Identikit dell’Iniziazione Cristiana, di Luigi Girardi
Riprendiamo dal web un articolo di Luigi Girardi, apparso sulla rivista Evangelizzare 34/1 (2004) 25-28. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sezione Catechesi e pastorale.
Il Centro culturale Gli scritti (25/6/2011)
Siamo abituati oggi a parlare di iniziazione cristiana, e sappiamo a che cosa ci riferiamo. Eppure il concetto di “iniziazione”, a cui applichiamo l’aggettivo “cristiana”, non è così facile da definire né è così familiare alla cultura odierna. Potremmo dire che l’iniziazione è un processo complesso mediante il quale la persona viene integrata in un determinato gruppo, acquisendo una nuova identità personale riconosciuta. Ma quali elementi entrano a far parte di questo processo? E come si qualificano in senso cristiano?
Un passaggio ad una nuova condizione
Il primo elemento da rilevare è che l’iniziazione segna il passaggio ad una nuova condizione della persona all’interno di un gruppo sociale. Tra chi è iniziato e chi non lo è, vi è una differenza radicale. Essa non dipende semplicemente dal raggiungimento di una certa età o dall’attribuzione di un ruolo. È legata piuttosto al superamento di una soglia, dalla quale non è possibile tornare indietro; è un’esperienza che ci risveglia ad un altro livello di esistenza, nuovo punto di partenza e di orientamento. A livello esistenziale, ci sono certe “prove” (alcuni passaggi cruciali, dall’ingresso nel mondo del lavoro all’esperienza di un lutto…) che ci introducono in una qualità più profonda della vita. Il cambiamento avviene non per accumulo di esperienze, ma per accrescimento di identità; ci impegna a vivere l’esistenza in un certo modo e ne diventa criterio di verifica, anche qualora la vivessimo in modo difforme.
Questi passaggi, che toccano la nostra identità in senso globale, non avvengono in modo lineare e automatico. Propriamente, il passaggio iniziatico non si dà in due tempi (da una condizione ad un’altra), bensì in tre, scanditi ritualmente. Possiamo descriverli in questo modo: c’è anzitutto una fase di separazione dal gruppo, un distacco segnalato anche dall’andare altrove rispetto al luogo normale di vita (è detta anche fase preliminare); poi c’è la fase di margine, nella quale si passa attraverso varie prove e vengono trasmessi gli insegnamenti fondamentali su cui si regge la vita del gruppo (fase liminare); segue infine la fase di riaggregazione, con la quale si viene reinseriti e accolti nel gruppo secondo la nuova condizione personale (fase postliminare).
La dinamica rappresentata da queste tre fasi è molto vicina alla nostra esperienza. Infatti, di fronte ai passaggi critici della vita, ci si rende conto che finisce un certo modo di vivere; le convinzioni già acquisite non bastano più; le sicurezze di prima vengono ora azzerate. Ma il raggiungimento di una nuova maturità passa attraverso una fase di gestazione, a volte lunga e faticosa. Un passaggio troppo frettoloso o superficiale rischia di lasciarci al livello di prima, di non darci il tempo sufficiente per abbracciare la vita in modo trasformato, di lasciarci marginali o non veramente integrati nel gruppo degli iniziati. Al contrario, la fase di margine ci dà tempo per rielaborare il nostro passato e per assumere il futuro alla luce di un principio di vita che ci fa appartenere in modo nuovo alla comunità.
Nell’iniziazione cristiana (è evidente nel caso degli adulti) è l’annuncio del vangelo di Cristo ciò che giustifica l’entrata in una fase di margine, una gestazione che comporta un distacco e si apre ad una appartenenza piena alla comunità ecclesiale. Si parla di conversione a Cristo, quindi di riorientamento della vita nel senso indicato dal suo vangelo. «Che cosa dobbiamo fare? Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito santo» (At 2,37.38).
Una morte e rinascita simbolica attraverso il rito
L’accesso a questa novità di vita è espresso con la simbologia della morte e della rinascita. Tale simbologia caratterizza fortemente i percorsi di iniziazione: qualcosa finisce e qualcosa ha inizio. Ma questo inizio non è semplicemente frutto di un atto di volontà del soggetto, né deriva da una concessione della comunità che annette a sé il soggetto: è un dono dall’alto. «Se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio», dice Gesù (Gv 3,5). La simbologia della rinascita mette in campo la figura di una certa “passività”, che riguarda sia il soggetto (così avviene anche nel nostro essere generati, evento che ci consegna a noi stessi) sia la comunità (così avviene quando uno nasce, evento che consegna una persona nuova e unica alla comunità). Non si tratta di una passività che annulla l’identità personale e comunitaria, ma che al contrario la fonda. L’iniziazione mette in contatto con ciò che sta all’origine della nuova forma di esistenza e quindi all’origine della comunità degli iniziati: ci riceviamo dal gesto di Dio che perdona e che ci ama come figli nel Figlio. L’iniziazione dice che l’origine è ancora donata e l’esistenza cristiana può “cominciare”. In ciò si radica quella competenza globale del cristiano (sapere, saper fare, saper essere) che si svilupperà e si eserciterà per tutta la vita.
