Erasmo da Rotterdam e Thomas More. Quell’Elogio della follia 500 anni dopo, di Maurizio Schoepflin
Riprendiamo da Avvenire del 19/2/2011 un articolo scritto da Maurizio Schoepflin. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per altri testi sullo stesso tema vedi su questo stesso sito la sezione Storia e filosofia.
Il Centro culturale Gli scritti (19/2/2011)
A pensarci bene, soltanto un cristiano convinto può scrivere un elogio della follia, perché soltanto un cristiano abituato a leggere la Sacra Scrittura ha costantemente negli orecchi le parole della Prima lettera ai Corinzi, nella quale San Paolo non esita a definire 'stoltezza' la Croce di Cristo. Soltanto un cristiano convinto, dunque, può conferire alla follia («moría», in greco) un significato altamente positivo, tanto da presentarla come la chiave di accesso alla verità e all’eterna beatitudine.
Se poi questo cristiano amante della 'santa' pazzia è anche un uomo eccezionalmente colto, è probabile che un «Elogio della follia» uscito dalla sua penna possa diventare uno dei libri più famosi di tutti i tempi e uno dei grandi classici della cultura occidentale. A cinquecento anni dalla sua pubblicazione - una sorta di edizione numero zero, lacunosa e non autorizzata, dell’opera uscì per iniziativa di alcuni amici a Parigi proprio nel 1511, mentre la prima, con il crisma dell’autore, venne stampata l’anno seguente - , l’«Elogio della follia» conserva un fascino indiscutibile, derivante dallo straordinario e intelligente intreccio di fede e cultura che lo caratterizza e che caratterizzò pure la personalità del suo autore, quell’Erasmo da Rotterdam che molti considerano il principe degli umanisti cristiani.
Nato da un’unione illegittima, diventato monaco e prete senza troppa convinzione, spesso al centro di aspre polemiche, costantemente inquieto, 'affetto' da una vera e propria bulimia intellettuale, Erasmo ebbe tuttavia presente un solo altissimo ideale, quello della 'philosophia Christi', sintesi perfetta di cultura classica e Vangelo, di cui l’«Encomium Moriae» rappresenta una splendida testimonianza.
Certo, la follia cristiana non risparmia niente e nessuno e scaglia i suoi strali contro istituzioni e uomini, anche ecclesiastici, senza guardare troppo per il sottile. E ciò può causare equivoci e suscitare sospetti. Non casualmente molte furono le critiche mosse a Erasmo, accusato di essere un protestante, se non addirittura un irriverente bestemmiatore. L’umanista di Rotterdam non si sottrasse allo scontro e si difese, precisando che la Follia aveva di mira non i buoni, ma i cattivi, dei quali desiderava il ravvedimento.
Eppoi, suvvia insisteva l’autore rintuzzando gli attacchi - , un po’ di buon umore non guasta e lo scherzo può risultare uno strumento prezioso nella battaglia contro vizi e peccati! Già, il buon umore. Di là dalla Manica se ne stava facendo paladino un altro campione dell’umanesimo cristiano, sir Thomas More, amico ammirato e stimato di Erasmo, che di lui fu ospite a Londra proprio nel periodo in cui concepì e compose l’«Elogio della follia». Quel 'Moriae', poi, potrebbe essere addirittura interpretato come 'di More', e così l’elogio sarebbe stato in verità tributato al santo autore dell’«Utopia».
Sicuro è il fatto che lo scritto erasmiano si apre con una lettera dedicatoria a More stesso, nella quale l’autore, non facendo mistero della enorme simpatia che lo lega all’amico - 'ti giuro, niente, in tutta la mia vita, è stato per me più dolce della tua compagnia' - , manifesta piena fiducia che egli capirà il messaggio contenuto nell’opera. Aveva riposto bene la sua fiducia. Che cosa se non la «stultitia Crucis», la follia della Croce, avrebbe potuto spingere Moro, una venticinquina d’anni più tardi, a sacrificare la vita pur di rimanere fedele a Cristo e alla Chiesa?