La donna samaritana (Gv 4). L’inquietudine dell’uomo: cosa desideriamo veramente che sempre ci sfugge?, di Andrea Lonardo
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Mettiamo a disposizione una scheda preparata in vista di un itinerario per i catecumeni adulti, in preparazione al battesimo, da Andrea Lonardo. L'immagine è stata ripresa dal sito di Bruno Brunelli che l'ha scattata. Restiamo a disposizione per l'immediata rimozione se la presenza della foto sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.
Il Centro culturale Gli scritti (26/3/2011)
Nei vangeli troviamo il bellissimo racconto dell’incontro di Gesù con una donna samaritana (nel capitolo 4 del vangelo di Giovanni) che può aiutarti molto a riflettere sulla vita ed il suo desiderio di bene.
Nel dialogo fra i due emerge la nostra condizione di uomini che non sono mai soddisfatti di ciò che hanno raggiunto.
L’acqua che ci disseta non lo fa mai completamente, perché dopo poco dobbiamo tornare a bere. E Gesù domanda alla donna se essa abbia un’“acqua viva che zampilla ininterrottamente”.
Poi Gesù spinge la donna a parlare della sua famiglia ed essa gli rivela che ha avuto sei amori.
Anche l’amore non ci basta mai. Sembra dissetarci all’inizio, nel momento dei primi incontri, ma poi è come se mancasse sempre qualcosa.
Gesù, ancora, risponde alla donna quando questa vuole parlare di questioni religiose, se sia meglio adorare Dio in un luogo piuttosto che un altro, per farle comprendere che non è nemmeno nelle discussioni sui grandi temi religiosi o filosofici che l’animo umano trova pace.
Questa donna ci rassomiglia molto.
Anche noi, come lei, amiamo il benessere, gustiamo dell’acqua e dei cibi, godiamo dell’amore, discutiamo di tutto, ma, lo stesso, restiamo in attesa di qualcosa che non è facile da definire immediatamente.
Lo tocchiamo con mano ogni sera, quando stiamo per addormentarci. Quando siamo veramente sereni alla sera? In quali notti ci corichiamo carichi di pace? Perché spesso alla sera siamo agitati, nervosi? Cosa manca alla nostra vita per addormentarci sereni?
Sarebbe estremamente superficiale rispondere che la nostra insoddisfazione dipende da nostre nevrosi o dalla nostra incontentabilità. No! Queste domande nascono in noi perché siamo fatti per qualcosa di “più grande”, qualcosa che sentiamo deve esistere anche se non ci è subito chiaro cosa sia.
Uno dei grandi testimoni della fede cristiana, Sant'Agostino di Ippona, vissuto a cavallo fra il IV ed il V secolo d. C., a partire dalla propria esperienza, ha compreso che proprio in questo desiderio consiste la grandezza dell'uomo. «Ci sono dei momenti in cui percepiamo all'improvviso: sì, sarebbe propriamente questo – la «vita» vera – così essa dovrebbe essere. A confronto, ciò che nella quotidianità chiamiamo «vita», in verità non lo è. Agostino, nella sua ampia lettera sulla preghiera indirizzata a Proba, una vedova romana benestante e madre di tre consoli, scrisse una volta: In fondo vogliamo una sola cosa – «la vita beata», la vita che è semplicemente vita, semplicemente «felicità». Non c'è, in fin dei conti, altro che chiediamo nella preghiera. Verso nient'altro ci siamo incamminati – di questo solo si tratta. Ma poi Agostino dice anche: guardando meglio, non sappiamo affatto che cosa in fondo desideriamo, che cosa vorremmo propriamente. Non conosciamo per nulla questa realtà; anche in quei momenti in cui pensiamo di toccarla non la raggiungiamo veramente. «Non sappiamo che cosa sia conveniente domandare», egli confessa con una parola di san Paolo (Rm 8,26). Ciò che sappiamo è solo che non è questo. Tuttavia, nel non sapere sappiamo che questa realtà deve esistere. «C'è dunque in noi una, per così dire, dotta ignoranza» (docta ignorantia), egli scrive. Non sappiamo che cosa vorremmo veramente; non conosciamo questa «vera vita»; e tuttavia sappiamo, che deve esistere un qualcosa che noi non conosciamo e verso il quale ci sentiamo spinti (cfr Ep. 130 Ad Probam 14, 25-15, 28: CSEL 44, 68-73)» (dall'enciclica Spe salvi di Benedetto XVI).
