Beata Francisca illustris. La vita di Santa Francesca Romana scritta da fra Ippolito
Mettiamo a disposizione sul nostro sito la traduzione italiana della vita di Santa Francesca Romana, nota come Beata Francisca illustris, dalle prime parole dello scritto stesso, composta dopo il 1447 (probabilmente nel 1452 o nel 1453) da fra Ippolito, e pubblicata nel volume “1384-1984. Ieri e oggi. Francesca Romana segno dei tempi”, Roma, 1984, pp. 44-54 con un'introduzione di d. Giovanni Lunardi, pp. 41-42, da cui riprendiamo la presentazione dell'antico autore. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il centro culturale Gli scritti (7/2/2011)
da Un inedito “Vita Ypoliti”, di D. Giovanni Lunardi o.s.b., in 1384-1984. Ieri e oggi. Francesca Romana segno dei tempi, Roma, 1984, pp. 41-42
È merito indiscusso dell'abate Gabriele Brasò aver risolto, e definitivamente, l’enigma. Egli ebbe una felice intuizione; mise pazientemente a confronto il manoscritto più antico di questa biografia con uno strano documento che rimonta indubbiamente alla mano dell'olivetano P. Ippolito, vale a dire con la scheda di oblazione emessa da lui nelle mani di Santa Francesca. Le grafie sono identiche; bisogna dedurne che la stessa persona ha scritto i due documenti, e che non c'è dubbio che questa persona sia il P. Ippolito. Questi, figlio di Paolo di Nuccio, nativo di Roma, era nato verso il 1400. A 20 anni circa era entrato tra gli olivetani di S. Maria Nova. Qui dimorò, sia pure non ininterrottamente, oltre vent'anni, disimpegnandovi successivamente gli uffici di sacrestano, di maestro dei novizi e, più volte, di priore. Del resto, dopo il Mattiotti, il P. Ippolito poteva considerarsi l'uomo più idoneo ad affrontare un simile lavoro. Era stato uno dei testimoni più autorevoli ai Processi. In quello del 1443 leggiamo di lui: "ha conosciuto i genitori e il marito della stessa serva di Dio", "ha conosciuto la serva di Dio all'incirca per dodici anni prima della sua felice morte ed ebbe conoscenza familiare ed intima per otto anni prima di detta sua morte". Egli ricevette, a nome del superiore generale Gerolamo da Perugia, l'oblazione di Francesca il 15 agosto 1425 nella chiesa del monastero di S. Maria Nova; riconobbe in lei, anche per esperienza personale, il dono soprannaturale di leggere nel segreto dei cuori; con il suo aiuto riuscì a superare una profonda crisi ai obbedienza; a lei, con un atto oggi incomprensibile, fece l'oblazione, pur essendo monaco e sacerdote, "de essere sempre obediente et sobgetto in fino alla morte in omne cosa me sia possibile, prima ad voi mea singularissima matre"; era ancora presente ai suoi funerali e, finalmente, il 27 luglio del 1440, quando il corpo della santa fu esumato per dargli una sepoltura più degna. Ma quando il P. Ippolito compose quest'opera? Non è possibile, allo stato attuale degli studi, determinarlo con esattezza. Comunque, certo non prima del 1447, quando mori il papa Eugenio IV, a cui si allude. Delle copie oggi esistenti, abbiamo preferito pubblicare quella che dovrebbe rappresentare la prima stesura, vale a dire la minuta; perché non è un' opera di getto, ma un cammino talvolta incerto, perfino faticoso.
Beata Francisca illustris, di fra Ippolito
La beata Francesca nacque da nobile famiglia romana. Suo padre si chiamava Paolo Bussa; sua madre Iacobella dei Roffredeschi. Entrambi erano di vita onesta e godevano buona riputazione, sia per la loro virtù che per la loro nobiltà. Ebbero questa figlia quando erano ancora giovani. Fin dalla tenera età, Francesca fece prevedere con la sua virtù quanto sarebbe stata mirabile e gloriosa nel futuro, specialmente per la nostra città di Roma. Al nostro tempo essa splendette come stella del mattino tra le nubi.
