disposizione. Non è uno
sprovveduto: ha accumulato, e in grande quantità, dottrina e esperienza. E che cosa
c'è in questo deposito rifornito con abbondanza?
«Cose antiche e cose nuove»: si tratta del contenuto dell'AT e del Nuovo
Testamento. Lo scriba catechista conosce l'Antico Testamento, conosce il Nuovo Testamento,
è familiarizzato con l'uno e con l'altro al punto da poterli considerare un tesoro a sua
disposizione. Questo tesoro è presentato agli altri momento per momento, situazione per
situazione, persona per persona, con l'attenzione , la discrezione, la premura saggia di un
padre di famiglia.
La chiesa giudaica, dicevamo, si esprime anche nella Lettera di Giacomo. Tutta la
Lettera, potremmo dire, è un esempio di catechesi, espressa con lo stile appassionato,
talvolta violento, tipico di Giacomo. Giacomo si sente catechista, maestro. Come tale si
preoccupa di far vedere tutte le implicazioni ulteriori che, dopo il primo annuncio e una prima
adesione, il messaggio di Cristo comporta nella vita di ogni giorno e di ogni uomo.
La risonanza del messaggio di Gesù ha un suo dinamismo irrinunciabile: deve tradursi
nella pratica della vita vissuta, che Giacomo denomina «opere». Senza questa
pratica, senza le opere, la prima adesione della fede subirebbe un'involuzione recessiva,
morirebbe (Gc2,17).
Maestro convinto e appassionato, Giacomo parla di maestri in termini drasticamente chiari:
«Non diventate maestri in molti, fratelli miei! Sappiate che avremo un giudizio
più severo!» (Gc3,1). Giacomo avverte così acutamente la
responsabilità dell'ufficio di maestro da averne quasi timore e si premura di mettere in
guardia contro ogni entusiasmo facilone.
Ma Giacomo, pur svolgendo il suo ruolo di maestro catechista con questo senso di trepidazione,
in fondo ne è contento. Ama tanto l'uomo da non potersi esimere, nonostante il rischio
di un giudizio più severo, dall’insegnargli ad approfondire il messaggio di
Cristo.
Un ultimo esempio della risonanza del messaggio di Cristo in un ambiente giudaico, lo troviamo
nella vita di alcune comunità cristiane primitive fiorite soprattutto in Galilea. Alcune
scoperte archeologiche recenti - come la «casa-chiesa» nell'abitazione di Pietro a
Cafarnao e l'altra scoperta sugli scavi della basilica di Nazareth - hanno permesso di
riscoprire alcune comunità cristiane primitive e di rivalorizzare quella che era una
manifestazione della loro fede - una risonanza appunto - confluita nei Vangeli apocrifi e su
altri libri del genere.
E una risonanza tipica interessante e stimolante; il messaggio di Gesù, le sue parole e
perfino il mistero della sua persona sono espressi in termini di canto, di danze, nella forma
di esempi e di racconti popolari. La catechesi non esita a diventare folklore.
Diversa, più complessa ma - almeno sotto certi aspetti che vedremo -
anche più interessante è la risonanza del messaggio di Cristo nelle
comunità fondate da Paolo.
Sia negli Atti degli Apostoli che, a partire dal capitolo 16, ci presentano Paolo come
protagonista attivo della chiesa missionaria, sia nelle lettere di Paolo il messaggio di
Cristo, percorrendo la sua via fino a raggiungere gli uomini, non rimbalza sulla loro cultura,
ma vi penetra dentro, vi si immedesima dando luogo a una «risonanza» nuova, anche
rispetto all'ambiente giudaico-cristiano della Palestina.
Vediamo di fissarne alcuni aspetti. Le comunità in cui essa avviene hanno alle spalle
una vita pagana da lasciare, e una mentalità, talvolta una cultura che invece dovevano
essere conservate. Una volta chiarito il vero concetto di Dio (cfr.At17,22-29) veniva
presentato il Vangelo (cfr.At17,30-31): veniva cioè annunciato il Cristo morto e
risorto. L'accoglienza radicale di questo annuncio, senza pregiudiziali e senza condizioni, era
l'apertura della fede.
