Caravaggio in ginocchio dinanzi all’Eucarestia: l’adorazione eucaristica del Merisi attestata dai documenti avvenne presso il Pantheon o presso la Chiesa dei SS. Luca e Martina, di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti (8/6/2011)
È nota da tempo una lunga lista di nomi di pittori operanti a Roma a cavallo fra cinquecento e seicento, nella quale Caravaggio figura a fianco di Prospero Orsi[1]:
Sabato: Federigo Zucchero [Zuccari], Scipion Gaetano [Pulzone]; Tommaso Laureti, Durante Alberti; Giovanni de Vecchi, Francescho da Castello [Frans van de Kasteele]; Cesare da Orvieto [Nebbia], Niccholo da Pesaro [Martinelli]; Giuseppe da Cesari di Arpino, Giovanni Alberti; Cristofano Roncalli, Andrea Aretino; Pasquale Catti [Cati], Paris Nogara [Nogari]; Domenico Trasagni [Trasegni], Francesco Garzia; Ricardo Sasso, Vincenzo Stella; Gesmondo Todesco [Sigismondo Laer], Antonio Tempesta; Horatio Gentilescho [Gentileschi], Giovan Baglione; Marchantonio del Forno, Geronimo Mazei [Massei]; Giovan Battista Ricci, Antonio Ossino [Orsini]; Giovanni de Mostinens fiam. [Demostchens], Carlo Mariellenge [Marimbergh]; Giovanpaulo Picciolo [Piccioli, Piccoli], Andrea da Forlì; Cesare Rossetti, Geronimo suo congniato [Moscitti?]; Gieronimo Buttaciolo [Battacchioli], Jacomo Bergi [Berni]. Domenica: Allesandro Rizzi [Ricci], Horatio Traguangni [Travagni]; Horatio Graldi [Gherardi, Gerardi], Giovanbattista Tavanti [Giovanni il Pesarino?]; Cesare Torello [Torelli], Giovanni Sanna; Michalangelo da Caravagio, Prospero Orsi; Paulo Rossetti, Paulo Guidotto [Guidotti Borghese]; Jacomo Borbon Jacques Landi], Lesandro Luchese [Alessandro Ricci]; Andrea Comodo [Commodi], Antiveduto Gramatica, Domenico Perugino [Giovan Domenico Angelini]; Pietro Perogino, Aniballe Perugino [Priori?]; Vespasiano de Borgo [Strada], Camillo Spallucci; Ranuccio [Semprevivo], Arcangelo da Cesci [Aquilini]; Gaspare Bianco [Bianchi], Gian Andrea a Pasquino [Basio]; Aniballe Coradino [Corradini], Giovan Pietro alla Polinara [Tranquilli]; Pietro Contini Gentile, Giovan Pavolo Gentile. Lunedì: Fidelle a Pasquino [Vannicelli], Agostino Bolognese [Felini]; Giovanni Romandino [Romandini], Eredi di Pedemonte [Ercole Pedemonte]; Belardino Alliolo [Bernardino Albioli], Rutilio Ferazolo [Ferrazzoli]; Geronimo Spanpano [Spampani], Geronimo Luchese [Macrí]; Rafael de Trastevere, Franceschino de Trastevere [Panzivolti]; Aschanio Bonagiunto [Bonagiunti], Allò de Civita [Aloisio Giovannoli]; Giovanni Andrea Stabilino [Stabellino], Pietro Spagniolo [Riera]; Geronimo da Pesaro [Giovanni Paolo Severi?], Giovambatista in Capo alle Case [Cavagna?]; Giovanni Torpino [Jean Turpin], Riccio delli Monti [Bianchini]; Erede di Jacomo Squilla (o Stella) [Vincenzo Stella], Andrea Comodi [Commodi], Agostino Canpella [Ciampelli]; Antonio delle Pomaranci [Circignani], Vitorio Traguangni [Travagni]; Cesare Vicentino [Schio], Carlo Framengo [Oldrad]. Ofitiali: Rettore Carobino Alberti, Pietro Veri, Francesco da Tivoli miniatore, Luca Volpino miniatore. Ufficiali assistenti a sei turni domenicali (da Caravaggio a Spallucci): Nicholò Cianchi, Marchantonio Bosco; Constantio Gentilini [Gentiloni], Salustio indoratore [Biagioli], Giovanni Antonio Forno; Luca Solinona, Marcello Bontempo, Jacomo [Rocchetti]; Domenico Gallo [Domenico di Linguadoca?], Belardino Aldigeno [Bernardino Wit?]; Agapito pittore [Visconti], Stefano pittore [Visconti]; Antonio Gallega, Christofano [Roncalli o Cartaro].
