La Bibbia nella catechesi ed il ruolo della teologia: appunti sugli itinerari per l’iniziazione cristiana (di A.L.)
Presentiamo un breve post che non ha alcuna pretesa di completezza, ma vuole solo stimolare a riflettere su di una questione sottostimata. Per altri testi vedi la sezione Catechesi e pastorale.
Il Centro culturale Gli scritti (22/2/2011)
Una tesi: la lettura della Bibbia, senza la teologia, non solo non diviene più interessante, ma anzi risulta noiosa.
Perché? E qual è la posta in gioco? È possibile una appassionata difesa della Bibbia nella catechesi, che non sia al contempo un'altrettanto passionale difesa della teologia cristiana?
È evidente che ogni presunta contrapposizione della Bibbia alla teologia ha un presupposto implicito, solo talvolta esplicitato: la fede della chiesa nulla avrebbe a che fare con la Bibbia, ma ne sarebbe piuttosto una distorsione.
Eppure non è ancora questo il problema più serio da affrontare. Non si tratta semplicemente di difendere la fede della chiesa, di mostrarne la sua continuità con l'esperienza biblica. Certo anche questo è necessario, poiché è evidente la necessità della teologia fondamentale per la catechesi (così come è evidente oggi proprio la sua assenza nella catechesi!).
Il problema è però più profondo. Se, infatti, la teologia rimanesse in ombra, sarebbe impoverita tutta la catechesi. Poiché è stata la teologia ad enucleare nel tempo ciò che è veramente interessante e affascinante del messaggio biblico. Il testo biblico, spogliato del suo significato teologico, non avrebbe più niente da dire.
Qual è il compito della teologia? E quale è stato il suo ruolo nei secoli? Essa ha faticosamente messo in luce quali sono gli aspetti più significativi ed interessanti della rivelazione che si è fissata nella Sacra Scrittura. Proprio l’esperienza della chiesa, riflessa nella teologia, ha evidenziato quelli che erano i nodi più importanti, più affascinanti, più decisivi, rispetto ad altri.
Con una sintesi mirabile, Benedetto XVI ha scritto nella lettera ai seminaristi (Lettera ai seminaristi, 18/10/2010) che «ciò che chiamiamo dogmatica è il comprendere i singoli contenuti della fede nella loro unità, anzi, nella loro ultima semplicità».
È certamente vero che il nostro tempo pone problemi che la teologia del passato non poteva affrontare perché ancora non erano stati posti e che solo il tempo moderno pone – in effetti, come insegna Dei Verbum 8, la «Tradizione [...] progredisce nella Chiesa con l'assistenza dello Spirito Santo».
Ma resta nondimeno vero che la maggior parte delle cose “mostruosamente” interessanti della rivelazione sono state più e più volte approfondite nella storia della chiesa.
L’assenza della teologia vuol dire, per questo, la dimenticanza di ciò che è più coinvolgente, di ciò che è più sconvolgente, di ciò che è più innovativo, nel messaggio biblico.
La “semplicità” di cui parla Benedetto XVI è ben diversa dalla semplicioneria: quell’ultima “semplicità” rimanda piuttosto alla comprensibilità del messaggio della rivelazione. Esso può essere compreso nella sua intima “semplicità”: essa rende finalmente comprensibile il mistero altrimenti impenetrabile della vita umana.
L'interesse che subito si accende per le questioni teologiche è attestato anche dall’esperienza educativa della scuola e della catechesi. Solo per fare un esempio, mi raccontava recentemente un professore di religione che quando narrava la storia di Mosè come di un evento del passato chiuso in se stesso i suoi alunni non vi trovavano acun interesse. Ma quando è passato a riflettere sul nuovo rapporto che il Pentateuco istituisce fra legge, libertà e vita, il loro interesse si risvegliava. Si può allora parlare con interesse del Sinai senza domandarsi quale sia il posto dei Dieci comandamenti nella vita morale e nella vita pubblica?
Ancora. Parlare di Genesi 1-11 senza soffermarsi sulla novità del concetto di creazione e sulla specifica questione del peccato originale rende la lettura più interessante o la priva, piuttosto, di qualsiasi interesse?
