I Barnabiti nel Risorgimento: la Chiesa ed il Risorgimento. Due articoli di Filippo Lovison
Riprendiamo sul nostro sito, per gentile concessione, due testi di p. Filippo Lovison, prof. di Storia della Chiesa presso la Pontificia Università Gregoriana apparsi sulla rivista Eco dei Barnabiti 1/2011 e 3/2010. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti sul Risorgimento e la storia d’Italia, vedi su questo stesso sito la sezione Storia e filosofia.
Il Centro culturale Gli scritti (18/5/2011)
1/ Il Risorgimento. Barnabiti a Convegno, di Filippo Lovison
Il Centro Studi Storici PP. Barnabiti, in collaborazione con l’Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa, tra il 14 e il 15 gennaio 2011 ha tenuto in Roma il suo 2° Colloquio di Studio nel 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, dedicato ai Barnabiti nel Risorgimento. In attesa degli Atti che saranno pubblicati sul prossimo numero della rivista «Barnabiti Studi», si anticipa la relazione che il p. Filippo Lovison ha tenuto in apertura dei lavori.
«La lotta non deve mai stancarci, perché è la legge della vita. Non bisogna né cercarla né fuggirla», così da Ginevra scriveva il P. Giovanni Semeria il 17 gennaio 1915. E delle lotte per l’Unità d’Italia e di quelle successive circa il compimento e l’appropriazione della sua eredità storica e ideale, si tratta in questo Convegno dedicato ai Barnabiti nel Risorgimento, che si apre all’inizio delle celebrazioni per il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia.
Specie a motivo della significativa storia legata a questo edificio che ci ospita, non poteva esserci luogo migliore per celebrarlo. La prima pietra della Chiesa di San Carlo ai Catinari – voluta per onorare la memoria di San Carlo Borromeo – fu infatti benedetta privatamente dal barnabita Costantino Pallamolla esattamente 400 anni fa, il 29 settembre 1611, in una Piazza che oggi porta il significativo nome di Benedetto Cairoli, patriota e uomo politico.
Se in questa Chiesa e Casa tutto parla dell’amor di Dio e dell’amor di Patria, gli squarci prodotti sulla sua magnifica cupola – opera dell’architetto Rosato Rosati – dal cannoneggiamento dei francesi appostati sul Gianicolo durante la Repubblica Romana del 1849, sono ancor oggi ben visibili sotto il cielo della Città Eterna, ad perpetuam rei memoriam di dure lotte e contrapposte speranze.
Ma se dall’alto di quella terza Cupola dell’Urbe abbassiamo verticalmente lo sguardo alla Roma sotterranea, ritroviamo ancora oggi lo svettante camino di una villa romana accanto alle ossa di barnabiti sparse alla rinfusa, per far fronte alle necessità dei garibaldini che là vi allestirono il loro improvvisato ospedale e sempre là vi seppellirono i “loro” morti. Venivano calati direttamente dal sovrastante pavimento della Chiesa dopo che i barnabiti vi avevano celebrato le esequie, grazie alla botola aperta davanti alla cappella di Santa Cecilia, detta anche “del Paradiso”.
Lo stesso Garibaldi, con le sue mani, volle calare la cassa contenente il cadavere del suo aiutante di campo, l’uruguaiano di Montevideo Andrea Aguyar, morto il 30 giugno 1849 (detto il Moro di Garibaldi). Per non dimenticare altre mani pietose che nascosero i resti mortali di altri garibaldini nella più sontuosa cappella della Chiesa, quella della famiglia dei Marchesi Costaguti; è il caso del Maggiore Alessandro Meloni di Imola (morto il 12 giugno 1849 fuori Porta San Pancrazio); i cui resti furono scoperti e traslati solo nel 1941.
Questo stesso Palazzo – tanto silente quanto serioso nei continui giochi delle sue penombre – giunse ad ospitare nei suoi ampi e interminabili corridoi centinaia e centinaia di garibaldini, che giorno e notte si ristoravano e… imprecavano; al di là degli improvvisati divisori in legno elevati in fretta dai barnabiti, si udivano distintamente i loro truci propositi: «Volemo sangue de’ preti e de’ frati», arrivando a gridare a squarciagola: «Viva la Repubblica e morte ai neri [cioè ai Gesuiti]».
