L’Inno di Mameli. Fu forse un prete a suggerire le parole, di Roberto Liso
Mettiamo a disposizione on-line sul nostro sito la parte riguardante l’Inno di Mameli della presentazione di Roberto Liso in occasione della conferenza-concerto tenutasi a Roma il 28/4/2011. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la loro presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti sul Risorgimento, vedi su questo stesso sito la sezione Storia e filosofia.
Il Centro culturale Gli scritti (15/5/2011)
Presentiamo innanzitutto la musica di Michele Novaro, composta su versi di Goffredo Mameli: “Il canto degli Italiani” (inno nazionale d’Italia). Quanto al genovese e nobile Mameli, ucciso per la difesa della Repubblica Romana nel 1849 a soli 22 anni [...] sul Gianicolo (una fucilata accidentale d’un compagno, durante il trambusto della battaglia: grave ferita alla gamba sinistra, amputazione, morte per setticemia e dissanguamento; fu sepolto nella Chiesa delle Stimmate di S. Francesco vicino a piazza di Torre Argentina; un grande monumento è nel cimitero del Verano), vorrei limitarmi ad esprimermi con le parole del Memoriale di Giuseppe Garibaldi:
“Mameli Goffredo era mio Ajutante di campo, più ancora amico mio… Il mio cuore è ben indurito dalle vicende di una vita procellosa; ma la memoria di Mameli, la sua perdita, mi hanno straziato e mi straziano ancora, pensando alle glorie perdute dell’infelice mio Paese. – Italia mia! Non l’Italia delle turpitudini e del lucro, quella del tanto per cento, quella curvata sotto il bastone dell’Ibèro, del Gallo, del Croato! Non quella della pancia e della prostituzione, ma l’Italia ideale, sublime, quella concepita da Dante, Petrarca, Machiavelli, quella per cui morivano i Bandiera a Cosenza e migliaja di giovani, esaltandola moribondi… acclamandola mutilati, sotto le mura della veneranda… della madre delle metropoli, di Roma! Ebbene: quell’Italia del mio cuore aveva trovato il suo bardo… Mameli! Mameli! Al volto d’Angiolo, al cuor d’un Masina… all’intelligenza sublime, era il suo trovatore, il suo vate, il suo bardo, Mameli!... e non gli ermafroditi suoi istrioni, suoi eunuchi… avrien trovato l’inno marziale, patrio, di cui difetta: l’inno che la solleverà dalla polve, quando partorito da un altro Mameli. Perché i nati sotto il cielo d’Italia non abbisognano dell’estraneo per redimersi, ma d’unione e d’un inno che li colleghi, che parli all’anima dell’Italiano coll’eloquenza del fulmine, la potente parola dei riscatto!”.
Al di là del significato conferito alla locuzione “fratelli d’Italia” (il testo mameliano cominciava: “Evviva l’Italia!”, la sostituzione avvenne per mano di Novaro o di persone a lui vicine), non è da escludere che quei versi siano stati ispirati a Mameli dal sacerdote scolopio p. Atanasio Canata, patriota autentico d’ispirazione giobertiana e poeta e tragediografo nonché docente nel collegio di Carcare in provincia di Savona, il quale ebbe come allievi – oltre a Mameli – Giuseppe Cesare Abba (che lo ricordò commosso in “Da Quarto al Volturno”) e tanti altri patrioti risorgimentali (molti dei quali divennero poi ufficiali, intellettuali, parlamentari e ministri)[1].
Quanto a Michele Novaro, genovese anch’egli, tenore secondo e maestro dei cori nel Teatro Regio e nel Teatro “Carignano” di Torino nonché di convinte idee liberali e patriottiche, compose per la causa del Risorgimento italiano diversi inni e canti, tra cui “Fratelli d’Italia” sui noti versi mameliani: un’idea musicale folgorante e di presa immediata, estranea agli involgarimenti di tante esecuzioni corrive. Novaro, persona d’indole modesta, morì in povertà nel 1865 dopo aver fondato vent’anni prima nella sua Genova una Scuola corale popolare (ad accesso gratuito) cui dedicò tutto il suo impegno; per iniziativa dei suoi ex-allievi, gli venne eretto un monumento funebre nel cimitero monumentale genovese di Staglieno, accanto alla tomba di Giuseppe Mazzini.
Note al testo
[1] Taluni studiosi ipotizzano che p. Canata sia il vero autore dell’inno. Egli infatti si trovò a scrivere, in terza persona ma parlando di lui stesso: “A destar quell’alme imbelli / meditò robusto un canto; / ma venali menestrelli si rapìan dell’arpe il vanto: / sulla sorte dei fratelli / non profuse allor che pianto, / e aspettando nel suo cuore/ si rinchiuse il pio cantore”.