Cosi fin dall’infanzia si manifestarono in lei certi indizi della sua verginità futura: non permetteva che alcun uomo - fosse stato pure suo parente o addirittura suo padre - la toccasse o la accarezzasse, come fanno di solito i parenti nei confronti dei bambini; e nemmeno giocava o si intratteneva a parlare con i ragazzi suoi coetanei, come facevano gli altri. Quasi presaga del futuro, rimaneva piuttosto in casa, dandosi giorno e notte alla preghiera, ai digiuni e alle opere buone. Cosi giunse all’età di 11 anni, conducendo una esistenza quasi eremitica, ignota ai vicini, preoccupata di servire al Signore. Quando giunse alla pubertà, crebbe in lei l'amore per la verginità e per la continenza: raccomandava al Signore la sua virtù e frequentava il più possibile le vergini consacrate a Dio. Tuttavia, contro sua voglia, dai genitori, appena undicenne fu data in sposa al nobile e ricco Lorenzo dei Ponziani.
Ma cadde subito gravemente malata, fino ad essere incapace di alcun movimento. Le cure più premurose dei medici non valsero a nulla; la infermità andò per le lunghe. Per salvarla, i parenti ricorsero perfino ad una fattucchiera, che ne assicurava la guarigione. Ma la serva di Dio se ne indignò e la cacciò via. La notte seguente le apparve il beato confessore romano Alessio, il quale le chiese: "Vuoi guarire?" La serva di Dio rispose: "Certo! Se però casi piace a Dio". Allora il santo confessore di Cristo la toccò con il mantello ed essa immediatamente riacquistò la perfetta salute. Giunto il mattino si alzò da letto; poi, assieme alla sua cognata Vannozza si recò alla chiesa di S. Alessio per porgergli il suo riconoscente grazie.
Dopo questo avvenimento, spinta da uno straordinario fervore, decise di abbandonare ogni mondanità e di darsi totalmente a Dio in una vita di solitudine. Allo scopo si costruì in casa un oratorio e, nell'orto, una spelonca sotto un albero di mele cotogne. Erano questi i luoghi preferiti, dove di solito si ritirava a pregare e a meditare. Si era in aprile e gli alberi erano in fiore; un giorno la serva di Dio si trovava nella spelonca e pensava agli antichi Padri che, nel deserto, si accontentavano di aver come cibo unicamente radici e frutta. Mentre rimuginava tra sé questi pensieri e si sentiva attratta dalla vita eremitica, caddero dall'albero, coperto allora solo da fiori e da foglie, due mele cotogne. Naturalmente l'avvenimento stupì tutti; e ne mangiarono sia essa che quelli di casa.
Con il passare del tempo, divenne madre di molti figli. Pur essendo moglie di un uomo nobile e facoltoso, indossava solo abiti poveri e rozzi. Fin da giovane disprezzava, quasi fossero sterco, le gemme, l'oro e tutto quanto può servire alla vanità femminile; cosi pure si teneva lontana da ogni ostentazione ed eleganza mondana: bramava solo guadagnarsi il Cristo; si accontentava di un unico vestito e questo molto semplice. Dava l'impressione di essere piuttosto una serva che una signora e una padrona di casa.
La serva di Dio voleva seguire le orme del Cristo, che per noi si è fatto obbediente fino alla morte; e perciò dalla giovinezza alla morte decise di vivere sempre sotto l'obbedienza al suo padre spirituale. E si sforzò di mortificare e di crocifiggere i suoi desideri al punto da ritenere non solo facile ma anzi motivo di gioia ogni comando, fosse pure arduo e difficile. E per conservarsi nella obbedienza, non risparmiò né la vita propria né quella dei figli.
Il conte di Troia, mentre governava la città in nome di re Ladislao, fece imprigionare alcuni dei Ponziani e finalmente mandò dei messi a prendere e condurre in Campidoglio anche Battista, figlio della serva di Dio, pena, in diverso caso, la decapitazione di Paluzzo. Come avrebbe fatto ogni altra madre, prese suo figlio, uscì di casa con l'intenzione di nasconderlo. Ma fu volontà di Dio che si imbattesse nel suo padre spirituale. Questi, quand'ebbe conosciuto il motivo della fuga, le ingiunse di accompagnare lei stessa il suo figlio sul Campidoglio, nella chiesa dell'Ara Coeli. Da vera obbediente, profondamente convinta che tale era la volontà di Dio, non sentì alcun turbamento interno; con animo sereno condusse suo figlio nella detta chiesa.
