Raoul Manselli e gli studi sullo spiritualismo francescano. Due riflessioni di Felice Accrocca e Paolo Vian
Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 21/7/2011 due testi di Felice Accrocca e Paolo Vian. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti vedi su questo stesso sito le sezioni Storia e filosofia e Francesco d’Assisi.
Il Centro culturale Gli scritti (21/7/2011)
Il venticinquesimo anniversario della scomparsa di Raoul Manselli ha fornito a un gruppo di studiosi, variamente legati all'insegnamento e alla memoria dello storico, l'occasione per rievocarne la figura. Dal volume che ne è scaturito - "Nisi granum frumenti...". Raoul Manselli e gli studi francescani (Roma, Istituto Storico dei Cappuccini, 2011, pagine 229, euro 21) pubblichiamo quasi integralmente l'introduzione del curatore e [...] alcuni stralci del primo capitolo.
1/ Un ribelle tranquillo, di Felice Accrocca
Il 20 novembre 1984 moriva Raoul Manselli, uno storico che ha segnato la medievistica del secondo Novecento. Nato a Napoli l'8 giugno 1917, Manselli si laureò nel 1938 sotto la guida di Ernesto Pontieri per poi divenire professore di ruolo nei licei; quindi nel 1946 entrò come allievo alla Scuola storica nazionale, dove venne a stretto contatto con il suo riconosciuto maestro, Raffaello Morghen. Nel 1953 conseguì la libera docenza in Storia medievale e nel 1954 iniziò la sua carriera universitaria: incaricato a Lecce, straordinario a Perugia, ordinario a Torino come successore di Giorgio Falco, fu infine a Roma sulla cattedra già occupata da Morghen, che egli tenne dal 1966 fino alla morte.
L'ingresso alla Scuola storica nazionale lo pose a stretto contatto con la figura di Pietro di Giovanni Olivi e con gli spirituali francescani, argomenti di studio che furono tra i suoi privilegiati e ai quali ritornava con frequenza. A entrambi dedicò ricerche profonde, pubblicate poi in volumi e saggi che hanno profondamente inciso sulla storiografia successiva. Quando - un paio d'anni or sono - chi scrive riunì in volume un certo numero di saggi dedicati ad Angelo Clareno, per trovare una chiave riassuntiva dell'esperienza religiosa del frate marchigiano non poté fare a meno di ricorrere proprio a un ossimoro coniato da Manselli durante uno dei primi convegni della rinata Società internazionale di studi francescani. In quell'occasione, infatti, Manselli caratterizzò Clareno per la sua "singolare posizione di ribelle tranquillo. Posizione che si potrebbe ritenere ambigua, se non nascesse invece dalla coscienza che la tribolazione, la persecuzione, la sofferenza, vanno collocate in un ambito e in una logica che ha la sua inevitabile giustificazione nel piano provvidenziale di Dio. Perciò, diversamente da altri, il Clareno non si è fatto capo di ribelli, ma ha piuttosto cercato di vivere francescanamente, come e dove poteva, spesso giocando sull'equivoco, sempre realizzando nella vita quello che era il suo ideale di francescano".
Nell'ultima fase della propria vita Manselli giunse a confrontarsi in modo diretto - e prioritario - con la persona dell'Assisiate e la sua esperienza religiosa. In tal senso, anche se alcune interessanti notazioni compaiono già nella relazione tudertina del 1960, si può dire che il confronto sistematico con Francesco cominciò a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta. Nel 1965, infatti, in una densa rassegna pubblicata sul primo numero della "Rivista di Storia e Letteratura Religiosa", introduceva in Italia i risultati conseguiti in Germania dalla ricerca su Francesco. Fu in quella occasione che annodò anche un'amicizia sincera con Kaietan Eßer, che perdurò fino alla morte del frate tedesco: a rivelarlo è una lettera poco conosciuta, anche se pubblicata ormai diversi anni or sono da Herbert Schneider, scritta dopo la morte di Eßer e indirizzata al guardiano e ai frati di Mönchengladbach.
In quell'occasione, esprimendo il suo cordoglio alla comunità per la perdita di un frate e di uno studioso tanto benemerito, Manselli tra l'altro scriveva: "Sono un laico, ma ho avuto a suo tempo la gioia e la soddisfazione di far conoscere agli italiani il merito e il valore del padre Eßer, per cui ebbe inizio un'amicizia e uno scambio di idee di cui sentirò in futuro ed a lungo la mancanza. Mi auguro di poter ora, dopo la sua morte, ancora una volta far comprendere la sua importanza nella storia degli studi francescani". Il 1980, durante il quale videro la luce la biografia di Francesco e il volume sulla testimonianza dei compagni del santo (Nos qui cum eo fuimus), appare in tal senso come un vero e proprio anno nodale.