Il dono che sta all’origine si esprime nella vita dell’iniziato, ma ne è sempre eccedente: non coincide mai del tutto con un modo di vivere personale o comunitario, né si può racchiudere in una definizione concettuale o in una forma culturale. Per questo l’iniziazione avviene con azioni di tipo rituale. Il rito infatti rimanda a un ordine istituito che ci precede, un ordine “diverso” di azioni in cui si deve “entrare” e in cui ciascuno è chiamato ad occupare il posto che gli è assegnato. Essendo un agire di tipo simbolico (non di tipo funzionale), il rito ci distanzia dalla realtà immediata, da ciò che riteniamo di possedere. Consente a tutti (sia ai soggetti sia alla comunità iniziatrice) di stare davanti al dono nell’atto di riceverlo e di trasmetterlo. Non mira a “definire” il nostro rapporto con questo dono, ma a porlo in atto attraverso un gesto di affidamento con cui lo lasciamo agire in noi, acconsentiamo a quell’essere rigenerati che non viene da un nostro atto di volontà né da una semplice decisione comunitaria. È l’inizio donato e ricevuto dell’esistenza.
Con i riti dell’iniziazione cristiana ci affidiamo a Gesù Signore e passiamo nella condizione di chi appartiene a Lui: con Lui morti al peccato, possiamo vivere la vita dei figli, guidati dallo Spirito (cfr. Rm 6,3-11; 8,9-17). Questo è il dono che gli iniziati ricevono e che li accomuna nella Chiesa: «Infatti noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi» (1Cor 12,13a).
Una formazione che trasforma
Un rito di iniziazione comporta sempre anche una trasmissione di insegnamenti e quindi un compito formativo. L’iniziato è tale anche perché può riformulare la propria identità dentro un nuovo orizzonte interpretativo della vita. Sarebbe sbagliato però pensare a una formazione che si collochi solo sul piano intellettuale, come una comunicazione di cose da sapere. Se si pone su questo piano, è destinata all’inefficacia. L’autentica formazione iniziatica, invece, ha due caratteristiche fondamentali. La prima consiste in un particolare legame con l’esperienza iniziatica. Questa esperienza è il luogo in cui sviluppa la conoscenza. Non traduciamo nel rito quello che abbiamo previamente appreso; al contrario, impariamo a conoscere attraverso il percorso rituale. Non c’è una conoscenza da mettere alla prova, ma una prova che ci apre ad una diversa conoscenza. Ciò suppone che il vero punto di partenza dell’iniziazione non sia un concetto da sapere, ma una esperienza da fare, un incontro con il Vangelo, una relazione comunitaria rigenerante e significativa. In questo senso, occorre ridare e riconoscere ai riti il loro spessore. Essi sono capaci di evocare e di implicare simbolicamente tanto la storia della salvezza quanto la nostra vita, così da racchiudere in boccio l’esistenza cristiana nella sua interezza: siamo morti e risorti con Cristo. Un tale gesto rituale, metafora viva dell’essere cristiani, non smetterà mai di dire e di far conoscere il senso dell’esistenza: lo si comprenderà sempre di più e sempre meglio man mano che progredisce l’esperienza della vita. La dimensione formativa dell’iniziazione consiste allora nel creare il quadro di riferimento (i valori fondamentali vissuti) in cui acquistano senso tutte le altre conoscenze che riceveremo e che altrimenti rimarrebbero astratte, nozionistiche.
La seconda caratteristica è che in un processo formativo di questo tipo non può essere in gioco solo la dimensione intellettuale, ma la persona dev’essere coinvolta in tutte le sue dimensioni: corporea, affettiva-emozionale, intellettiva. La cosa è evidente e necessaria, se è vero che ciò a cui si viene iniziati non è un concetto o una dottrina, ma una possibilità di vita che mobilita tutte le risorse della persona. Il coinvolgimento integrale della persona nella formazione non è questione di strategia didattica, ma di fedeltà al dono che si riceve e di rispetto per chi lo riceve. Spesso non è la comprensione intellettuale, ma sono proprio il grado di implicazione corporea nelle relazioni, la tonalità del coinvolgimento emotivo e il riordino degli affetti a rivelare ciò che diventa prioritario e ciò a cui teniamo anzitutto. Lì appare quanto il processo di iniziazione abbia realmente inciso sull’identità personale e comunitaria.
Una formazione di questo tipo non si affianca al percorso rituale dell’iniziazione, ma è tutt’uno con esso: non è previa, né posteriore, né semplicemente concomitante, ma è la risultanza di un processo integrale che mette in moto tutta la persona e tutta la comunità. È una formazione intesa come “trasformazione”, in cui l’annuncio della parola compie la sua corsa e sviluppa la sua efficacia: «Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggregate a loro circa tremila persone. Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli…» (At 2,41-42).