Siamo tutti impegnati in un miglioramento delle nostre condizioni economiche, ma, d’altro canto, sappiamo bene che non saranno mai queste a dissetarci nel profondo. Perché tutte le cose hanno senso solo in vista dell’amore, delle relazioni. Come ha scritto proprio sant’Agostino: «Niente ci è caro senza la compagnia di un amico». Ogni bene è, in fondo, inutile, se non ne godiamo insieme ad altri che amiamo. E tutte le cose che possediamo non ci sono utili per godere, se viviamo in un contesto di inimicizia o se siamo soli. Perché tutte le cose sono belle in vista dell'amore, hanno senso se vengono vissute per crescere nella relazione con gli altri.
Ma proprio quando vogliamo bene agli altri, ecco che ci domandiamo qual è il loro vero bene, come potranno essi essere felici. Anch'essi cercano qualcosa che sia più grande di noi, sentono che non gli bastiamo. Questo non vuol dire che non ci amano, ma piuttosto che l'amore umano punta sempre più in alto. Uno scrittore del secolo scorso ha espresso questa verità con una frase estremamente sintetica ed espressiva: «Amare non è guardarsi negli occhi l'un l'altro, ma guardare insieme nella stessa direzione» (Antoine de Saint-Exupéry, Terra degli uomini).
Dove vuole giungere il nostro amore? Cosa è il bene verso cui io e le persone che amo camminiamo insieme?
L'insoddisfazione ed il desiderio di qualcosa di più grande nasce in noi anche dinanzi all'esperienza della noia. Spesso percepiamo che manca qualcosa alla nostra vita. Ma quando scopriamo di essere annoiati, la nostra cultura tende ad illuderci che ciò che manca alla nostra gioia è la novità continua che può esserci offerta solo da nuovi passatempi, da nuovi viaggi, dalla vita virtuale che ci offre la rete: saremo sereni e felici, quando questa o quella opportunità che sogniamo si realizzerà. Proprio l’esperienza stessa ci mostra che non è così. Dopo aver navigato ore ed ore al computer, ci sentiamo poi ancora più svuotati e privi di energie. Dopo lunghe navigazioni, siamo poi costretti a tornare a ciò che è quotidiano senza essere diventati più felici e senza aver imparato ad amare di più la nostra vita. La noia è stata non sconfitta, ma solo dimenticata per qualche istante.
Perché questo? Perché il cuore umano ha un’attesa di infinito. «Il nostro cuore è inquieto e non trova pace, finché non riposa in Dio»: così Sant'Agostino descrive se stesso, ma anche tutti noi, al termine della sua ricerca. E questa perenne inquietudine del cuore non è insopportabile, proprio perché ci ricorda che siamo fatti per Dio. Essa manifesta che non serve alla felicità la conquista del mondo intero, non basta alla “vita vera” l’attenzione delle persone da cui desideriamo essere amati. In fondo, ognuno di noi si potrebbe addormentare sereno e in pace, avendo molte meno cose di quelle che attualmente possiede, avendo molte meno attenzioni d’amore di quelle che ha, se i gesti della sua giornata avessero pienamente un senso. È la mancanza di un senso che ci toglie la pace e la felicità. Come trovare questo senso? Vogliamo approfondire questa domanda proprio attraverso l'itinerario che stiamo percorrendo.