Il regno di Dio: che cos’è? La storia delle sue interpretazioni è la storia della teologia del XX secolo!, di A. L.
Per altri testi biblici si veda la sezione Sacra Scrittura.
Il Centro culturale Gli scritti (26/2/2011)
Ripercorrere la storia dell’interpretazione esegetica e teologica dell’annuncio del “regno di Dio” è come ripercorre la storia della teologia recente.
Nella teologia del XIX secolo e degli inizi del XX secolo l’identificazione della venuta di Gesù e della venuta del regno era messa in secondo piano dall’identificazione del regno con la chiesa: la chiesa era il regno di Dio in terra.
Nella teologia protestante liberale dagli inizi del XX secolo (soprattutto in A. von Harnack) si affermava invece che Gesù, annunciando il regno, purificava il giudaismo dal ritualismo e dal legalismo e si faceva portatore di una religione di stampo etico, basata sulla responsabilità individuale.
Alla teologia liberale reagì, sempre in ambito protestante la teologia “dialettica” (si pensi a K. Barth) che vedeva nel regno di Dio l’annuncio della “pura grazia”, il vangelo dell’“al di là dell’etica”. Si era agli antipodi della precedente interpretazione liberale.
Con A .Schweitzer iniziò, invece, la lettura escatologica del messaggio del “regno”: l’annuncio del regno diveniva così profezia della prossima conclusione della storia che Dio avrebbe presto operato.
Seguì un’interpretazione teologica che, sulla scia di R. Bultmann, vedeva il regno come l’offerta fatta all’uomo di vivere la fede come “incessante disponibilità” dell’uomo alla Parola o, nell’ambito della “teologia della speranza” di J. Moltmann (1964), cercava di valorizzare nell’annunzio del “regno” la fede come l’atteggiamento attraverso il quale l’uomo si inseriva in questo processo che guardava all’escatologia.
Dopo il concilio fu proposta un’interpretazione secolarizzata del regno che ne individuava il nucleo nell’opera a favore della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato, spostando l’accento dal Cristo a Dio (dal cristocentrismo al teocentrismo).
Si giunse poi all’affermazione teologica di un regnocentrismo, per il quale l’annunzio del regno rendeva non più necessario l’annuncio di Cristo: si trattava piuttosto di valorizzare il convergere di ogni religione verso questo regno ‘secolarizzato’.
Riflettendo su questa complessa storia sembra, invece, che a livello esegetico e poi teologico sia determinante recuperare il fatto che nell’annunzio di Gesù il “regno” ha sempre a che fare con la sua stessa persona. Il regno viene con la venuta di Cristo nel mondo.
In questo senso, come ha sottolineato J. Ratzinger, la famosa espressione di A. Loisy: «Gesù annunciò il regno di Dio ed è venuta la Chiesa» - Loisy voleva irridere all’inconsistenza del processo con il quale la chiesa, a suo dire, si sarebbe sostituita al regno - «va così modificata: È stato promesso il regno. ed è venuto Gesù. Solo in questo modo si comprende rettamente il paradosso di promessa e compimento» (da Joseph Ratzinger, Origine e natura della Chiesa, in La Chiesa. Una comunità sempre in cammino, Paoline, Cinisello Balsamo, 1991, pp.9-31)
Per tutto questo si veda la sintesi di C. M. Martini che dice:
«In ogni Eucaristia noi citiamo il Regno, per esempio recitando il Padre nostro: Padre nostro, venga il tuo Regno! E al termine della preghiera eucaristica proclamiamo: “Tuo è il Regno, tua la potenza e la gloria nei secoli!”. E questo Regno è il tema fondamentale della predicazione di Gesù fin dall’inizio. Da quando, cioè, Gesù, dopo che Giovanni fu arrestato, fu trasferito da Nazaret a Cafarnao. Dicono i vangeli che Gesù cominciò allora a predicare e a dire: “Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino!” (Mt 4,17). Questa è il tema fondamentale della predicazione di Gesù. In Mt 4,23 troviamo questa frase sintetica: “Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando la buona novella del Regno e curando ogni sorta di malattia e di infermità nel popolo”. Notiamo anche la differenza tra i verbi: insegnando (didasckein); predicando, proclamando il Regno (kerussein) e curando i malati. Le tre cose fanno come una unità.
Gesù, dunque, parla molto spesso del Regno di Dio, soprattutto nei sinottici; l’espressione non ricorre quasi mai in Giovanni; mentre nei sinottici è l’espressione corrente. Tuttavia sappiamo anche che non è facile definire il Regno, perché Gesù non conchiude mai in una definizione teorica che cosa è il Regno. Si contenta di alludervi con paragoni e con parabole. Il Regno è come un seme, è simile ad una rete, è simile ad una perla preziosa, è simile a un tesoro nascosto in un campo… Sono paragoni che descrivono alcuni aspetti del Regno, senza che mai se ne dia una definizione precisa e completa.