Il grande G. K. Chesterton affrontò una volta coloro che presentavano il dogma come riproposizione retriva di idee antiche e superate. Lo scrittore inglese sosteneva che vecchi erano piuttosto gli errori che venivano contrapposti alla novità del dogma. È il dogma ad essere eternamente nuovo ed innovativo: solo la sua freschezza può scongiurare il rischio sempre presente di un ritorno alla vecchiezza del passato. Merita ascoltare le sue misurate parole, colorate dal caratteristico humour inglese:
«Uno dei principali compiti della Chiesa Cattolica è far si che la gente non commetta questi vecchi errori, in cui è facile ricadere, ripetutamente, se le persone vengono abbandonate, sole, al proprio destino. La verità concernente l’atteggiamento cattolico nei confronti dell’eresia o, si potrebbe dire, nei confronti della libertà, può essere rappresentata dalla metafora di una mappa. La Chiesa Cattolica possiede una mappa della mente che sembra la mappa di un labirinto, ma che in realtà è una guida per orientarsi nel labirinto. Questa mappa è stata compilata utilizzando conoscenze che, nel mondo della scienza umana, non hanno paragoni. Non vi sono altri casi di istituzioni intelligenti che hanno, con continuità, pensato sul pensiero per duemila anni. È un’esperienza che ricopre quasi tutti i campi esperibili e, in special modo, gli errori. Ne risulta una mappa che evidenzia con chiarezza tutti i vicoli ciechi e le strade dissestate, nonché le vie che si sono dimostrate fuorvianti grazie alle testimonianze forniteci da coloro che le hanno seguite. Su questa mappa della mente gli errori vengono segnati come eccezioni: gran parte di essa è costituita da campi da gioco e terreni di caccia fioriti, dove la mente può spaziare con tutta la libertà che le è propria, per non parlare dei numerosi campi di battaglia intellettuale dove il combattimento è quanto mai incerto e imprevedibile. Ma c’è la responsabilità di segnalare determinate strade che conducono al nulla o alla distruzione, ad un muro cieco o a un precipizio. Così facendo, si previene la possibilità che le persone perdano il loro tempo, o le loro vite, in sentieri che si sono dimostrati ripetutamente, nel passato, vani o disastrosi, ma che possono ancora, in futuro, intrappolare ripetutamente i viandanti. La Chiesa si prende la responsabilità di mettere in guardia il suo popolo su queste realtà, e sta proprio qui l’importanza del suo ruolo. Dogmaticamente essa difende l’umanità dai suoi peggiori nemici, quei mostri antichi, divoratori orribili che sono i vecchi errori» (G. K. Chesterton, Perché sono cattolico e altri scritti, Gribaudi, Milano, 2002, pp. 10-12).
Le grandi discussioni che sono state sollevate nella storia della chiesa sui temi della cristologia, della grazia e della natura, dei sacramenti, della salvezza per opera di Cristo, della Trinità, della morale, ecc. mostrano che proprio quelli sono i punti più “sensibili”, più interessanti, più vivi del messaggio biblico. Quelle discussioni vertevano su testi biblici, ma erano discussioni teologiche.
Altri punti di interesse nasceranno, ma questi già evidenziati dalla discussione teologica resteranno saldamente al centro dell'interesse: affrontano, infatti, le domande decisive per l’uomo di ogni tempo, per l’uomo del nostro tempo.
Come in ogni sua apparizione Roberto Benigni non cessa di dimostrare che non è Dante ad essere superato: sono piuttosto superati quei “maestri” che non ne sanno evidenziare la novità. Così nella catechesi o nell’insegnamento della religione cattolica non sono la cristologia o la riflessione sulle virtù cardinali e teologali o la dottrina del peccato originale ad essere superate: sono piuttosto “fuori dalla storia” quelle proposte educative che hanno smesso di appassionare alla vitalità di questi punti nodali.
Allora, avanti tutta con la Bibbia – è un biblista che scrive queste righe. Senza dimenticare però che proprio la teologia ha approfondito nei secoli i segreti della Bibbia e ne ha fatto emergere i nodi più straordinari e significativi.