Il documento reca il titolo originale Lista delli fratelli che anno a stare asistenti alle S(antissi)me Ora(zioni) d(elle) Quar(an)ta Hore.
La lista venne preparata per l’adorazione eucaristica detta delle Quarantore, poiché prevedeva l’esposizione del Santissimo Sacramento per 40 ore consecutive, secondo una prassi liturgica che è spiegata in dettaglio nell’articolo di Egidio Picucci che riproduciamo in appendice. Nelle Quarantore a turno due persone sostano in adorazione dinanzi all’Eucarestia per un’ora, prima di essere sostituiti dai compagni del turno successivo.
Come spiega A. Pampalone, nell’ultimo studio sul documento in questione, «Halina Waga, che per prima lo ha reso noto, si è posta criticamente il dubbio sulla liceità di ritenere valida l'appartenenza del documento alla Confraternita dei Virtuosi, i cui membri in elenco sono una minoranza rispetto alla percentuale di artisti della Congregazione di San Luca. Tenuto conto delle registrazioni sul verso di alcuni pagamenti (tra il 1595 e il 1596) di case di proprietà di San Luca affittate ad artisti e ad altri, H. Waga ha ipotizzato un riutilizzo del foglio per appuntare i conti, deducendo una datazione della Lista intorno al settembre-ottobre 1595»[2].
Il documento, in effetti, figura fra le carte dell’Archivio della Confraternita dei Virtuosi del Pantheon. La Pampalone ha chiarito nel suo ultimo studio il “mistero” del documento. Infatti, il notaio Saravazzi, che era segretario dei Virtuosi dal 1588, serviva al contempo anche altri enti, fra i quali l’Università dei Pittori, indicata come Società di S. Luca in S. Martina (Ottaviano Saravazzi venne eletto segretario della Compagnia dei Virtuosi il 12 ottobre 1586; il suo ufficio notarile era situato alle Boteghe Scure vicino alla chiesa di Santo Salvatore de' polachi verso Santo Marco).
Evidentemente, allora, dovette lui stesso trasferire il documento dalla Società di S. Luca nell’Archivio del Pantheon, perché «forse vi era necessità di fare un consuntivo dei locatari morosi di entrambe le istituzioni»[3].
La Pampalone sposta così la datazione del documento, per quel che riguarda la lista delle Quarantore, all’ottobre del 1597, in occasione della festa di San Luca, patrono dei pittori, circostanza nella quale l’Università doveva organizzare appunto l’Adorazione di quaranta ore consecutive, in onore del Santo.
Le Quarantore poterono avvenire nel Pantheon stesso, che conserva una icona mariana attribuita dalla tradizione a San Luca, o anche presso la Chiesa dei SS. Luca e Martina dove aveva sede l’Università dei Pittori.
Il trasferimento del documento da parte del Saravazzi spiegherebbe come mai, nonostante la maggior parte dei pittori citati non abbiano mai fatto parte dei Virtuosi, il documento faccia parte in effetti dell’Archivio dei Virtuosi. Sarebbe così provato che lo stesso Caravaggio mai appartenne ai Virtuosi, ma solo all’Università dei pittori.
Ciò che certo è che il Merisi, insieme al suo compagno Prospero Orsi, sostò in adorazione eucaristica in quell’anno.
Appendice. Le Quarantore, di Egidio Picucci (da L'Osservatore Romano, 2-3 maggio 2005)
Tra le manifestazioni del culto eucaristico, restano ancora attuali le Quarantore, una volta così diffuse e così solenni da costituire un tempo di rinnovamento spirituale e sociale, di preghiera e di penitenza, di comunione tra il clero e il popolo, tra ricchi e poveri, tra superiori e sudditi.