E qui c’è qualcosa di misterioso, tanto è vero che lo stesso Gesù in Mc 4,11, parla di “mistero del Regno”. Non dice ai discepoli: “A voi è stato dato il Regno!”, ma “A voi è stato dato il mistero del Regno!”. C’è quindi un mistero in questa parola “Regno”, almeno come è pronunciata agli inizi del ministero di Gesù, che lo rende necessariamente, da una parte affascinante e dall’altra un po’ enigmatico. E non poteva che essere enigmatico fino allo svelamento che avverrà appunto con la morte e la risurrezione di Gesù.
Ma noi possiamo cercare di domandarci: che cosa potevano intendere i primi uditori di Gesù in Galilea, quando sentivano che parlava del Regno di Dio? Una tale espressione era ben nota ai lettori della Bibbia ebraica. Essi sapevano perfettamente che Dio è Re da sempre; per esempio il salmo 29, dice: Il Signore siede re per sempre! Quindi era un termine acquisito. Salmo 96: Dite tra i popoli: il Signore regna! Ancora Salmo 97: Il Signore regna; esulti la terra!… Non era di per sé neanche necessaria la proclamazione di Gesù per far imparare alla gente che il Signore regna. Per esempio un inno molto antico, come il cantico di Mosè, diceva, alla fine, concludendo: Il Signore regna in eterno e per sempre! Da secoli, da millenni si tramandava l’idea della regalità di Dio. E un altro inno successivo, che si trova nel primo libro delle Cronache (cap. 29), cantava: Tuo è il Regno, Signore, tu ti innalzi sovrano su ogni cosa! (1 Cr 29,11). Quindi Gesù apparentemente non parla per dire una cosa nuova, dicendo che Dio è Re e suo è il Regno!
Però i lettori della Bibbia ebraica sapevano pure che il peccato oppone resistenza al Regno, sia il peccato individuale, sia il peccato sociale; per cui Dio regna di diritto, ma di fatto si ha spesso l’impressione che a condurre il gioco siano i malvagi, quelli che non si sottomettono a Dio. La Bibbia è piena di tali amare constatazioni e in particolare la disobbedienza a Dio che pure è re eterno sfocia in particolare nell’oppressione del popolo e, ad un certo punto, nella dipendenza del popolo dallo straniero, adoratore degli idoli e nemico del Dio di Israele. In tale contesto, dunque, il Regno c’è, ma non si vede.
E allora il venire del Regno significa che Dio viene a mettere le cose a posto, viene a mettere ordine, a sconfiggere i nemici, a punire i peccatori, a instaurare di fatto quel potere sulla storia che era da sempre suo di diritto. Ed era questa anche l’attesa degli ebrei devoti, che credevano e speravano in Dio, attesa che si trova in molti salmi e in molte altre pagine della Bibbia, per esempio il salmo 9, 18: Tornino gli empi negli inferi, tutti i popoli che dimenticano Dio. Cioè, la regalità di Dio spazzi via i nemici! Ancora salmo 9: Hai minacciato le nazioni, hai sterminato l’empio! Quindi ti dimostri veramente re! Il loro nome hai cancellato in eterno, per sempre! Hanno sfidato la tua regalità e sono stati schiacciati. E termina dicendo, presentando la regalità di Dio: Il Signore sta assiso in giudizio; erige per il giudizio il suo trono e da questo trono come re giudica il mondo. Ancora un altro salmo, il salmo 102, dice così: Il Signore si è affacciato dall’alto del suo santuario, dal cielo ha guardato la terra e che cosa ha ascoltato? Il gemito del prigioniero, del suo popolo prigioniero. Quindi ha guardato la terra per ascoltare il gemito del prigioniero, per liberare i condannati a morti, perché sia annunziato in Sion il nome del Signore, la sua lode in Gerusalemme.