Tra i punti di forza della biografia manselliana furono, senza dubbio, le pagine dedicate al processo di conversione di Francesco, con la decisa valorizzazione del Testamentum: con lucidità egli enucleava il nocciolo dell'intuizione religiosa del santo. Secondo Manselli, "il momento centrale della conversione di Francesco" non era stato "quello pauperistico, ma (...) il passaggio da una condizione umana ad un'altra, l'accettazione del proprio inserimento in una marginalità, l'ingresso fra gli esclusi, la cui caratteristica era, appunto, l'essere rifiutati da tutti per la loro condizione di orrore. Che di questi esclusi fosse anche caratteristica comune la povertà è un dato concomitante ed inevitabile"; ma non era stata la povertà "il fattore decisivo della conversione".
Conversione, dunque, come capovolgimento di valori, come scelta dell'emarginazione quale via privilegiata per realizzare, nel profondo, la sequela di Cristo: sembrano sostanzialmente convergenti, anche se con accentuazioni e sottolineature differenti, le letture che della conversione di Francesco e della sua intuizione religiosa offrono Manselli e Miccoli. Si trattava, in ogni caso, di un'interpretazione che superava e sconvolgeva tante ricostruzioni del passato e che, ovviamente, suscitò le più disparate reazioni; ad esse Manselli rispose in un importante articolo, nel quale, tra l'altro, affermò: "Senza entrare in polemica con recensori ed interlocutori, mi sia permesso di ribadire che da nessuno mi è stata proposta un'alternativa, storicamente valida e fondata sulle fonti, quanto alla conversione di Francesco". Dopo trent'anni, sembra di poter dire che aveva colto nel segno.
Nonostante la sua produzione testimoni orizzonti vastissimi di ricerca, di fatto Manselli predilesse sempre la storia religiosa, trovandosi a proprio agio nel cogliere le inquietudini spirituali dei personaggi studiati, la loro aspirazione a una vita evangelica, le loro interiori vibrazioni, il loro anelito verso una radicale riforma della Chiesa. Tuttavia, quello che colpisce era la sua attenzione partecipe, la sua capacità di mettersi in ascolto per intendere le domande più vere degli uomini e delle donne fatti oggetto dei suoi studi. Emblematiche - e coraggiose, al tempo stesso - risultano alcune affermazioni che ritroviamo nell'ampia Introduzione premessa a una raccolta di saggi su La religiosità popolare nel Medio Evo, che egli curò per la Società editrice Il Mulino nel 1983: "Si guarda alla religione popolare attraverso gli occhiali di Gramsci o di Van Gennep, di Radcliffe-Brown o di Lévi-Strauss. È necessario, invece, avere il più possibile la mente aperta ad una comprensione anche affettivamente partecipe. Chi guarda alla religione popolare con la sufficienza di chi si sente superiore e la considera come una serie di superstizioni più o meno risibili, si preclude in ogni modo la possibilità di capire. Fin quando si considereranno, e mi riferisco all'oggi, degli scalmanati coloro che corrono con sulle spalle i ceri di Gubbio, o dei fanatici coloro che si flagellano a sangue nella processione del venerdì santo di Nocera Terinese, o una sciocca anche solo la pia donna che ogni mattina alle sette va alla messa, non si può discutere, e meglio farebbe a non occuparsi, di religione popolare".
Una partecipazione affettivamente partecipe! Il che non voleva dire, per lui, rinuncia alle esigenze di un rigoroso metodo storico. Pur tuttavia, quella vigile partecipazione dava alle sue parole un fascino del tutto particolare e certe lezioni sono rimaste memorabili. Le sue pagine, invece, generalmente non raggiungevano l'eleganza di cui sapeva dar prova, ad esempio, il collega oltre che amico Arsenio Frugoni; ciononostante, anche attraverso lo scritto era in grado di far vibrare i lettori. Ricordo ancor oggi, dopo oltre trent'anni, l'emozione provata nel leggere i volumi sulle eresie del XII secolo, sulla Lectura super Apocalipsim dell'Olivi o quello sugli Spirituali e beghini in Provenza, per non dire dei volumi e saggi più specificamente dedicati a Francesco e alla questione francescana.
(©L'Osservatore Romano 21 luglio 2011)
2/ Riscatto di un mondo dimenticato, di Paolo Vian
A una considerazione complessiva la storiografia manselliana su Pietro di Giovanni Olivi e sullo spiritualismo francescano appare una pagina fondamentale della storiografia italiana novecentesca sul fatto religioso. Tributaria alle sue origini delle intuizioni di Morghen sul cristianesimo medievale e a esse collegata anche come quadro generale di riferimento, la riflessione di Manselli fra gli anni Quaranta e Ottanta del secolo scorso si mosse poi con autonomia nell'approfondimento di un tema che Morghen aveva appena sfiorato; e lo fece con una coerenza, con una capacità di inquadramento storico, con una organicità che non potranno essere dimenticate. Ci si può dolere di una certa ripetitività dell'ultimo Manselli, probabilmente troppo preso da molti impegni; ma non si dovrà mai dimenticare il tono nuovo che diede a ricerche sino ad allora esclusivo patrimonio di una certa erudizione francescana e di un filone di studi (Buonaiuti, Benz) che, per la sua stessa caratterizzazione, ne confermava la marginalità.
