Due alberi, una parola. Cristo e la "fame" dei giovani, di Alessandro D'Avenia
- Tag usati: alessandro_d_avenia
- Segnala questo articolo:
Riprendiamo da Avvenire del 14/4/2011 un articolo scritto da Alessandro D'Avenia. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (14/4/2011)
Nel giardino dell’Eden c’erano due alberi: quello della conoscenza e quello della vita (di cui purtroppo si parla poco...). Nel progetto originario la vita e il suo rapporto con l’uomo (la conoscenza) erano armonici e circolari: non c’era vita senza conoscenza, non c’era conoscenza senza vita, un poeta l’ha chiamata infatti co-nascenza. L’uomo scelse la conoscenza per ergersi a giudice unico della vita. Così la conoscenza stessa si offuscò sostituita da ideologie disumane e la vita si nascose, spesso inchinandosi a surrogati idolatrici che la soffocano.
Kafka diceva che siamo due volte separati da Dio perché abbiamo mangiato dell’albero della conoscenza, ma non di quello della vita. La conoscenza nasce dallo spalancarsi della vita e dall’apertura progressiva della ragione di fronte all’ampiezza della vita. Chi non ama la vita non può conoscerla, chi non conosce la vita non può amarla. Il catechismo per i giovani sarà ottimo strumento di lavoro per aiutarli a mettere di più la testa al centro della loro fede, per evitare che essa sia il semplice portato di una tradizione o l’emozione instabile di adesione ad un gruppo.
Avevo 15 anni quando cominciai a riflettere in modo personale su quel bagaglio di convinzioni respirate da bambino: le risposte avute in passato non bastavano più. Iniziò così un faticoso processo di studio e vita che mi ha portato alla riappropriazione di ciò che avevo, ma non era ancora mio. Grazie alla presenza costante di persone che non si sottraevano alla sfida delle domande, abbracciavo la fede perché mi conveniva per la mia vita di tutti i giorni: non mi annoiavo mai, ero sempre innamorato e l’amore mi spingeva a voler conoscere di più ciò e chi amavo. Ancora oggi non mi annoio e non voglio tornare indietro: la vita felice si trova là dove il nostro essere non incappa nella morte e se vi incappa non ne resta schiacciato.
In quell’età molti ragazzi si dice perdano la fede. Non so se è vero. Non si perde ciò che non si è ancora trovato o - meglio - che non ci ha ancora trovato. Come può trovarli una fede spesso lontana dai loro quindici anni, fatta di concetti astratti e spesso noiosi (carità, virtù, preghiera) e non concreti e appassionanti (sesso, paura, corpo, amore, morte); una fede che non parte dai loro bisogni, come i seducenti e quotidiani 'non hanno più vino' o 'venite e vedrete'?
I ragazzi vogliono sapere se Cristo è un antidoto per la noia, la paura, la fragilità. Vogliono sapere se c’entra qualcosa con la sveglia la mattina. Vogliono sapere se è adrenalina più di uno sballo, se è estasi più di una pasticca, se è gioia più di una canna. Vogliono sapere se la salvezza, che vuol dire mettere una cosa nell’eternità, riguarda loro, adesso. Che se ne fanno loro di un uomo buono morto duemila anni fa se non c’entra con loro in questo preciso istante in cui sono tristi, soli, annoiati o esaltati, felici, innamorati?
Ha fame di conoscere Dio solo chi ha fame di vita. Diamo loro la vita a sorsate e porranno domande su Dio: amore e conoscenza, due alberi piantati nel cuore dell’uomo. Abbiamo noi il coraggio di rispondere alle loro domande e soprattutto di ascoltarle, come faceva Karol Wojtyla in canoa con i giovani universitari, vero humus della sua teologia del corpo? Il nuovo catechismo è strumento utile ed efficace, ma non basta. La verità deve tornare a sedurre la vita e la vita realizzare la verità. Ciò accade quando la verità si fa vita e viceversa, come scrive Giovanni nel suo Vangelo: «Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere».
I libri sono necessari. Cristo è indispensabile.