Non solo quei religiosi divennero custodi dei loro pochi oggetti personali e i naturali depositari di ultimi sospiri, ma anche cappellani del Sacrario garibaldino romano, quando i resti degli ex combattenti furono tolti dai sotterranei di San Carlo ai Catinari per essere traslati nel nuovo Mausoleo Ossario del Gianicolo, su proposta della Legione Garibaldina, accolta dal Cardinale Vicario per la città di Roma, Francesco Marchetti Selvaggiani, nel settembre del 1942.
Ma quell’epopea non poteva dirsi terminata! In questa Casa vissero, pregarono e lavorarono per la Chiesa e per la Patria anche altri barnabiti, come Giovanni Semeria. Nell’anno 1900 veniva infatti data alle stampe una sua conferenza dal titolo Pro Patria. Particolarmente ricca di sentimento patriottico, in essa il celebre Barnabita spronava tutti i cattolici italiani a far proprio lo spirito del Risorgimento, praticamente rinnegato dai liberali, e a darsi da fare per la vera grandezza della Patria.
Tra i suoi tratti principali rimarcava due periodi storici: il 1848, «quando gli italiani si commossero al grido di “Viva Pio IX” e i parroci lombardi guidarono i loro parrocchiani a una guerra che sembrava santa»; e il 1859, «quando le armi furono invece prese senza il Papa anzi contro di lui. I parroci ne furono le prime vittime. La causa nazionale, procedeva contro di noi – continua Semeria – perché procedeva senza di noi, e altri ne avevano presa la direzione». Concludeva: «Dobbiamo rendere l’Italia civilmente e religiosamente più grande, civilmente più viva, religiosamente più efficace. Procurare la soluzione della “questione romana” in Italia è un facilitare questo compito mondiale italiano, quindi è una parte positiva del patriottismo, non una eccezione ad esso».
Tale posizione, che venne subito criticata dal suo amico di sempre, il Marchese Filippo Crispolti, soprattutto in merito all’interpretazione del ruolo di Pio IX, che per il Crispolti seppe invece evitare col suo dietrofront dell’allocuzione del 29 aprile del 1848 «un funesto, misero italianismo», per usare una espressione del Fogazzaro, ci introduce a uno dei temi dibattuti di questo Convegno, tanto discreto nel panorama delle iniziative annunciate in questo Anno celebrativo, quanto – si auspica – profondo e innovativo nelle sue prospettive storiografiche.
Grazie alle riconosciute competenze dei Relatori invitati, si attende infatti una modulazione pertinente ed esauriente della molteplice ricchezza di esperienze, interpretazioni e idealità, che hanno coinvolto nel periodo risorgimentale barnabiti diversi per tempra religiosa e civile: da un’inedita storia del Risorgimento italiano al P. Ugo Bassi, “martire dell’indipendenza italiana”, e al P. Alessandro Gavazzi. Certo Bassi e Gavazzi furono i più eloquenti cappellani garibaldini del Risorgimento italiano, la cui azione si deve però confrontare non solo con la rilettura storiografica contemporanea della figura di Garibaldi, quanto con il sentire cum Ecclesia di quell’anima più liberale dell’Ordine dei Barnabiti che essi rappresentavano, e che si contrapponeva a quella detta reazionaria capeggiata dal Segretario di Stato di Gregorio XVI, il cardinale Luigi Lambruschini, anche lui di casa qui a San Carlo, tanto da voler essere sepolto in questa stessa chiesa.
Non ultimo il cardinale Luigi Bilio, che qui in San Carlo ai Catinari dava lezioni di diritto canonico ai chierici del suo Ordine, rivelandosi uno dei protagonisti del Concilio Vaticano I. Con quest’ultimo cardinale barnabita volutamente si oltrepassa la data del 20 settembre 1870, che segna l’entrata delle truppe italiane a Porta Pia e la fine del potere temporale del Papato; tappa finale di un processo della storia d’Italia, come nazione indipendente, iniziata ufficialmente il 17 marzo 1861 con la proclamazione del Regno d’Italia da parte di Vittorio Emanuele II, ma anche tappa iniziale della ricomposizione della coscienza religiosa di un popolo sovrano.
L’Italia nacque infatti con la Chiesa, senza la Chiesa, contro la Chiesa? Al di là degli slogan desueti e fuorvianti si devono ricercare quelle “cerniere” storiche capaci non solo di “parlare di Italia” ma anche di “essere Italia”!, alla luce di quella comune civiltà cristiana capace di riconoscere anche i tratti della sua decadenza politica, sociale e spirituale; tra i chiaroscuri di un Manzoni che votò a favore di Roma capitale, incurante della scomunica, ed era cattolico, o di un Cavour, che se non si può definire un cattolico in senso stretto, volle morire con il conforto dei sacramenti.