La sorpresa quasi indignata del "grande maestro di letteratura greca" che durante le vacanze del 1943 scopre Manselli nella Biblioteca statale di Lucca intento nella lettura della Expositio super Apocalipsym di Gioacchino da Fiore e le valutazioni negative sui lavori di Manselli dei commissari del concorso del 1955-1956 la dicono lunga su un atteggiamento allora diffuso nella cultura storica italiana. Al contrario Manselli, muovendosi all'inizio da vero pioniere, si è battuto per mostrare come il gioachimismo e lo spiritualismo francescano - quella che nel 1973 definì la "linea gioachimitica-spirituale" - siano stati una componente essenziale del Medioevo cristiano, la cui fecondità storica travalica i conflitti e le beghe conventuali e informa di sé molteplici aspetti e personalità dei secoli bassomedievali, partendo da Gioacchino da Fiore reinterpretato alla luce dell'evento francescano e da Pietro di Giovanni Olivi, passando per Ubertino da Casale, per Angelo Clareno, per gli Spirituali e i beghini provenzali e italiani, ma anche per Dante, per Petrarca, per Cola di Rienzo, alimentando il movimento dell'Osservanza francescana e persino, con alcuni motivi, la Riforma protestante e Cristoforo Colombo, mentre accompagnava le missioni francescane, da quelle ancora medievali in Oriente a quelle alle soglie dell'età moderna verso il nuovo mondo.
La fecondità storica di questo filone, alla fine, appare a Manselli più importante della rivendicazione della sua "ortodossia"; il tema, che pur ha interessato Manselli all'inizio del sua cammino, nel tempo lascia sempre più spazio all'osservazione del movimento di queste idee nella loro continua e cangiante incarnazione nella vita degli uomini che a quelle idee si ispirarono (...). Ma - e questo è un altro dato importante da considerare - lo spiritualismo francescano e la sua figura di maggiore spessore teologico e spirituale, Pietro di Giovanni Olivi, non rappresentano per Manselli un orizzonte conclusivo, uno scenario chiuso, da scandagliare e analizzare con approfondimenti sempre nuovi.
I temi studiati dagli anni Quaranta sono per lui un osservatorio, un punto di vista particolare dal quale considerare, con uno sguardo complessivo, le vicende della Chiesa bassomedievale. Gli studi sullo spiritualismo francescano così si allargano naturalmente non solo all'escatologismo (che della riflessione spirituale poteva essere una componente comprensibilmente ineliminabile) ma anche all'ecclesiologia, alla concezione della Chiesa, al rapporto fra gerarchia e fedeli, fra pastori e popolo. E la crisi all'interno dell'Ordine dei Minori e il fallimento dello spiritualismo appaiono a Manselli la premessa della crisi della cristianità medievale sfociata nella Riforma protestante (nella quale pur riemergono [...] motivi che erano stati degli Spirituali, come quello dell'Anticristo mistico, del papa eretico e come Anticristo), così come i semi gettati attraverso l'Osservanza francescana e Bernardino da Siena (con la sua lettura "selettiva" dell'Olivi, che ne conserva il rigore della pratica francescana mentre ne elimina il coté escatologico-apocalittico, con il rapporto nuovo instaurato fra sacerdozio e fedeli) rappresentano la risposta a quella accorata preghiera di Olivi che chiedeva al Signore pastori che fossero guida vera e autentica del gregge (...).
Manselli amava spesso ricordare (e lo ha scritto) che nella biblioteca di san Filippo Neri compariva anche l'Arbor vitae crucifixae Jesu di Ubertino. Anche qui la sintonia con Morghen era intima e profonda e non saprei dire chi dei due abbia influenzato l'altro: entrambi scorgevano nella storia religiosa fiorentina e toscana bassomedievale un filo rosso che la percorreva, con aspirazioni di rinnovamento e di riforma della Chiesa che dalla pataria dell'XI secolo, passando attraverso lo spiritualismo francescano, gli Osservanti, ma anche altri canali, arrivava a Savonarola e Filippo Neri, consegnando il testimone alla Riforma cattolica.