Il conte di Troia voleva lasciare Roma e portare con sè Battista come ostaggio. Lo fece porre in groppa al cavallo su cui egli stesso cavalcava. Ma il cavallo vi si rifiutò; lo torturò allora brutalmente con gli speroni; non ci fu verso. Contro ogni tentativo del conte, il cavallo indietreggiava, ma non andava avanti. Si provarono altri cavalli: tutti, come il primo, ricusarono di portare il ragazzo. All'ultimo il conte, sia pure a malincuore, fu costretto a lasciarlo; e questi venne restituito alla madre, che ancora si trovava in preghiera all'interno della chiesa dell'Ara Coeli.
Giunse a tale grado di umiltà da mettersi, in compagnia della cognata Vannozza - e all'insaputa dei mariti - a mendicare tra i poveri e a chiedere l'elemosina ai passanti, sulla pubblica via, in luoghi dove non erano conosciute. Quando c'era l'indulgenza nella chiesa di S. Paolo si andava a mettere, là presso, su una trave e per giorni interi, assieme agli accattoni, chiedeva l'elemosina ai passanti.
La grazia di Dio l'aveva resa affabile e gentile con i servi e le serve che, numerosi, si trovavano nella casa di suo marito. Per spirito di umiltà, nei loro riguardi usava l'appellativo di "fratello" e di "sorella in Cristo". E quando, sia pure inavvertitamente, le capitava di offendere qualcuno, sia con gesti che con parole, ne chiedeva subito perdono, come fanno di solito i monaci. Al tempo stesso però, sapeva rimproverare e correggere severamente chi mancava, specialmente con parole.
Con la sua angelica presenza animava mirabilmente tutti. Chi, afflitto o interiormente turbato, ricorreva a Lei, se ne ripartiva poi pieno di consolazione e di serenità, come se prima non avesse provato nulla. Le sue parole amabili riuscirono spesso a portare pace, a impedire lotte, sedizioni e scandali tra i fedeli, a estinguere odi inveterati, a seminare concordia e carità fra tutti; perfino convertì molti a Dio e li convinse ad amare il prossimo.
Governò la casa del marito e la sua famiglia con grandissima sollecitudine e alla luce dei principi evangelici. Con la sua pazienza riusciva a vincere qualsiasi avversità; come, ad esempio, quando suo marito e suo cognato furono costretti ad andare in esilio, quando le furono tolti i figli, quando durante le guerre perdette il bestiame. In tali casi diceva con Giobbe: "Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!". Non minore rassegnazione mostrava quando si ammalava lei stessa o qualcuno dei suoi. Allora esclamava con l'apostolo Paolo: "Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo". Ma soprattutto sopportava con pazienza coloro che la denigravano o la insultavano: per essi, seguendo il comando evangelico, innalzava preghiere al Signore.
In particolare, nel periodo di oltre trent’anni che visse in casa di suo marito, la serva di Dio si preoccupò moltissimo degli ammalati e dei poveri. Visitava frequentemente gli ospedali della città, specialmente quelli di S. Maria in Cappella, di Santo Spirito e del Campo Santo. Vi andava spesso e con le proprie mani porgeva il cibo agli ammalati, quel cibo che aveva comperato a proprie spese; personalmente prestava con profonda umiltà i più bassi servizi. Esortava gli ammalati alla rassegnazione, li predisponeva a ricevere i Sacramenti e con ogni possibile dedizione e sollecitudine si prodigava in ogni forma di carità e di beneficenza.
Era sempre attenta ai poveri e ai bisognosi; per essi la sua casa era sempre aperta, come fosse un ospizio pubblico. Nessuno ripartiva di là senza essere stato prima rifocillato e consolato. Ad esempio, svuotava le bisacce degli accattoni dei tozzi di pane raffermo - che poi mangiava essa stessa, - e le riempiva di pane fresco. E fu proprio per questo suo atteggiamento che Dio misericordioso operò per mezzo di Lei numerosi miracoli, quando essa abitava ancora in casa di suo marito.
Si era d'estate. Si sentiva la mancanza di vino mentre, più numerosi accorrevano alla serva di Dio gli ammalati, i poveri e i deboli. C'era in casa una botte di vino squisito. Il padre di suo marito l'aveva messa da parte per poi servirsene lui e quelli della sua famiglia. Ma la serva di Dio lo distribuì a poco a poco a tutti gli ammalati che accorrevano a lei. Alla fine la botte rimase vuota. Un bel giorno il suocero e i suoi figli scesero in cantina per assaggiare quel vino messo da parte con tanta cautela; ma ebbero la dolorosa sorpresa di trovare la botte completamente asciutta. Allora si inviperirono contro la serva di Dio, gridando al colmo dell'ira che non c'era rimasta goccia. Lei tentò di ammansirli con buone parole; ma invano. Allora si avvicinò alla botte, si raccolse qualche istante in preghiera; quindi si alzò e trovò la botte colma fino all'orlo di un vino ancora più prelibato di quello che aveva distribuito ai poveri. Ne attinse e ne portò a quelli di casa. Tutti se ne stupirono e resero grazia a Dio.