La storia dice che, durante i giorni della solenne esposizione, le città cambiavano fisionomia: i negozi chiudevano; i lavori dei campi erano sospesi; le barriere sociali cadevano e la fede rifioriva nel cuore della gente che imparava a pregare e a meditare. L'adorazione coinvolgeva tutte le categorie di persone che, giorno e notte, si avvicendavano in preghiera, spesso in modo inventivo e spontaneo, per quaranta ore davanti a Gesù Eucaristia.
Per tre giorni si stabiliva quasi una tregua Dei perché «i violenti diventavano mansueti; i ladri restituivano il maltolto; i falsari diventavano onesti; i nemici si riconciliavano; la gioventù si innamorava di Dio e i sacerdoti non si allontanavano dall'altare e dai confessionali».
E questo perché le Quarantore pian piano acquistarono lo stile, l'importanza e l'efficacia di una vera missione popolare, affidata a predicatori che le ritenevano un ottimo mezzo per preparare la predicazione più impegnativa, quella quaresimale, immancabile in tutte le chiese. Un tempo di grazia, quindi, che rinnovò la vita cristiana.
Poi vennero le rivoluzioni politiche e sociali, con gli inevitabili cambiamenti: le città divennero più grandi e meno accoglienti; più industriali e meno religiose; più ricche materialmente e più povere di rapporti umani e di amicizia cristiana; più intellettuali, ma religiosamente meno preparate. La ragione, sublimata oltre misura, cominciò a dubitare della fede e a criticarla, tanto che si affievolì, facendo calare molte pratiche religiose, comprese le Quarantore, che incisero sempre meno nella vita individuale e sociale.
Resta comunque il fatto che, per oltre due secoli, questa devozione è stata al centro del culto eucaristico e un argine potente ed eccezionale per fronteggiare tempi di calamità, di divisioni e di lotte.
A chi si deve questo movimento così benefico? Gli storici dicono che le radici dell'adorazione affondano nella consuetudine cristiana del digiuno e dell'astinenza praticati negli ultimi giorni della Settimana Santa, con l'adorazione della Croce e poi del Crocifisso da parte del Vescovo, del clero e dei fedeli: pratiche a cui si aggiunsero pian piano veglie di preghiera che iniziavano la sera del Giovedì Santo e si concludevano a mezzogiorno del sabato, nel triste pensiero del Sepolcro in cui Gesù, secondo il computo fatto da S. Agostino, rimase Quarantore.
Il passaggio da questa forma liturgico-devozionale locale e particolare alla nota e classica forma dell'adorazione che lentamente assunse un carattere più popolare e universale con l'ininterrotta esposizione per Quarantore del Sacramento, avvenne a Milano nel decennio 1527-1537. Il cambiamento fu possibile innanzitutto per la religiosa disponibilità dei milanesi e poi per lo zelo di uomini che portarono contributi che si fusero e si arricchirono a vicenda, fino ad assumere la fisionomia che, salvo alcune particolarità, dura fino ad oggi.
Il protagonista delle Quarantore fu il sacerdote ravennate Antonio Bellotti che, nel 1527 (l'anno del disastroso Sacco di Roma), obbligò i devoti della scuola da lui fondata nella chiesa del Santo Sepolcro, a celebrare ogni anno le Quarantore non solo durante il triduo della Settimana Santa, ma anche a Pentecoste, all'Assunta e a Natale.
Iniziativa che si estese anche ad altre chiese milanesi dopo la sua morte (1528) e che il domenicano spagnolo Tommaso Nieto associò alle processioni che egli indisse nel 1529 per scongiurare la guerra e la peste che minacciavano la città.
