«In quel tempo...». I vangeli di Augusto ed il vangelo del Signore, di Andrea Lonardo
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Riprendiamo dalla rubrica Alle radici di Roma del sito Romasette un articolo scritto da Andrea Lonardo. Per altri articoli dello stesso autore, vedi su questo stesso sito Testi di Andrea Lonardo. Per le immagini dell'Ara pacis Augustae, vedi la Gallery Ara pacis.
Il Centro culturale Gli scritti (17/2/2011)
«In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria» (Lc 2,1-2).
È l’unico passo del Nuovo Testamento nel quale compare il nome di Cesare Ottaviano Augusto, il vero fondatore dell’impero romano. Non è chiara la data precisa del censimento – potrebbe trattarsi di un errore, anche se Quirinio fu probabilmente governatore della Siria due volte, come testimonierebbe il discusso Lapis Tiburtinus, un’iscrizione rinvenuta a Tivoli oggi ai Musei Vaticani – ma certo è che Gesù nacque durante il regno di Augusto, si pensa fra il 4 ed il 6 a.C.
Passeggiare sul Palatino, il Palatium imperiale, che proprio con Augusto divenne la residenza di colui che governava l’urbe e l’orbe, permette di immaginare cosa accadeva in Roma, mentre in una piccola cittadina della Giudea nasceva il Cristo.
Ottaviano regnò come unico sovrano dal 27 a.C. al 14 d.C., ma il cosiddetto seculum Augustum viene fatto iniziare il 64 a.C., anno della sua nascita. L’imperatore lo fece cantare come il secolo dell’oro, il periodo benedetto della pace, della prosperità e della cultura. L’Ara Pacis Augustae, oggi inclusa nella nuova sistemazione datagli dall’architetto Richard Meier, mostra ancora oggi l’ideologia con la quale Ottaviano si accreditava come “signore della pace”. L’Ara, dedicata nel 9 a.C., presenta ai due lati la lunga processione che vede Augusto, con il genero Agrippa e con tutti i familiari, recarsi per i sacrifici. È l’imperatore come pontifex maximus, come principale rappresentante del legame fra la terra e il cielo, fra gli uomini in cerca di pace e gli dèi che soli possono garantirla, come “costruttore di ponti” con la divinità.
Sul fronte di accesso due rilievi mostrano da un lato il ritrovamento dei gemelli Romolo e Remo allattati dalla lupa sotto lo sguardo di Marte loro padre, dio della guerra, e dall’altro Enea, discendente di Venere, che onora i numi tutelari della sua famiglia, i Penati. Sul retro, nuovamente, da un lato il simbolo della potenza militare, la dea Roma che calpesta le armi dei nemici, e dall’altro il simbolo della prosperità, la Pace, in forma di Venere o di dea madre, ricca di figli, di frutti e di doni naturali.
Come scrive l’Eneide (VI 851-3), si trattava, insomma, di «stabilire norme alla pace, risparmiare i sottomessi, debellare i superbi». Sul fianco della costruzione di Meier sono state iscritte, come già nella sistemazione mussoliniana, le parole delle Res gestae di Augusto, il lungo racconto delle sue imprese a favore di Roma e dell’intero “cosmo”.
Ma è nell’Iscrizione di Priene – straordinaria città fra Efeso e Mileto, nell’odierna Turchia – che è stata trovata l’espressione più significativa dell’autopresentazione di Augusto. Così recita il testo dedicatorio:
«Il giorno natale del divinissimo Cesare noi con ragione lo equipariamo all’inizio di tutte le cose. Perciò si considererà a ragione questo fatto come inizio della vita e dell’esistenza, che segna il limite e il termine del pentimento di essere nati. Poiché la provvidenza che divinamente dispone la nostra vita a noi e ai nostri discendenti ha fatto dono di un salvatore che mettesse fine alla guerra e apprestasse la pace, Cesare una volta apparso superò le speranze degli antecessori, i buoni annunci di tutti (euangélia pántōn), non soltanto andando oltre i benefici di chi lo aveva preceduto, ma senza lasciare a chi l’avrebbe seguito la speranza di un superamento, e il giorno genetliaco del dio fu per il mondo l’inizio dei buoni annunci a lui collegati (tôn di’autòn euaggelíōn)».
Si noti che qui compare per due volte il termine “vangeli”: Augusto è l’origine dei “lieti annunzi”, dei “vangeli” portati al mondo. Qui l’espressione, però, è al plurale. Sono tanti i fatti di bene che la nascita dell’imperatore porta con sé. Invece, nel Nuovo Testamento “vangelo” è sempre al singolare, poiché il dono divino è “il” vangelo di Cristo stesso, è la sua presenza in mezzo a noi, è la sua stessa vita donata.
Ma certo il testo imperiale mostra come Augusto volesse essere considerato, come “salvatore” di una vita altrimenti infelice. Nel primo volume dell’opera Gesù di Nazaret, J. Ratzinger – Benedetto XVI, ha commentato incisivamente la continuità e la novità dell’utilizzo del termine “vangelo” nel linguaggio neotestamentario:
«Di recente la parola “vangelo” è stata tradotta con l’espressione “buona novella”. Suona bene, ma resta molto al di sotto dell’ordine di grandezza inteso dalla parola “vangelo”. Questa parola appartiene al linguaggio degli imperatori romani che si consideravano signori del mondo, suoi salvatori e redentori. I proclami provenienti dall’imperatore si chiamavano “vangeli”, indipendentemente dalla questione se il loro contenuto fosse particolarmente lieto e piacevole. Ciò che viene dall’imperatore – era l’idea soggiacente – è messaggio salvifico, non è semplicemente notizia, ma trasformazione del mondo verso il bene. Se gli evangelisti riprendono questa parola, tanto che a partire da quel momento diventa il termine per definire il genere dei loro scritti, è perché vogliono dire: quello che gli imperatori, che si fanno passare per dèi, pretendono a torto, qui accade veramente: un messaggio autorevole, che non è solo parola, ma realtà. Nell’odierno vocabolario proprio della teoria del linguaggio si direbbe: il Vangelo è discorso non solo informativo, ma operativo, non è solo comunicazione, ma azione, forza efficace, che entra nel mondo salvandolo e trasformandolo. Marco parla del “Vangelo di Dio”: non sono gli imperatori che possono salvare il mondo, bensì Dio. E qui si manifesta la parola di Dio che è parola efficace; qui accade davvero ciò che gli imperatori solo pretendono, senza poterlo adempiere. Perché qui entra in azione il vero Signore del mondo: il Dio vivente».