Nessuno ti spiega perché vale la pena fare il liceo classico (o un cammino di catechesi). Nota di A. L. su di un passo di Alessandro D’Avenia
Il Centro culturale Gli scritti (26/2/2011)
In un passo del suo primo romanzo Bianca come il latte, rossa come il sangue (Mondadori, Milano, 2010), Alessandro D’Avenia descrive l’abbandono educativo dei nostri ragazzi: nessuno “spiega” perché valga la pena andare a scuola – ma anche, perché nessuno “spiega” perché valga la pena diventare cristiani!
[pp. 22-23]
Non ho paura di nulla io. Faccio la prima liceo. Classico. Così hanno voluto i miei. Io non avevo idea. La mamma ha fatto il classico. Papà ha fatto il classico. La nonna è il classico fatto persona. Solo il nostro cane non lo ha fatto.
Ti apre la mente, ti dà orizzonti, ti struttura il pensiero, ti rende elastico.
E ti rompe le palle dalla mattina alla sera.
È proprio così. Non c’è una ragione per fare una scuola del genere. Almeno, i prof non me l’hanno mai spiegata. Primo giorno della quarta ginnasio: presentazioni, introduzione all’edificio della scuola e conoscenza dei prof. Una specie di gita allo zoo: i prof, una specie protetta che speri si estingua definitivamente...
Poi qualche test di ingresso per verificare il livello di partenza di ciascuno. E dopo questa calorosa accoglienza... l’inferno: ridotti in ombre e polvere. Compiti, spiegazioni, interrogazioni come non ne avevo mai visti. Alle medie studiavo mezz’ora se andava bene. Poi calcio in qualunque posto assomigliasse a un campo, dal corridoio dentro casa al parcheggio sotto casa. Alla peggio, calcio alla Play.
Al ginnasio era un’altra cosa. Se volevi essere promosso dovevi studiare. Io non studiavo molto lo stesso, perché le cose le fai se ci credi. E mai un professore è riuscito a farmi credere che ne valeva la pena. E se non ci riesce uno che ci dedica la vita perché lo dovrei fare io?