A questo punto entra in scena Fra Buono da Cremona, un eremita amico dei barnabiti e soprattutto di S. Antonio Maria Zaccaria, loro fondatore. Nel 1534 egli chiese al duca di Milano Francesco II Sforza e al Vicario Generale Ghillino Ghillini, Vescovo di Comacchio, l'autorizzazione a poter esporre il Santissimo sopra l'altare per un'adorazione di quaranta ore ininterrotte. Pare, comunque, che la sua attività si confonda e confluisca nelle iniziative dell'amico S. Antonio Maria Zaccaria, dei suoi barnabiti e del cappuccino p. Giuseppe Piantanida da Ferno.
Una cronaca del tempo racconta che nel 1537 alcuni homeni - i primi barnabiti e il loro fondatore - proposero di allestire un altare nell'abside del Duomo per esporvi «el Corpus Domini de continuo», idea caldeggiata dal predicatore quaresimalista e vivamente raccomandata al popolo. La proposta fu accolta, e le Quarantore si fecero a turno in tutte le chiese della città, cominciando da quella di Porta Orientale e terminando con quella di Porta Vercellina.
È certo che gli homeni di cui parla il cronista sono i barnabiti; certo anche, grazie a un'accurata indagine del gesuita Angelo De Santi, che il predicatore fosse davvero p. Giuseppe, per cui sembra giusto affermare con p. De Santi che «le circostanze storiche sembrano affratellare il santo fondatore dei barnabiti, i suoi religiosi compagni, l'eremita fra Buono e p. Giuseppe da Ferno... Tutti ebbero una parte veramente precipua nell'introduzione del turno incessante delle Quarantore a Milano nel 1537: lo Zaccaria come primo ispiratore; i suoi religiosi e fra Buono come esecutori attivi della rotazione delle chiese per il pio esercizio; p. Giuseppe come instancabile propagatore».
Accertato questo, c'è da ammettere che le Quarantore sarebbero rimaste nei piccoli orizzonti cittadini se zelanti confratelli di p. Giuseppe non ne avessero fatto un evento prima italiano e poi europeo, divulgandole nelle loro predicazioni quaresimali, come riconosce lo stesso p. De Santi. «A p. Giuseppe da Ferno - egli scrisse - va data la gloria incontrastata di essere stato il primo a spargere per le città d'Italia la pia devozione, cominciando quell'anno stesso a Pavia; ed ai suoi compagni e discepoli e a tutto l'ordine dei Cappuccini deve riconoscersi il vanto d'esser stati, dopo di lui, i più ferventi, i più efficaci e i più fortunati promotori delle Quarantore».
A loro, nella seconda metà del sec. XVI, si unirono i Gesuiti, cioè un altro istituto che si dedicava alla predicazione: i Barnabiti, votati all'educazione della gioventù, non potevano impegnarsi come un Ordine che faceva della predicazione itinerante un aspetto qualificante dei suo stile di vita.
L'espansione cominciò non appena Paolo III approvò la «pia pratica» con un Breve del 28 agosto 1537 in cui, sorvolando sulla genesi della pratica, evidenzia l'elemento popolare e gli impellenti motivi di attualità.
Le prime regioni in cui si organizzarono le Quarantore furono l'Emilia (1546 a Bologna); le Marche (1542 a Recanati) e il Lazio (1548 a Roma). Tra i diffusori si distinsero p. Francesco da Soriano nel Cimino (VT), che migliorò l'organizzazione e il cerimoniale e le diffuse in mezza Italia, rappacificando la gente, divisa da lotte fratricide; P Fulvio Androsio; p. Giovanni Battista d'Este († 1644) e p. Mattia Bellintani da Salò († 1611), che le introdusse in Francia e in Boemia, mentre p. Giuseppe de Rocabertí da Barcellona († 1584) le introdusse in Spagna.
Altri religiosi le diffusero in Germania e nei Paesi Bassi, dove la gente le chiamava le «perdonanze dei Cappuccini»; poi in Svizzera, in modo che in poco più di un secolo si coprì tutta l'Europa, per passare l'oceano nella metà del sec. XIX, allorché il Vescovo Neuman le introdusse nella diocesi di Philadelphia. Il secondo Concilio di Baltimora le introdusse poi ufficialmente in tutti gli Stati Uniti, dove divennero «una preghiera universale notissima tra i cattolici».
