Episcopato e primato, chiesa locale e chiesa universale, da Karl Rahner e Joseph Ratzinger
Ripresentiamo sul nostro sito alcuni passaggi di un testo di K . Rahner, dal titolo Episcopato e primato, apparso nel volume delle Quaestiones disputatae, K. Rahner – J. Ratzinger, Episcopato e primato, Morcelliana, Brescia, 1966, con un brano dalla Premessa a nome dei due autori ed, infine, un ulteriore testo a firma del solo J. Ratzinger, tratto da “America”, numero del 19 novembre 2001. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (1/4/2011)
Il testo di K. Rahner – J. Ratzinger reca una Premessa alla traduzione italiana a firma congiunta dei due autori nella quale si afferma (pp. 9-10):
«[Nel Concilio vaticano II] anzitutto si è confermata la forte accentuazione della Chiesa locale che nel primo contributo di questo libro era stata presentata come la base capace di conferire un significato al ministero episcopale in quanto ministero proprio non computabile come semplice prolungamento o estensione del primato; giacché la Chiesa non è uno Stato centralizzato sul piano soprannaturale ma è costituita da comunità eucaristiche ciascuna delle quali realizza l'integra essenza della Chiesa e quindi può essere chiamata essa stessa Chiesa (Chiesa di Corinto, Efeso, Tessalonica, ecc.), vi è un ministero di «soprastante», che non si deve risolvere in una funzione amministrativa, così come la comunità eucaristica locale non può essere trasformata in una circoscrizione amministrativa della Chiesa totale.
Inoltre si è confermata l’idea, sviluppata nel terzo contributo, del carattere collegiale del ministero episcopale, che rappresenta in certo modo la controparte complementare all’aspetto della Chiesa locale, e il legame intrinseco d’essa con il ministero del primato: così come il Vescovo è ordinato anzitutto alla Chiesa in quanto grandezza che si realizza nei vari luoghi, altrettanto spetta però al suo ministero di non chiudersi, con la sua «Chiesa», di contro alle altre Chiese locali circostanti, che contribuiscono insieme con la sua ad edificare la Chiesa una di Dio. Così gli è essenziale il rapporto coi Vescovi suoi pari, il «vincolo collegiale» con essi, che al tempo stesso include la responsabilità comune per la Chiesa intera, poiché in realtà la Chiesa locale non sussiste solo per sé, ma può realizzarsi solo nella colleganza totale della Chiesa intera».
K. Rahner, nel suo specifico contributo, spiega poi più dettagliatamente:
«Il Papa non solo non può fisicamente abolire l'episcopato, in quanto in tal modo egli si priverebbe del mezzo di esercitare il suo proprio governo in una Chiesa universale; ma egli si trova di fronte ad un episcopato che, in quanto tale, non è stato fondato da lui come sua burocrazia che egli, almeno di diritto se non fisicamente, potrebbe anche abolire. Infatti l'episcopato è anch'esso di diritto divino, e il primato papale forma la costituzionalità giuridica della Chiesa solo assieme a questo episcopato, che parimenti scaturisce direttamente dalla volontà fondatrice di Cristo» (pp. 22-23) .
«La soluzione va quindi ricercata (più cautamente: una soluzione parziale della questione), come già abbiamo incominciato a dire, nel rapporto che vige in linea di principio tra la Chiesa totale e la Chiesa particolare. È già da tempo noto che qui ci troviamo di fronte ad un rapporto di natura unica, irrepetibile, che non ritroviamo tra altre società e le loro parti, almeno non nella stessa intensità ed importanza.
Il miglior modo per un laico di farsi un'idea in questa questione è di tener presente che già nel Nuovo Testamento si parla sia della Chiesa totale che della singola comunità come della «Chiesa»: la Chiesa che Cristo ha salvato con il suo sangue è la Chiesa totale; ma anche la singola comunità esistente in un determinato territorio è «la Chiesa» esistente ad Efeso, ecc.
Non si può spiegare questo singolare uso linguistico affermando che con il termine che designa il tutto verrebbe intesa anche la parte (pars pro toto), e che ciò non sarebbe particolarmente strano. Invece questo è altrettanto strano quanto lo sarebbe se a uno saltasse in mente di denominare la circoscrizione territoriale di Friburgo con il termine di Germania.
Questo uso linguistico implica una persuasione ed una concezione che non sono affatto evidenti e indicano ben più del fatto evidente che una comunità è un membro ed una circoscrizione amministrativa della Chiesa universale» (pp. 27-28).
«La chiesa come totalità, quando diviene evento nel senso più pieno, è addirittura per necessità chiesa locale, la chiesa universale diventa percepibile nella chiesa particolare» (p. 29).