Seguiva il battesimo e l'inizio di una trasformazione di tutta la vita - a livello individuale
e collettivo - attuata sotto l'influsso dello Spirito. La «risonanza»
caratteristica di queste comunità cristiane provenienti dal paganesimo, la loro
dimensione propriamente catechetica comincia dal momento del battesimo.
Paolo lo ricorda con precisione. Scrivendo ai Corinti riconosce di aver la missione di
«evangelizzare», di portare cioè alle genti il primo annuncio di Cristo,
soltanto occasionalmente amministra il rito del battesimo. E quando il primo annuncio di Cristo
ha già fatto presa su una comunità, Paolo si sente spinto dall'impegno specifico
della sua missione ad andare altrove (Rom15,19-21). Paolo non è quindi propriamente un
catechista, o, come lui si esprime non si sente «il carisma del maestro» (1 Cor
12,27-31). Ma è convinto che tale carisma non solo esiste, ma è indispensabile
alla vita della comunità.
L'evangelizzatore - è l'immagine che Paolo usa - pone il fondamento dell'edificio. Dopo
occorre costruire sopra. Questo lavoro di costruzione ulteriore è quello che poi ci
dà l'edificio completo. È il lavoro proprio del catechista. A Corinto la figura
che gli corrisponde di più è quella di Apollo che abbiamo già trovato
impegnato a catechizzare negli Atti degli Apostoli. «Paolo pianta, Apollo irriga»
viene detto (1 Cor3,6).
Il lavoro di Apollo suppone quello di Paolo. Ma anche il lavoro di Paolo evangelizzatore
rimarrebbe una piantina senza sviluppo con il rischio addirittura di seccare o quanto meno di
uno sviluppo stentato e parziale, senza il lavoro tipico di Apollo.
Ma, riprendendo l'immagine dell'edificio e sviluppandola, Paolo precisa ulteriormente la
fisionomia del lavoro del catechista. “Secondo la grazia di Dio che mi è stata
donata - così si esprime in 1 Cor3,10-15 - come un architetto competente ho gettato le
fondamenta. Altri poi costruiranno sopra! Nessuno infatti può porre un fondamento
diverso da quello posto che è Gesù Cristo”.
Il fondamento dell'annuncio di Cristo posto dall'evangelizzatore ha una sua esigenza di
coerenza e di continuità. La costruzione che si fa sopra dovrà corrispondergli
adeguatamente: «Se qualcuno costruendo anche sopra il fondamento con oro, argento, pietre
preziose, oppure legno e canne, il lavoro fatto da ciascuno apparirà per quello che
è: il giorno (del Signore) lo manifesterà».
Ci sarà una verifica, che Paolo collega col ritorno di Cristo, quando la storia della
salvezza avrà raggiunto il suo culmine. Allora apparirà il valore genuino della
costruzione fatta sopra il fondamento del primo annuncio di Cristo. Prendendo, secondo il suo
stile ricco di sbalzi e spesso con sviluppi
imprevedibili, l'immagine del fuoco - si tratta di un'immagine: non c'è un riferimento
all'inferno e neppure al purgatorio - collegata già nell'AT con le manifestazioni del
Signore, Paolo prosegue e conclude: «Il giorno si manifesta col fuoco e sarà il
fuoco a collaudare l'opera svolta da ciascuno, facendone vedere la qualità. Se il lavoro
che uno, costruendo, avrà eseguito, rimarrà, questi ne riceverà la
ricompensa. Se invece sarà distrutto dal fuoco, ne avrà un danno. Lui comunque si
salverà, però come se passasse attraverso il fuoco».
Sul fondamento - allora - che è Cristo stesso è possibile costruire con un
materiale valido e allora la costruzione reggerà. Ma si può avere anche
l'illusione di costruire con del materiale scadente e non adatto. Allora prima o dopo - al
più tardi nel giorno del Signore quando apparirà tutta la costruzione nella
completezza - l'autenticità o meno del materiale usato si manifesterà.