Alla metà del 500 si inserirono nella predicazione delle Quarantore i Gesuiti con una novità che fece epoca. Nel 1556 a Macerata essi contrapposero al carnevale profano un «carnevale santificato» con le Quarantore che si svolsero in modo fastoso, attirando molta gente. Fu l'inizio di una nuova impostazione che a Roma affascinò anche il Papa, immancabile nell'oratorio del Caravita l'ultimo giorno del triduo.
Si trattava di Paolo III, colui che rilasciò il primo documento pontificio di cui si è parlato. Successive approvazioni vennero da Giulio III; Pio IV; San Pio V e Clemente VIII il quale, angustiato per le guerre di religione in Francia, con una sofferta Enciclica Graves et diuturnae del 25 dicembre 1592, esortò il popolo romano e il clero alla preghiera e volle che si celebrasse pubblicamente in tutte le chiese della città «l'orazione perpetua sine intermissione» delle Quarantore.
Altre approvazioni e direttive vennero da Paolo V, da Urbano VIII, da Benedetto XIII, da Innocenzo XI e da altri Pontefici: si tratta di un coro di approvazioni, di incoraggiamenti e di concessioni di indulgenze per una pratica in cui la meditazione si alternava con la preghiera vocale, alimentando una religiosità che rivitalizzò le confraternite, ne fece sorgere di nuove, impegnate nell'insegnamento del catechismo, nella diffusione del culto eucaristico, nel promuovere rappacificazioni generali che in genere avvenivano in chiesa, «tra il pianto e la commozione di tutti».
Si deve alle Quarantore la nascita di alcune manifestazioni di fede e di arte che segnarono un'epoca. Da loro nacquero, infatti, processioni significative; forme di penitenza praticate per secoli; un'arte religiosa - il barocco - che iniziò a Roma con Sisto V verso la fine del 500 e che divenne subito popolare perché interpretò ed espresse una nuova sensibilità: esaltare il Cristo Eucaristico presente come Re nella Chiesa. Esse favorirono anche una produzione letteraria religiosa che ebbe nei Gesuiti la massima espressione, perché essi volevano che i testi esprimessero una drammaticità e un movimento simili a quello che utilizzarono nell'architettura delle loro chiese.
Oggi le Quarantore vengono collegate alla Parola di Dio e alla Santa Messa, cioè stanno tornando a quell'esigenza di interiorità, di spiritualità, di adorazione e di semplicità che sta all'origine della stessa devozione. Il Vaticano II nell'Eucharisticum mysterium dettò alcune norme per questa devozione, soprattutto nel senso che l'esposizione deve apparire in rapporto con la Celebrazione Eucaristica che «racchiude in modo più perfetto quella comunione intera alla quale l'esposizione vuole condurre i fedeli».
Il compianto Giovanni Paolo II nella Lettera Dominicae Cenae del Giovedì Santo 1980, affermò: «L'animazione e l'approfondimento del culto eucaristico sono prova di quell'autentico rinnovamento che il Concilio si è posto come fine, e ne sono il punto centrale... La Chiesa e il mondo hanno grande bisogno del culto eucaristico. Gesù ci aspetta in questo Sacramento d'amore. Non risparmiamo il nostro tempo per andarlo a incontrare nell'adorazione, nella contemplazione piena di fede e pronta a riparare le grandi colpe e i delitti del mondo. Non cessi mai la nostra adorazione!».
Note al testo
[1] Pubblicato in A. Pampalone, Caravaggio “Virtuoso”: una leggenda?, in Caravaggio a Roma. Una vita dal vero, De Luca, Roma, 2011, pp. 47-48. I nomi fra parentesi quadre sono dovuti alla Pampalone che identifica, ove possibile, i diversi pittori.
[2] A. Pampalone, Caravaggio “Virtuoso”: una leggenda?, in Caravaggio a Roma. Una vita dal vero, De Luca, Roma, 2011, p. 48.
[3] A. Pampalone, Caravaggio “Virtuoso”: una leggenda?, in Caravaggio a Roma. Una vita dal vero, De Luca, Roma, 2011, p. 48.