Qualche spiraglio in tal senso si può legittimamente attendere dalla riconsiderazione del ruolo che proprio i Religiosi svolsero nel Risorgimento, rimandando, per un aggancio all’attualità, ai lavori e al Dossier preparatorio del X Forum del Progetto Culturale dello scorso dicembre 2010.
Qualunque siano le risposte, esse vanno opportunamente declinate per non sprofondare nella deprecabile faciloneria di vecchie polemiche intransigenti, che vedono nel Risorgimento solo un complotto massonico-protestante volto a distruggere la Chiesa. Non si può del resto dimenticare – senza nulla togliere agli sforzi dei nostri patrioti – che all’unificazione italiana si è arrivati anche grazie alle dinamiche di un preciso scacchiere di politica internazionale.
Non ci rimane che auspicare che questo Anniversario sia l’occasione propizia per una rilettura serena di quegli eventi, riflettendo proprio sullo stato dei rapporti tra Chiesa e Stato a 150 anni dall’Unità d’Italia, non dimenticando l’emigrazione italiana in Belgio, quando i nostri connazionali all’estero si riscoprirono italiani superando i nativi particolarismi regionali, linguistici, culturali, e accentuando un vero e proprio sentimento patrio unitario.
La considerazione del periodo anteguerra consentirà così di approdare a un discorso europeo di più largo respiro, riprendendo la suggestione di un “Risorgimento incompiuto”, o meglio di un “Prologo risorgimentale”, che trovò nelle ceneri della prima guerra mondiale il suo elemento rigenerativo. E proprio in questo delicatissimo periodo che va dalla nascita della cosiddetta “questione romana” alla Grande Guerra, si colloca l’azione patriottica del P. Semeria a favore degli emigrati italiani nel mondo.
In questa particolare luce si colloca la visita al Museo Centrale del Risorgimento. Nato alla fine del XIX secolo con il proposito di illustrare i momenti e i protagonisti degli eventi storici che avevano portato all’Unità d’Italia, il Museo raccoglie una serie di testimonianze delle guerre d’indipendenza alle quali vennero aggiunte successivamente le testimonianze riguardanti la prima guerra mondiale, considerata la conclusione del Risorgimento con il completamento dei confini naturali dell’Italia. Le testimonianze raccolte nel corso degli anni vanno dai ritratti alle armi utilizzate dagli eroi del Risorgimento; dalla penna di Mazzini alla spada di Garibaldi; dai disegni dei pittori-soldato ai busti-ritratto delle Medaglie d’Oro.
Museo che si trova nel complesso del Vittoriano inaugurato nel 1911; monumento voluto per celebrare il Re Vittorio Emanuele II e l’intera stagione risorgimentale, vero crocevia d’Italia, e che idealmente conclude questo nostro cammino di studio nel cuore di Roma capitale, centro della civiltà classica e cristiana.
2/ I barnabiti nel Risorgimento. Verso il Convegno del 2011, di Filippo Lovison
In occasione del Centocinquantesimo Anniversario dell’Unità d’Italia, da due anni il Centro Studi Storici sta preparando uno specifico Convegno per la Famiglia Zaccariana. Lo scopo è quello di porre le basi a una nuova stagione di studi storico-critici sul contributo dei Barnabiti alla costruzione della Comunità Nazionale, capace di valicare i ristretti ambiti di una mera affermazione e difesa della memoria interna dell’Ordine per aprirsi alle esigenze della modernità, alle sue griglie ermeneutiche e pluralistiche.
Nell’oscillante atteggiamento manifestatosi all’indomani della Breccia di Porta Pia rispetto al delicato rapporto “Clero-Patria”, tra chi vedeva paurosamente avvicinarsi la catastrofe vaticinata dall’Apocalisse e chi invece mai pronunciava parola alcuna che potesse offendere qualsiasi coscienza politica, i Barnabiti seppero contraddistinguersi nel campo dell’azione patriottica e civile.
Nel panorama risorgimentale italiano, infatti, tra le più celebrate figure storiche di Gioberti, Rosmini, Bonomelli…, emergono anche uomini di Chiesa come don Grazioli, don Giovanni Verità, don Francesco Raimondi, ecc., assieme a non pochi barnabiti – preti patrioti – noti e meno noti.