Bisogna costruire. Non si può lasciare il fondamento solo. E la prima cosa da fare per
poter costruire è la raccolta di un materiale di costruzione valido. Ciò comporta
in termini realistici per il catechista un impegno serio a trovare ed esprimere creativamente
nel suo ambiente culturale, quegli elementi che dovrebbero corrispondere a Cristo, inteso non
più soltanto come fondamento, ma anche come costruzione che si vede.
Un lavoro del genere - oggi lo chiameremmo l'inculturazione del Vangelo - deve essere fatto
anche se comporta dei rischi. C'è il rischio della approssimazione, oppure all'opposto
dell'integrismo, quando si cerca nel Vangelo una ricetta già pronta per la soluzione
cristiana dei problemi sociali e politici. C'è il rischio del gusto della facciata, del
trionfalismo; c'è anche - e non va sottovalutato - il rischio di una miscela eterogenea
nel materiale di costruzione, mettendo insieme alle esigenze del Vangelo di Cristo elementi
personali, ma che non sono compatibili con esso.
Come impegnarsi in questa costruzione difficile quanto necessaria, superando i rischi
dell'inautenticità? Paolo ci dà un'indicazione che può essere risolutiva:
occorre confrontare continuamente, con coraggio e radicalità, il contenuto della
catechesi, col Cristo del primo annuncio. Dovrà emergere volta per volta una
corrispondenza persuasiva. La risonanza deve essere sempre anche una consonanza. Varrà
la pena, allora, perfezionare, correggere, migliorare il materiale sulla linea, rimisurandolo
sulla figura del Cristo allo stato puro.
Se avessimo raccolto del materiale scadente ed eterogeneo dovremmo avere il coraggio di
scartarlo subito. Si potrà avere, altrimenti, l'impressione di costruire, e di costruire
su Cristo, ma la verifica che avverrà dopo - magari anche prima del compimento della
salvezza, come dimostrano nella storia della Chiesa tanti esempi di teologie nate e tramontate
- mostrerà puntualmente che si trattava solo di illusioni.
La risonanza di crescita e di inculturazione del messaggio che riscontriamo
nelle chiese delle grandi lettere Paoline assume nelle chiese di Giovanni una dimensione assai
diversa. La chiesa che ha alle spalle lunghi anni di esperienza di vita cristiana, maturata in
modo particolare in una pratica liturgica intensa, ha raggiunto un suo livello di completezza e
di omogeneità.
È stata definita la «chiesa del presbitero» (Martini), del cristiano maturo.
E il cristiano maturo ha ancora bisogno dell'approfondimento del messaggio tipico della
catechesi? Rileggendo con questo interrogativo il materiale del Nuovo Testamento relativo alle
chiese di Giovanni - o come oggi si preferisce dire il "circolo giovanneo" (Cullmann),
cioè il IV Vangelo, le tre Lettere e l'Apocalisse - troviamo una doppia istanza, una
doppia tendenza di approfondimento e di crescita, all'interno e all'esterno, alla vita della
Chiesa.
C'è una spinta di approfondimento all'interno. La Chiesa, i cristiani che hanno
già accettato il messaggio di Cristo che lo vivono con un impegno di intensità
notevole, sono invitati a progredire. C'è come una catechesi endogena che li interessa e
li stimola.
Ciò appare, ad esempio, nell'episodio di Nicodemo, l'unico personaggio che nel IV
Vangelo, oltre a Gesù, è chiamato maestro. È un maestro che si ferma a
metà strada: invitato da Gesù a fare il salto qualitativo che dall'Antico
Testamento l'avrebbe portato nella spirale dello Spirito, esita e si arresta, ritorna
nell'ombra dell'Antico Testamento e vi si perde. È un maestro mancato (Gv3,1-10).
Il suo fallimento ricorda alle chiese di Giovanni la necessità imprescindibile di
abbandonarsi allo Spirito per poter comprendere fino in fondo il messaggio di Gesù.