«Tuttavia, nessuno può negare che là dove la Chiesa agisce, cioè insegna, professa la sua fede, prega, offre il sacrificio di Cristo ecc., raggiunge un più alto grado di attuazione che quando si limita al puro continuare a sussistere. Essa è una società «visibile»; come realmente visibile è quindi orientata ad attuarsi senza sosta in modo storicamente percepibile, nello spazio e nel tempo, attraverso l'azione corporale degli uomini. Essa deve tradursi continuamente in «evento».
Non nel senso che questi eventi in quanto punti singoli, sparsi esistenti nello spazio e nel tempo fondino nuovamente la semplice esistenza in quanto tale della chiesa. Un simile attualismo, che in fondo negherebbe la struttura sociale della chiesa, la tradizione, la successione apostolica e l'autentico diritto ecclesiastico iuris divini, è estraneo nell'ecclesiologia cattolica. La permanenza stabile e la continuità storica di una chiesa che esiste permanentemente non contraddice a quanto è detto sopra, che cioè questa chiesa deve ininterrottamente diventare avvenimento in determinati punti spazio-temporali e deve tradursi, partendo da una potenzialità sicura, in una attualità determinata e che l'intera natura stabile della chiesa è protesa verso questo avvenimento. Se noi distinguiamo in tal modo tra chiesa come pura istituzione con una struttura sociale stabile da un lato, e chiesa come avvenimento dall'altro, allora ne consegue: essa diventa pienamente avvenimento attuale, percepibile nello spazio e nel tempo, quando diventa avvenimento in quanto comunità dei santi, in quanto società. Naturalmente essa esiste anche quando un singolo agisce nella chiesa e sulla chiesa come detentore di un potere di Cristo e di un ministero della chiesa. Ma non si potrà tuttavia negare che là dove essa si manifesta proprio in quanto è una comunità, cioè una pluralità di uomini legati mediante un avvenimento visibile e mediante la grazia, la chiesa in quanto tale diventa evento in grado maggiore di quando il singolo a cui è affidato un ufficio attualizza la chiesa soltanto in una azione in cui gli altri membri della chiesa non sono implicati come attivamente partecipi.
Ci chiediamo ora: dove e quando la chiesa, nel senso ora spiegato, diventa avvenimento nella forma più intensa ed attuale? La chiesa nella sua essenza più profonda è la continuata presenza storica della incarnata Parola di Dio. Essa è la percepibilità storica della volontà salvifica di Dio realizzantesi in Cristo. Perciò anche la chiesa come avvenimento nel massimo grado di percepibilità e di intensità esiste là dove Cristo stesso, in forza della proclamazione autoritativa della parola di consacrazione, è presente, distributore di salvezza, nella sua stessa comunità in quanto il crocifisso e il risorto; dove la salvezza della redenzione si attua efficacemente per il fatto che si rende presente nella percepibilità dei Sacramenti; dove il «patto nuovo ed eterno» istituito da Cristo sulla croce viene reso presente con il massimo grado di percepibilità e di attualità nella anamnesi santa della sua prima istituzione. La celebrazione dell'Eucaristia è dunque l'avvenimento più intenso della chiesa. Poiché in questa celebrazione cultuale non è solo presente Cristo come salvatore del suo corpo, come salvezza e signore della chiesa, ma nell'Eucaristia diventa manifesto nel modo più percepibile e nel banchetto eucaristico si realizza nel modo più intimo l'unità dei credenti con Cristo e tra di loro. Nella stessa misura in cui la celebrazione eucaristica è fin d'ora l'anticipazione sacramentale del banchetto nuziale eterno e celeste, risplende pure fin d'ora in questa celebrazione cultuale la forma definitiva ed eterna della comunità di salvezza, cosi come in essa è anche presente sacramentalmente l'origine della chiesa, il sacrificio di Cristo sulla croce.
Ora però è una caratteristica essenziale propria della celebrazione eucaristica come atto sacramentale di culto l'avere un luogo come del resto lo è anche degli altri sacramenti, i quali hanno tutti essenzialmente una dimensione corporea. Essa può sempre venir celebrata solo da una comunità radunata in un unico e identico luogo. Ma questo implica quanto segue: la chiesa, senza compromettere la sua struttura sociale, la sua durata, la sua destinazione e la sua relazione con tutti gli uomini, tende, in forza della sua stessa essenza intima, a una concretizzazione ed attualizzazione locale. Perciò l'Eucaristia, come evento locale, non solo avviene nella chiesa; la chiesa stessa diviene evento nel senso più intenso proprio nella celebrazione locale dell'Eucaristia. Questa è in fondo la ragione per cui nella Scrittura la stessa singola comunità si può chiamare chiesa, può quindi essere designata con lo stesso nome posseduto pure dall'unità di tutti i credenti sparsi sulla terra. Non solo è vero che c'è l'Eucaristia, perché c'è la chiesa, ma è anche vero, se rettamente inteso, che c'è «chiesa» perché c'è Eucaristia. La chiesa c'è e si conserva anche come totalità, solo perché si attua e si compie con costante reiterazione nell'unico e onnicomprensivo evento di quella, cioè nell'Eucaristia. Ma poiché questo evento è essenzialmente di natura locale, in un punto dello spazio e del tempo, in una comunità locale, perciò la chiesa locale non è solo un'agenzia della chiesa universale una, fondata in certo qual modo in un secondo tempo, e che potrebbe anche benissimo essere omessa, ma è l'evento di questa stessa chiesa universale.