Amor di patria
In senso lato basti pensare alle stesse origini dell’Ordine dei Barnabiti, quando S. Antonio Maria Zaccaria veniva insignito del titolo di Padre della Patria (Cremona), ai successivi molteplici rapporti intervenuti tra i Barnabiti e la Casa di Savoia, al p. Branda nell’aspra controversia letteraria avuta col Parini sull’uso del dialetto meneghino: «Non vogliamo dire che sia stata una battaglia tra il regionalismo lombardo e il nazionalismo: ma certo che, se mai si potesse parlare per quel tempo di nazionalismo o almeno di un nazionalismo “avanti lettera”, questo era rappresentato non dal Tanzi e dagli altri del crocchio meneghino, nel quale si trovò impigliato anche il Parini, ma dal Branda e dai suoi sostenitori» (Boffito), o alle immancabili lapidi presenti nei nostri Istituti scolastici con il nome degli ex-alunni caduti per la Patria, per arrivare alla prima guerra mondiale, quando più della metà dei membri dell’Ordine vestiva in grigio-verde.
Ma le pagine più gloriose appartengono al Risorgimento, alla luce dell’appello di Giuseppe Mazzini: «Preti della mia Patria!...» e alle parole cariche di speranza di Pio IX (1846-1878): «Benedite gran Dio l’Italia». Da allora più che mai un fremito patriottico percorse gli animi di diversi barnabiti, dal sonetto dedicato al Pontefice da parte del p. Ugo Bassi (la cui ultima strofa recitava: «Fido degli Italiani! – O vero Pio / Ora hai formato un popolo d’onore: È tua l’Italia, e sei Vicario a Dio»), alle “Cinque giornate di Milano”, che videro il Rettore del Collegio Longone, p. Piantoni, definito dai suoi alunni «maestro di religione e di libertà», guidare i suoi allievi – confessati e comunicati – sulle barricate.
Poi l’epilogo della Repubblica Romana, quando proprio quel Bassi, Cappellano di Garibaldi, che nel suo canto popolare Agl’Italiani, rappresentato la sera del 15 febbraio 1849 al Teatro Comunale di Bologna, aveva levato alto il grido: «Guerra al vandalo, guerra ai tiranni – già del popolo è l’ora sonata…», veniva fucilato a Bologna dagli austriaci l’8 agosto del 1849.
Amor di verità
Sul p. Bassi non mancarono contrapposte analisi storiografiche, tra le quali quella di Bettino Craxi: Pagine di Storia e di Libertà, edito nel 1990; Arrigo Petacco: W Gesù W Maria W l’Italia. Ugo Bassi. Il cappellano di Garibaldi, edito nel 1990; Enrico Montazio: Ugo Bassi, edito nel 1862, che, al momento del riacquisto di una sua copia, il 20 giugno 1993, sul banco di un antiquario, accanto al timbro che attestava la sua precedente collocazione nella Biblioteca della Federazione di Savona del Partito Comunista Italiano, scrupolosamente il p. Giuseppe Cagni annotava a matita: «L’Autore è un gran mangiapreti, ma storicamente è bene informato». Se le ultime parole del p. Bassi prima di cadere sotto i colpi furono di perdono: «Chieggo perdono a tutti e perdono tutti; raccomando la religione e godo di poter spirare in pace sotto le ali di Maria Santissima di S. Luca», dall’altra parte appare la controversa figura del p. Alessandro Gavazzi, fondatore della cosiddetta “Chiesa Libera Cristiana in Italia”, il cui oratorio provocatoriamente si erge proprio di fronte a Castel Sant’Angelo in Roma...
Seguì poi a ruota un altro gigante dell’amor di patria, p. Giovanni Semeria – già Cappellano Militare del Generale Luigi Cadorna – che il 26 giugno del 1921, nel Real Collegio di Moncalieri, aveva con forza affermato «… che formando dei cristiani coscienti educhiamo dei buoni cittadini, capaci di servire domi bellique la nostra cara Italia…».
Basta questo per capire l’importanza del Convegno che si terrà a Roma all’inizio del prossimo anno, e per rendersi conto dell’interesse che continua a suscitare nell’ampio panorama delle diverse iniziative legate alle manifestazioni del Centocinquantesimo Anniversario dell’Unità d’Italia, consentendone, speriamo, una rilettura non solo dal punto di vista delle élites, ma anche dal lato della semplice società civile e dei suoi pastori, all’insegna dei vescovi “impediti” ad esercitare le proprie funzioni, degli arresti di parroci e delle chiese requisite.