Ma la spinta a un approfondimento sotto il profilo catechetico viene, alla chiesa di Giovanni,
da Giovanni stesso. Egli sembra restio a parlare di se stesso e quando lo fa usa un linguaggio
discreto ed allusivo. Ci dice, ad esempio, dopo aver presentato la trafittura al fianco di
Gesù: «Colui che vide ha testimoniato queste cose e la sua testimonianza è
veritiera: lui sa che dice il vero perché crediate anche voi» (Gv19,35). Nella
conclusione del Vangelo si esprime in termini equivalenti, quasi si ripete: «Questo
è stato scritto perché crediate che Gesù è il Figlio di Dio
(Gv20,31; 21,24).
Giovanni vuole che la sua chiesa creda, creda pienamente come ha creduto lui. Non si tratta
della prima iniziazione, ma di quella fede solida, matura, capace di accogliere la
verità di Cristo a quel livello di ripensamento approfondito che troviamo nel IV
Vangelo.
Giovanni ha questo tipo di fede e sente il bisogno di testimoniarlo alla Chiesa.
Come si svolge in concreto, l'espressione di questa testimonianza? Portato dall'esigenza di
una fede più completa che accolga e valorizzi il materiale riguardante Gesù,
Giovanni dopo aver ripreso nel prologo (1,1-18) un inno nato nella sua Chiesa, dando
così a tutto il Vangelo che segue il tono di un canto liturgico, presenta, ripensandola,
l'interpretazione costante del Padre costituita dalla vita di Gesù. Non vuole passare
per maestro. Questo titolo conviene pienamente solo a Gesù. Giovanni sente l'esigenza di
insegnare, ma lo fa presentando, rivivendo, rielaborando l'insegnamento di Gesù, per
riascoltarlo insieme alla sua comunità. Fa il maestro rimettendosi lui stesso in ascolto
di Gesù maestro per eccellenza.
E l'ascolto di Giovanni è creativo. Facendo parlare Gesù, presentandolo come
maestro, ricostruendo i suoi dialoghi e i suoi discorsi con un'arte o un'efficacia tutta sua,
Giovanni fa «risuonare» di nuovo il messaggio: è insieme evangelista e
catecheta. Il messaggio, così, si muove, appare sempre nuovo, diventa una spirale
ascendente che si sviluppa tanto più quanto maggiore è la maturità
raggiunta dal cristiano. È la trafila affascinante che porterà, sotto la guida
dello Spirito, la Chiesa di Giovanni verso la meta della «verità completa»
(Gv16,13).
C'è nel circolo giovanneo una spinta che interessa la crescita della Chiesa all'esterno
nel rapporto con l'ambiente. Era un ambiente particolarmente insidioso: la cultura gnostica,
dato il suo sincretismo accentuatissimo sembrava condividere alcuni valori cristiani. Ma poi ne
faceva uno sviluppo diverso e tutto suo e finiva in pratica per negarli o trasformarli in modo
radicale. La Chiesa stimolata e quasi obbligata a un confronto approfondito elabora anche sotto
un aspetto più intellettuale il messaggio di Cristo di cui si sente portatrice.
Se ne precisano i vari aspetti, come ad esempio la realtà della passione, la
necessità di non scambiare ogni manifestazione straordinaria per una espressione dello
Spirito di Cristo, ecc. C'è insomma tutta una problematica di risonanza autentica da
sviluppare e verificare come tale. Si dovrà precisare il vero messaggio di Cristo,
contrapponendolo anche alle sue deformazioni. È la problematica catechetica delle
Lettere di Giovanni.
Ma c'è, sempre nel circolo giovanneo, un altro tipo di risonanza che ritroviamo
nell'Apocalisse. La Chiesa è invitata a distaccarsi da qualunque compromesso col mondo
pagano - per esempio la Chiesa di Tiatira è esortata pressantemente a difendersi
dall'influsso di una falsa profetessa «che insegna e inganna» (Ap2,20) - e a
rinnovarsi costantemente dall'interno sottomettendosi ad un giudizio purificatore di Cristo
risorto.
In questo atteggiamento di conversione permanente la Chiesa sarà in grado di leggere in
profondità il senso religioso degli eventi della storia che sta vivendo
traendone le dovute conseguenze operative.
