Come l'architetto Raffaele Stern trasformò la reggia italiana di Napoleone dopo la deportazione di Pio VII. Nella camera da sogno dell'imperatore, di Antonio Paolucci
Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 5/4/2011 un articolo scritto da Antonio Paolucci. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (5/4/2011)
Come deve essere la camera da letto di un imperatore, se l'imperatore si chiama Napoleone I Bonaparte? Questo pensiero dovette intrigare non poco, fra il 1811 e l'inizio del 1812, l'architetto Raffaele Stern incaricato di arredare il palazzo del Quirinale per trasformarlo nella reggia italiana di Napoleone.
A Roma, negli anni immediatamente precedenti, le cose erano andate come sappiamo. Il 2 febbraio 1808 il generale Miollis aveva occupato Roma dichiarandola ville imperiale et libre. L'anno dopo (maggio 1809) Bonaparte aboliva il potere temporale dei Papi. Pio VII Chiaramonti reagì fulminando la scomunica. La conseguenza fu l'occupazione manu militari del Quirinale e la deportazione del Papa avvenuta nella notte fra il 5 e il 6 luglio 1809.
Furono eventi grandi e drammatici che lasciarono la cristianità attonita e annichilita in Italia e in Europa, senza tuttavia che ciò minimamente scalfisse la fortuna di Napoleone. In quegli anni la sua stella brillava allo zenith, non c'erano ostacoli alla gloria dell'Imperatore. Per le sorti del mondo sembrava aprirsi un'era virtualmente infinita di ordine, di pace, di prosperità.
Questo pensavano i romani e gli italiani fra il 1811 e il 1812. Di questo era persuaso Raffaele Stern, fino a ieri architetto dei Palazzi Apostolici e ora felice di offrire a Napoleone, nel palazzo del Quirinale, una degna residenza.
Furono, per Stern, mesi di attività febbrile. Occorreva scegliere gli artisti migliori: pittori, scultori, marmisti, ebanisti, stuccatori e, soprattutto, bisognava fare presto perché nell'anno 1812 il sovrano sarebbe sceso in Italia. A Roma, come i Cesari antichi, avrebbe celebrato l'immenso trionfo: quindici anni di vittorie incessanti, dalla Vistola al Nilo, dal Danubio all'Ebro, le corone d'Europa deposte ai suoi piedi. Dopo di che avrebbe preso alloggio nella imperiale dimora preparata per lui.
Raffaele Stern era bravo, conosceva perfettamente l'ambiente artistico italiano ed europeo, era un formidabile organizzatore e poi poteva contare sull'amicizia e sui consigli di Antonio Canova. Commissionò a Bertel Thorvaldsen il fregio in stucco che ancora possiamo vedere, al Quirinale, nella Sala detta "delle Dame". Rappresenta il Trionfo di Alessandro Magno a Babilonia, chiara allusione al prossimo ingresso di Napoleone a Roma.
Contemporaneamente, il freschista Felice Giani veniva incaricato di dipingere la volta dello stesso ambiente con le raffigurazioni delle Virtù. Ancora, nella Sala detta "della Musica" e in quelle "della Vittoria" e "della Pace", il genio estroso di Giani dispiegò Nikai alate, panoplie d'armi, concitate battaglie, evocazioni dei Numi tutelari di Roma.
Quando si trattò di immaginare la camera da letto dell'Imperatore, Raffaele Stern ebbe un'idea geniale che lo colloca a pieno titolo nel clima sentimentale e fantastico dell'incipiente Romanticismo.
Volle che protagonista dell'ambiente fosse il Sonno. Non il sonno dei comuni mortali, ma i sogni le premonizioni e le visioni dei grandi uomini di cui parlano gli autori antichi. Quindi il sonno di Cicerone in Plutarco, dove appare Giove a indicare nel giovane Augusto il signore del mondo; il sonno di Achille che, nell'Iliade, evoca l'ombra di Patroclo; il sonno che annunciò a Cesare la vittoria alla vigilia della battaglia di Farsalo; la notte popolata di visioni degli opliti spartani alle Termopoli. Il tutto affidato a un fregio in gesso compartito in ventisette riquadri, lungo più di trenta metri.
A coprire il letto dell'Imperatore era destinato il celebre Sogno di Ossian di Jean-Auguste-Dominique Ingres, capolavoro assoluto dell'Ottocento romantico e visionario.
La tela di Ingres è oggi custodita nel Museo di Montauban che porta il nome del pittore. Il fregio in gesso invece esiste ancora, praticamente intatto, conservato nei depositi dei Musei Vaticani. L'autore è José Alvarez, un artista spagnolo residente a Roma, vicinissimo allo stile di Canova, di Thorvaldsen, di Francesco Massimiliano Labourour.
Ma perché la tela di Ingres è finita in Francia e i ventisette pannelli in gesso di José Alvarez stanno dei depositi Vaticani? Perché il 24 giugno del 1812 Napoleone Bonaparte invase la Russia segnando con quella sciagurata decisione l'inizio della sua rovina. Fra Borodino e l'incendio di Mosca, fra la Beresina e Waterloo, fra l'Elba e i "Cento giorni", l'Imperatore aveva ben altro da pensare che alla sua reggia romana al Quirinale.
Il 1812, che doveva essere l'annus mirabilis di Napoleone, si trasformò nell'annus horribilis della più umiliante catastrofica sconfitta. Con la Grande Armata di settecentomila uomini ridotta, al termine della ritirata, a ventimila unità; il più potente esercito del mondo distrutto dal gelo e dalla fame, massacrato dai partigiani e dai cosacchi.
Almeno apparentemente (e provvisoriamente) il mondo tornò nell'antico ordine. Nel 1814 Papa Chiaramonti riprendeva possesso del Quirinale, Raffaele Stern era di nuovo architetto dei Sacri Palazzi (a quell'epoca non si praticavano vendette politiche nei confronti di intellettuali e di artisti), i decori e le pitture che Felice Giani, Thorvaldsen e gli altri avevano realizzato per la reggia di Napoleone rimanevano al loro posto. Il Sogno di Ossian venne comprato da Ingres nel 1835 e destinato al suo museo monografico in Francia. Mentre i gessi di José Alvarez, non ancora messi in opera, presero la strada dei Depositi Vaticani, dove oggi si trovano.
(©L'Osservatore Romano 5 maggio 2011)