Oltre il fallimento del multiculturalismo. L’Europa orfana ritrovi la sua memoria, di Carlo Cardia
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Riprendiamo da Avvenire del 6/2/2011 un articolo scritto da Carlo Cardia. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (9/2/2011)
L’Europa torna ad interrogarsi criticamente sulla propria identità e futuro, in rapporto all’immigrazione e alla multiculturalità. Dopo Angela Merkel, che nell’ottobre scorso aveva dichiarato fallita l’ideologia multiculturalista perché favorisce la separazione tra popolazioni e culture diverse, oggi è la volta di David Cameron che, proprio incontrando la cancelliera tedesca, ha sostenuto che bisogna cambiare strada. Per il premier inglese, «con la dottrina del multiculturalismo di Stato abbiamo incoraggiato culture differenti a vivere vite differenti, separate l’una dall’altra e da quella maggioritaria. Non siamo riusciti a fornire una visione della società in grado di far desiderare loro di appartenervi». Più chiaramente, lo Stato non può «compiacere gruppi e associazioni islamiche che sono ambigue e passive verso gli estremisti, non condividono valori fondamentali come l’uguaglianza tra i sessi, la democrazia, l’integrazione».
Esistono organizzazioni che «sono inondate di denaro pubblico, ma fanno molto poco per combattere l’estremismo al loro interno. Giudichiamole adeguatamente. Credono nei diritti umani universali? Anche per le donne e per chi crede in un’altra religione? Credono nell’eguaglianza delle persone davanti alla legge?» La Gran Bretagna dovrà riflettere sulle parole di Cameron, che seguono quelle recentissime dell’ex arcivescovo di Canterbury, lord Carey of Clifton, che ha denunciato la tendenza a considerare il cristianesimo una cosa vecchia, inutile, dannosa, e mentre si accettano i simboli di altre religioni, quelli cristiani sono nascosti quasi se ne provi vergogna. Facilitata dal sistema di common law, ha adottato un multiculturalismo senza limiti, fino a respingere semplici e legittime espressioni della tradizione cristiana. Da tempo la sharia si è insinuata nelle pieghe dell’ordinamento attraverso l’attività di tribunali islamici in materie delicate come quelle familiare e personale. Domina una strisciante e maniacale ostilità verso i simboli cristiani, come catenine e crocifissi, se portati da un insegnante o da un’infermiera.
Addirittura, pochi giorni fa, la Gran Bretagna di Cameron – che dovrebbe rendersi conto della contraddizione – si è distinta perché dal documento dell’Unione Europea sulla libertà religiosa fosse eliminato il riferimento alle persecuzioni dei cristiani.
Oggi i più grandi Paesi democratici comprendono che il rischio del multiculturalismo è quello della perdita di identità dell’Europa e di nuove lacerazioni sociali, e che occorre cambiare rotta. Ma come, in che modo, quale strada intraprendere, non è del tutto chiaro. Dopo l’autocritica, è necessaria una riflessione che coinvolga anche un Paese come l’Italia, sul futuro dei nostri ordinamenti e delle nostre società. Nel settembre del 2010, al bureau dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, Benedetto XVI ha ricordato che nel «contesto della società attuale, nella quale si incontrano popoli e culture differenti, è imperativo sviluppare sia la validità universale di questi diritti, sia la loro inviolabilità, inalienabilità e indivisibilità». Questo è il primo punto cardine di ogni politica di integrazione: far sì che gli immigrati fruiscano effettivamente dei diritti umani e le loro comunità accettino e rispettino la libertà di religione, l’eguaglianza delle persone, il diritto di ciascuno a vivere con gli altri, respingendo ogni forma di estremismo, comunque motivata.
Ma c’è poi l’altra faccia della medaglia. Un’Europa che nasconda se stessa, i valori cristiani che l’hanno formata e che sono alla base dei diritti umani, non realizzerà mai una vera politica di accoglienza e di integrazione.
Offrirà, come dice Cameron, ospitalità materiale, magari tanto «denaro pubblico», ma non una concezione dello Stato e della società rispettosi della dimensione spirituale e morale dell’uomo. Quando le comunità di immigrati sono inserite in una società anonima e povera, priva di identità e princìpi nobili, si chiudono inevitabilmente in un’identità propria, separata, ostile, terreno di conquista dei fondamentalismi. Se la società che le accoglie si dimostra aperta, rispettosa dei loro diritti, ma anche ricca e orgogliosa dei propri valori civili e spirituali, l’estremismo cede, nasce la voglia di confrontarsi, prendere il meglio di sé e degli altri.
Credere nei propri valori è una condizione pregiudiziale perché siano rispettati e riconosciuti dagli altri.