La «risonanza» catechetica appare qui come la capacità di trovare nella
storia sempre nuova la novità inesauribile di Cristo. Il catecheta è colui che
è in grado, di ascoltare lo spirito che «parla alle chiese» (cf Ap2,7 ss) e
di approfondire il messaggio di Cristo fino a coglierne e ad esprimerne tutta la portata
applicativa (Ap13,18).
Nelle Lettere Pastorali - prima e seconda a Timoteo, lettera a Tito, nelle
lettere di Pietro e di Giuda - troviamo una risonanza tutta particolare del messaggio, con
molti dettagli che riguardano da vicino il nostro tema. Timoteo e Tito sotto dei pastori
impegnati in una attività molteplice: si tratta di organizzare la vita ecclesiale
secondo dei quadri più precisi, di stimolarla, di annunciare il Vangelo, di rinnovarne e
farne approfondire il contenuto dove è stato annunciato.
In questo quadro complesso acquista rilievo particolare proprio la figura del maestro. Si parla
della sua funzione, delle sue qualità, si insiste particolarmente sul tipo di dottrina
che deve insegnare.
Esaminiamo da vicino alcuni aspetti, ma per comprenderli dobbiamo prima richiamare il contesto
ecclesiale in cui si situano. Le comunità ecclesiali si trovano a vivere in una
società pagana che viene da esse accettata come tale, ma con gli stimoli e le tensioni
che ne seguono. Le comunità sentono l'esigenza di consolidarsi dal di dentro nei loro
valori portanti, sentono anche l'esigenza di mantenere la propria identità in un
ambiente che, se anche non è ancora ostile apertamente, è certamente eterogeneo.
Non si chiudono in se stesse: si sottolinea, tra l'altro, l'esigenza di pregare per tutti gli
uomini e anche per l'imperatore (1Tim2,1-7). Ma la Chiesa avverte l'esigenza di essere
più omogenea che è possibile, di coincidere con se stessa, di sentirsi
«colonna e baluardo della verità» (1Tim3,15).
In questo ambiente ecclesiale si trova ad agire Timoteo come maestro. Dovrà esercitare
la sua funzione con coraggio, sempre tenendo presente che l'insegnamento della parola deve
essere accompagnato da quello della vita: «Annuncia tutte queste cose e insegna. Nessuno
disprezzi la tua giovane età, ma fatti modello dei fedeli nella parola, nella condotta,
nell'amore, nella fede, nell'integrità» (1Tim4,11-12).
In questo ambiente pluralistico l'applicazione del Vangelo alla vita si fa inevitabilmente
più complessa. Ciò dovrà costituire un arricchimento e portare a una
comprensione maggiore del Vangelo, ma sono evidenti i rischi di un movimento centrifugo. Si
può scadere nella verbosità. Paolo parla di «battaglie di parole»
(1Tim6,4). Si può girare a vuoto finendo in una specie di dilettantismo intellettuale. E
Paolo ne è preoccupato. «Annuncia la parola, insisti senza tregua, metti in crisi,
rimprovera, esorta con magnanimità e con dottrina. Ci sarà un tempo in cui non
sopporteranno la dottrina sana, ma cercheranno di trovare tutti i maestri possibili secondo i
loro gusti, col desiderio di ascoltare ciò che accarezza l'orecchio, si allontaneranno
dalla verità per rivolgersi a dei miti (2Tim4,2-4).
Per superare queste degenerazioni, per evitare che ne sorgano di nuove, Timoteo e Tito sono
invitati a proporre nella loro funzione catechetica una «dottrina sana» (2Tim4,3;
Tt1,9; 2,1). Viene da chiedersi che cosa significa questa espressione nuova e la risposta
è relativamente semplice. La dottrina sarebbe malata e malsana quando rimanesse su un
piano estetizzante - «accarezza l'orecchio» - quando girasse su se stessa senza
riuscire ad agganciare la vita, perdendosi magari in elucubrazioni astratte, tipo le ricerche
sui «miti» che ritroviamo nella letteratura ellenistica contemporanea.