Non è un caso che Manselli abbia ripetutamente insistito sulla centralità del convento francescano fiorentino di Santa Croce, il luogo in cui Olivi col suo breve soggiorno realizzò quel legame fra Spirituali d'Italia e di Provenza che avrà particolare importanza nei decenni successivi, ove lasciò quella lezione che influenzerà Dante e dove per tutto il Trecento - anche attraverso l'opera dell'amico francescano di Petrarca, Tedaldo della Casa - le sue opere furono trascritte, conservate e lette, magari con espunzioni mirate e accorti addolcimenti, magari con sotterfugi pseudepigrafici, ma sempre considerate, valutate, interpellate, come una voce da non dimenticare.
E sarà a Santa Croce che Bernardino cercherà alcune opere di Olivi, sapendo evidentemente bene cosa e dove cercare. La disseminazione delle idee spirituali passa non solo attraverso luoghi ma anche attraverso oggetti, come il manoscritto 9 della biblioteca della Chiesa Nuova di Assisi, con le traduzioni provenzali delle operette spirituali di Olivi, segno di una trasmigrazione verso ambiti meno ostili e cieli meno tempestosi. Così attraverso luoghi, oggetti e soprattutto uomini, lo spiritualismo si diffonde nello spazio e nel tempo; muore, certo, sotto i colpi di un'istituzione che non riesce a comprenderlo e lo considera solo pericolosa disobbedienza, ma, come il chicco di grano di Giovanni, 12, 24, è proprio morendo, trasformandosi, fecondando altre realtà che esso porta frutto. Nella sua scomparsa, nel suo inabissamento nelle correnti profonde della storia vi è la condizione della sua fecondità e della sua moltiplicazione.
La lezione di Giovanni, 12, 24 è così presente a Manselli da divenire (...) la chiave di volta dell'interpretazione di Olivi. A proposito del quale il merito indiscutibile di Manselli non risiede nell'accertamento di dati biografici, in analitiche ricostruzioni del pensiero o nell'edizione di grandi opere (...). Tutto questo verrà più largamente dopo, a partire dagli anni Settanta e Ottanta a opera da una parte di storici americani, dall'altra dello stesso Ordine francescano con l'edizione della "Collectio Oliviana". Il merito di Manselli consiste piuttosto nell'avere riscattato la figura di Olivi innalzandola da grande teologo ed esegeta a punto di osservazione della parabola della Chiesa bassomedievale; nell'aver compreso che le doverose precisazioni sulle immagini e sulle figure della sua riflessione escatologica - "Babylon", l'"Ecclesia carnalis", l'Anticristo mistico - dovevano necessariamente allargarsi e ancorarsi a una considerazione globale del suo pensiero, della sua teologia della storia attraverso la quale "il francescano di Béziers sembrerà ancora più grande" (...). Senza Manselli, senza la sua lunga e paziente opera di rilettura e rivalutazione, difficilmente si sarebbe assistito alla stagione delle edizioni e delle ricerche più approfondite. (...)
In questo modo, scrivendo di Olivi e di Spirituali francescani, Manselli ha composto una pagina di storiografia à part entière, ricordando a tutti, come lezione di metodo, non solo che non si può fare storia senza tener conto della centralità dell'esperienza religiosa, ma anche che non si può fare storia religiosa senza affrontare in senso lato la storia concreta di quegli uomini che hanno creduto e sperato. Se oggi il suo nome, a più di venticinque anni dalla morte, può sembrare talvolta dimenticato, è forse perché il successo conseguito con l'acquisizione diffusa e condivisa di molte delle sue conclusioni ha finito per trascinare nel silenzio uno degli artefici di quelle conquiste. Come capitò di scrivere allo stesso Manselli a proposito di Valdo e del silenzio a suo riguardo negli scritti di Gioacchino da Fiore: "per ciò il suo svanire finisce per essere il prezzo pagato al risultato stesso della sua azione".
Però se oggi il mondo del gioachimismo e dello spiritualismo francescano (e, in senso più ampio, quello del profetismo e dell'escatologismo) non è più quel mondo "travolto dalla dimenticanza, oppresso da gravi calunnie, malconosciuto e spesso malcompreso", se sono scomparse quelle "diffidenze e perplessità, per cui quelle idee vennero, di volta in volta, classificate stranezze, bizzarrie o vaneggiamenti di spirito malato"; se quel mondo, riacquistando piena cittadinanza nella considerazione storica, ci appare ora multiforme e plurale nelle sue espressioni ma al tempo stesso unitario nell'aspirazione di fondo; se infine quest'aspirazione di fondo non è più ritenuta un affare fratesco ma un movimento possente che per le vie più diverse ha ispirato momenti, figure e personalità centrali del basso medioevo italiano e non, il merito sarà ampiamente da ricondurre alla ricerca appassionata di Raoul Manselli fra gli anni Quaranta e Ottanta del secolo scorso. Nisi granum frumenti cadens in terra mortuum fuerit, ipsum solum manet, si autem mortuum fuerit multiplicem fructum affert.
(©L'Osservatore Romano 21 luglio 2011)