Segno di questa liberazione è appunto la libera proclamazione della gloria di Dio in Sion e in Gerusalemme. Si attendeva, perciò, che Dio regnasse, condannando tutti i nemici, distruggendo tutti i peccatori, eliminando tutti i malvagi, così che il popolo potesse vivere tranquillo nella sua casa, nella sua terra, nella sua città di Gerusalemme. Ma noi sappiamo che le cose non sono così semplici. Gesù nella sua rivelazione progressiva del Regno, non rivela come un semplice giudizio di condanna e di distruzione dei malvagi; anzi, a poco a poco, fa capire, in maniera anche un po’ enigmatica, che il regnare di Dio non significa che Dio voglia schiacciare i peccatori, ma che Dio intende piuttosto perdonarli e salvarli. Questo è certamente un fatto nuovo e perciò Gesù comincia con il prendere su di sé il male del mondo: questa è la novità assoluta della rivelazione di Gesù. Già lo faceva intuire Matteo, al capitolo ottavo, citando Isaia 53, là dove dice: Egli ha preso su di sé le nostre infermità, s’è addossato le nostre malattie. Di per sé immediatamente il brano si riferisce alle guarigioni di Gesù, però con questa frase misteriosa – “se le è prese su di sé, se le è addossate” - Gesù si rivela sempre più chiaramente come colui che assume su di sé il peccato del mondo. E questo diventa sempre più chiaro nel percorso di Gesù verso Gerusalemme, soprattutto come previsione della passione o con espressioni come quelle che troviamo in Marco 10,45: Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti. Così egli chiarisce a poco a poco il senso di come egli intende l’esercizio della regalità di Dio: non schiacciare i nemici, ma dare la sua vita per il perdono dei nemici, per il riscatto di molti. E anche poi nella passione, con parole come quelle del Getsemani: “Padre, non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu! E anche con l’affermazione dopo la cattura nell’orto degli ulivi: Tutto questo è avvenuto, perché si adempissero le Scritture dei profeti.
Gesù fa capire che questo - il suo prendere su di sé il male del mondo - è il disegno nel quale si rivela la regalità di Dio. Gesù attua dunque il Regno, anzitutto nella prima parte della sua vita, sconfiggendo le malattie, le infermità, ma facendo intuire misteriosamente che egli vuole a un certo punto assumersele. Le infermità e le malattie sono conseguenze e immagine del peccato; Gesù perdona i peccati, ma soprattutto offre in debolezza, in povertà, in infermità la sua vita per noi, nella morte in croce e risorge per darci la certezza del perdono di Dio. Ecco dunque come il Regno si svela a poco a poco. Per cui il Regno non è come una macchina già fatta che viene dall’alto e si instaura sulla terra; il Regno è qualcosa che si manifesta progressivamente nella vita di Gesù. Possiamo dire: è Gesù il Regno che viene, è lui! E in noi il Regno si attua qui attraverso un processo, un processo di rigenerazione che parte dal cuore dell’uomo, dall’interno dell’uomo, che ha inizio con la nascita - il Battesimo - che va verso la crescita, verso la pienezza della manifestazione definitiva di Gesù nella nostra umanità salvata. Dunque, il Regno lo incontriamo anzitutto in Gesù che è il Regno per eccellenza. Il regno si attua nella sua vita, morte e risurrezione. Il Regno si attua in tutta la sua vita, dall’annunciazione all’ascensione, si attua nella sua morte, si attua nella sua risurrezione. E poi il Regno si attua gradualmente in tutti noi, in tutti coloro che entrano negli atteggiamenti e nelle relazioni di Gesù, vivendo come lui ha vissuto, offrendo la propria vita come lui l’ha offerta.
Perciò il Regno viene, non in astratto, ma nella misura in cui ciascuno di noi entra nel progetto di Gesù e si fa in qualche modo uno con Gesù e instaura nella sua vita le relazioni con i fratelli e le cose del mondo, secondo il mandato e l’esempio di Gesù. E questo avviene non solo individualmente, ma collettivamente, anzitutto nella chiesa visibile e poi in tutte quelle situazioni nelle quali si rivive e si mette in pratica l’insegnamento e il modo di vivere di Gesù. L’insieme di coloro che vivono così e che attuano il Regno diviene, secondo la parola di Gesù, sale della terra, luce del mondo. E porta gli uomini a lodare il Padre che è nei cieli.
A questo punto possiamo anche comprendere perché il Regno nel Nuovo Testamento, al di là dei sinottici, non viene più espresso con la sola formula, un po’ enigmatica “il Regno di Dio”, ma con molte altre formule, anche se queste formule non citano espressamente il vocabolo “Regno”. Così formule come “Cristo è risorto!”, “il Crocifisso è risorto”, “Gesù è stato crocifisso per i nostri peccati ed è risorto per la nostra giustificazione”, o formule come: “Io sono la via, la verità e la vita”, oppure formule come quelle paoline: “Vivo io, ma non più io, Cristo vive in me!”, sono formule brevi che esprimono la realtà del Regno. E di queste formule è pieno il Nuovo Testamento! Sappiamo poi che vi sono formule anche più lunghe, come – per esempio – l’inizio della lettera agli Efesini, ai Colossesi, il capitolo 2 della lettera ai Filippesi, che descrivono i vari momenti della venuta del Regno, esprimendo appunto la “carriera” di Gesù, il suo venire dal Padre, nell’umiltà della passione, della morte, del suo risorgere, della gloria, del riversare il suo Spirito nella chiesa. Tutto questo è il Regno di Dio che sta venendo in pienezza» (testo tratto da una meditazione tenuta dal cardinale C. M. Martini ai preti del settore Sud di Roma, il 24 febbraio 2005, on-line su www.gliscritti.it ).