Ma ci sono - e interessano di più - delle caratteristiche positive che fanno risaltare
la sanità della dottrina: «Prendi come tipo di discorsi sani quelli che hai
imparato da me», dice Paolo e poi precisa: «Quelli che si muovono nell'ambito
dell'amore e della fede di Cristo. Custodisci questo deposito prezioso per mezzo dello Spirito
Santo che abita in noi». E ancora più esplicitamente: «Rimani fedele a
ciò che hai imparato e hai creduto, sapendo da chi lo hai imparato. Hai imparato fin
dalla giovinezza la Sacra Scrittura, che è in grado di renderti sapiente mediante la
fede in Gesù Cristo. Ogni parte della Scrittura è ispirata da Dio ed è
utile per la dottrina, per mettere alla prova, per costruire, per educare nella rettitudine:
l'uomo di Dio diventa così preparato, adatto a compiere ogni opera buona»
(2Tim3,14-17).
La dottrina sarà sana, in ultima analisi, se lo sarà il maestro che la presenta.
Questi troverà nel messaggio del Vangelo, e, allargando la prospettiva,
in tutta la Bibbia a partire dall'Antico Testamento, il mezzo più idoneo per acquistare
e mantenere la propria efficienza. In un contesto continuo di verifica col messaggio di Cristo
e l'Antico Testamento la sua dottrina sarà davvero sana e risanante.
L'interesse per la missione dei maestri si fa sempre più acuta col passare del tempo.
Nella seconda Lettera di Pietro e nella Lettera di Giuda - gli ultimi scritti, con tutta
probabilità, del Nuovo Testamento - si parla a lungo, con insistenza e anche con
preoccupazione, del loro ruolo. La confluenza della cultura ebraica, ellenistica e romana
rendeva la risonanza del messaggio ancora più complessa. Il ruolo del maestro diventava
insieme più necessario e delicato.
Si comprende allora il richiamo, che non esita ad assumere toni drastici e violenti alla
responsabilità di chi insegna. Se un maestro diventasse «falso» - sia nel
contenuto che propone, sia nella vita incoerente rispetto a quello che insegna - ciò
sarebbe disastroso. La comunità sente che deve camminare, che deve confrontarsi con le
culture dell'ambiente: ha paura di sbagliare strada per l'influsso negativo che i «falsi
maestri» (cfr.2Pt2,1-22; Gd4,13) possono esercitare su di lei: ma è decisa,
nonostante tutto, a continuare il suo cammino e sente che i maestri veri le sono indispensabili
per muoversi.
Qual è la figura della catechesi come essa appare dal Nuovo
Testamento e di conseguenza, la figura tipica del catechista che ne emerge? Dopo l'esame
analitico, siamo in grado di rispondere raccogliendo a fattore comune alcune indicazioni
conclusive.
La catechesi, abbiamo visto, non è tanto il primo annuncio di Cristo, quanto piuttosto
la risonanza ulteriore che esso provoca. Tale risonanza passa per la via della
«cultura», intesa in senso generale, come la somma di tutte le caratteristiche
storico-geografiche, come la situazione di un ambiente. Il Vangelo possiede un dinamismo dal di
dentro che lo porta a incarnarsi in tutti i tipi di cultura umana, «risuona» in
tutte le situazioni. L'evangelizzazione tende a diventare catechesi.
Il soggetto portante dello sviluppo dall'evangelizzazione alla catechesi è la
comunità ecclesiale. Il messaggio di Cristo che essa accoglie la penetra in tutte le sue
dimensioni e la spinge continuamente verso un'elaborazione ulteriore. La comunità si
trova, così, in una situazione di crescita che la spinge ad essere sempre più se
stessa e a confrontarsi arditamente con la situazione storica esterna in cui vive.