Se un grande paese e popolo venisse ridotto da catastrofi storiche alle dimensioni di un villaggio, non si potrebbe più dire con ragione che esso esista ancora, che la sua essenza sussista ancora come entità storica. Invece se la chiesa venisse (per impossibile) ridotta ad una unica diocesi, il suo legittimo pastore sarebbe anche papa di Roma e, (cosa che costituisce la differenza decisiva) continuerebbe a compiersi in essa tutto ciò che può compiersi nella chiesa universale e che costituisce l'attualizzazione della sua natura: la proclamazione del Regno di Dio che si è manifestato nella carne crocifissa e risorta di suo Figlio come sentenza di grazia sui peccati del mondo, proclamazione che si compie mediante la celebrazione legittima della comunità santa, la quale nell'anamnesi della morte del Signore si sottomette a questo divino regno di salvezza.
Una chiesa locale sorge quindi non per una frammentazione minuta del cosmo dell'intera Chiesa, ma per concentrazione della Chiesa, nel suo proprio tradursi in avvenimento. Perciò anche la primitiva chiesa locale era una chiesa episcopale, e a questo proposito si deve notare che i presbiteri (i preti e i parroci) in origine non erano quelli di cui si aveva bisogno per reggere le molte comunità locali, ma costituivano il senato, sin dall'inizio pluralistico, del vescovo locale, di modo che la comunità locale primitiva (retta dal vescovo) conteneva solo elementi di fondazione divina: la santa comunità cultuale di Cristo con a capo un apostolo o un suo successore» (pp. 29-33).
Il fatto che la Chiesa universale non nasca a sua volta come somma delle Chiese locali, bensì le preceda è esposto con precisione in questo breve testo che si può leggere fra i diversi che egli ha dedicato alla questione (dalla rivista dei gesuiti americani “America”, numero del 19 novembre 2001):
«Nella lettera ai vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della Chiesa come comunione (Congregazione per la Dottrina della fede, 28 giugno 1992) troviamo il principio che la Chiesa universale (ecclesia universalis) è, nel suo mistero essenziale, una realtà che precede, ontologicamente e temporalmente, le singole Chiese locali. [...]
Dio trova e prepara per sé la Sposa del Figlio, l’unica Sposa che è l’unica Chiesa. Sulla scorta dell’espressione del Genesi che un uomo e sua moglie diventano “due in una sola carne” (Gen 1,24) l’immagine della sposa si è fusa con l’idea della Chiesa come corpo di Cristo, che per parte sua è basato sulla pietà eucaristica. L’unico corpo di Cristo è reso disponibile; Cristo e la Chiesa saranno “due in una sola carne”, un corpo; e così Dio sarà tutto in tutte le cose…
C’è solo una sposa, solo un corpo di Cristo, non molte spose, né molto corpi. La sposa, certamente, come hanno detto i padri della Chiesa, richiamandosi al salmo 44, è vestita “di abiti multicolori”; il corpo ha molti organi. Ma il privilegio sovraordinato è in ultima analisi l’unità. […]
Ho mostrato come il Concilio risponda alla domanda su dove si possa vedere la Chiesa universale come tale, parlando dei sacramenti: C’è prima di tutto il battesimo: È un evento trinitario, cioè prettamente teologico, e significa molto di più che la socializzazione nella Chiesa locale. […] Il battesimo non deriva dalla comunità locale; piuttosto col battesimo ci viene aperta la porta dell’unica Chiesa; è la presenza della Chiesa una, ed esso può venire solo da essa, dalla Gerusalemme celeste, nostra nuova madre. Nel battesimo la Chiesa universale precede continuamente e crea la Chiesa locale. Su questa base la lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede può affermare che non ci sono stranieri nella Chiesa. Chiunque al suo interno è a casa sua dappertutto. […] Chiunque battezzato nella Chiesa a Berlino è sempre a casa sua a Roma o a New York o a Kinshasa o a Bangalore o dovunque, come se fosse stato battezzato lì. Lui o lei non deve compilare un certificato con il cambio di residenza, è una e la stessa Chiesa. Il battesimo nasce da essa e ci consegna (dà alla luce) ad essa. […] E allora non si può dire che la “visione universalistica” della Chiesa è “ecumenicamente escludente”».