Nello sviluppo della comunità ecclesiale secondo queste due dimensioni parallele,
interiore ed esteriore, si inserisce la figura del maestro, del catechista. Egli è, si
può dire, figlio della sua comunità: condivide con essa la prima accoglienza del
messaggio, il ritmo di crescita, la spinta coraggiosa all’inculturazione,
Non sarebbe pensabile in un isolamento individualista che lo dividesse dalla sua
comunità. Non potrà permettersi ne l'avventura delle fughe in avanti, ne la
nostalgia indolente del passato. Camminerà col ritmo del cammino della Chiesa. Ma il
catechista, coinvolto pienamente nel giro della vita ecclesiale, non scompare in una
massificazione anonima. Ha anche, rispetto alla sua comunità, una fisionomia propria,
una responsabilità specifica, un suo tipo di servizio da prestare.
Le varie situazioni ecclesiali determinano di più: Giacomo, Timoteo, Tito, Giovanni
hanno la loro funzione catechetica nell'ambito più ampio della responsabilità
pastorale di insieme. Altrove la figura del catechista, scriba o maestro, è più
specificata. In ogni caso per essere in grado di prestare un servizio importante, il catechista
dovrà averne la competenza: dovrà conoscere ciò che deve insegnare.
L'Antico Testamento, il messaggio di Cristo nel Nuovo Testamento, il cammino di tutta la Chiesa
guidata dallo Spirito verso la «verità completa» gli dovranno essere
familiari. Il catechista sa che ha sempre ancora da imparare e ci si impegna.
Gli dovrà essere familiare il mondo degli uomini in cui vive. Attento ai segni dei
tempi, capace di saperli leggere e interpretare, sarà aperto e sensibile ai problemi,
alla mentalità, ai modi di esprimersi dei suoi contemporanei. Sarà un uomo del
suo tempo, senza lasciarsi dominare dal suo tempo. La sua figura ideale non sarà quindi
né quella di un intellettuale che si chiude oziosamente nel giro delle sue elucubrazioni
(cfr.2Pt1,16), né quella dell'empirico praticone che agisce senza idee.
Saprà mettere il messaggio a contatto con la vita e la vita a contatto col messaggio. Il
catechista, maestro, impara anche dalla vita ciò che insegna. Un aspetto irrinunciabile
dei suo servizio ecclesiale è l'impegno non solo a evitare una dicotomia tra il
contenuto che presenta e la vita che conduce, ma, positivamente, a imparare provando e
riprovando di persona.
Queste tre dimensioni unite insieme - conoscenza di Cristo, conoscenza dell'uomo, impegno
appassionato nella vita - comporteranno un tono di autenticità, di aderenza, di
creatività che permetteranno al catechista di rendere persuasivo il suo discorso.
«È parso bene anche a me - scrive Luca proprio all'inizio del suo Vangelo - dopo
essere riandato alla sorgente dei fatti, di scrivertene in ordine e con esattezza, carissimo
Teofilo, poiché tu possa conoscere più approfonditamente la solidità dei
discorsi mediante i quali fosti catechizzato» (Lc1,3-4).
Luca ci mostra che sia il catechista che la Chiesa catechizzante hanno bisogno di confrontarsi
con le fonti per una conoscenza più approfondita dell’oggetto della loro
catechesi. C'è un movimento ciclico, ma a spirale ascendente. Si partirà sempre
dal messaggio di Cristo, gli si farà strada fino a trovare gli uomini dove sono,
facendolo germogliare nella loro cultura.
Ma, poi il movimento di inculturazione, sviluppandosi, dovrà riprendere contatto col
messaggio primigenio, confrontarsi radicalmente con esso, e ripartire per una nuova fase, un
nuovo giro della spirale ascendente, finché «non ci incontriamo tutti nella
unità della fede e della conoscenza approfondita del Figlio di Dio, crescendo ora verso
l'uomo perfetto, verso la misura della statura della pienezza di Cristo» (Ef4,13).
Il “circolo giovanneo” e il cammino della
chiesa verso la Gerusalemme celeste
Per conoscere l´Apostolo Paolo
Perché non montassi in superbia
mi è stata messa una spina nella carne (2 Cor 12, 7)
Una donna vestita di sole, con la
luna sotto i suoi piedi (Ap 12,1-6)