Un'altra volta si era in tempo di carestia. Suo marito aveva venduto una certa quantità di frumento. Nel granaio ne era rimasto quella piccola quantità che abitualmente è detta "la solatura". La serva di Dio la vagliò per bene e la distribuì ai poveri. Pochi giorni dopo il granaio fu trovato pieno di ottimo grano nella misura di circa quaranta rubbi.
Fin da giovane si recava spesso a visitare le chiese; vi ascoltava attentamente le prediche e vi assisteva alle funzioni sacre. Imparava a memoria tutto quanto era in grado di comprendere, specialmente i precetti del Signore e gli ammaestramenti utili alla salvezza; tutto, poi, cercava di mettere in pratica. Dimostrava grandissima deferenza nei confronti delle persone ecclesiastiche, fossero esse chierici secolari o religiosi e, specialmente, sacerdoti. Arrivava al punto da non ardire di parlare in loro presenza; davanti ad essi si poneva in ginocchio, teneva il capo chino e gli occhi rivolti a terra. In tal modo voleva adorare in essi il Cristo.
Rimase con suo marito 28 anni e sei mesi. Con mutuo accordo, gli ultimi dodici anni vissero insieme come fratello e sorella. Da allora si trasformò in modo mirabile e incominciò con la parola e con l'esempio ad unirsi al numero dei perfetti e la sua esistenza divenne sempre più ammirabile e sempre più incomprensibile.
A mo' di esempio; il suo letto, fatto di paglia, era talmente corto da renderle impossibile dormirvi distesa: vi si accovacciava soltanto. Mai, ad eccezione di quand'era malata, dormiva di giorno. Di notte, invece, dormiva solo due-tre ore, ricoperta di abiti di lana. E nonostante tutto, con la grazia di Dio riusciva a mantenersi sana e capace di compiere tutti i servizi di casa. Fu molto austera nell'uso del cibo e delle bevande. Era abituata alla sobrietà; mai, dalla adolescenza alla morte, toccò vino; prendeva cibo una sola volta al giorno; si asteneva dai cibi ricercati o dolci e da qualsiasi cosa che la gente è abituata a gustare. Si nutriva di frutta, di verdure e di legumi senza olio o altro condimento ad eccezione di quando fosse malata; qualche volta, dopo i pasti prendeva una mela cotta. Mai usava medicine; vestiva sempre ed esclusivamente di lana; era severissima nel trattare il proprio corpo. Portava un doppio cilicio, che non lasciò fino alla morte; cingeva i fianchi con una stretta cintura di ferro, la quale le produceva piaghe. Nel suo desiderio di darsi al Signore, spesso si flagellava con staffili e con punte di ferro; nel suo fervore giungeva perfino a far colare gocce di cera bollente sulla sua carne nuda, che producevano scottature e ulcere gravi; nello sforzo di dominare severamente i propri sensi, centinaia di volte al giorno si percuoteva fortemente il petto.
Era di grande perfezione e di grande pietà nei suoi doveri verso Dio. Due volte la settimana si accostava al sacramento della Riconciliazione; riceveva la comunione nelle domeniche e nelle grandi solennità. E lo faceva sia per il suo immenso amore per il Signore sia per il comando avuto dal suo padre spirituale. Dopo la comunione, il luogo circostante si riempiva di soavissimo profumo.
Un giorno, la serva di Dio si trovava nella chiesa di Santa Cecilia, per ricevere il Corpo di Cristo. Ma il sacerdote di quella chiesa pensava cosa indegna che una donna sposata e ricca si accostasse così frequentemente alla Comunione. Spinto, allora, da una tentazione diabolica, le amministrò un'ostia non consacrata. La Santa se ne accorse immediatamente, perché non percepì la dolcezza spirituale come le altre volte. Il sacerdote ne fu poi severamente redarguito dal padre spirituale della Santa: riconobbe la colpa e chiese perdono.
La serva di Dio sapeva custodire la lingua e mantenere il silenzio; e quando eventualmente le capitava di pronunciare una parola inutile, si percuoteva la bocca fino al sangue.
Già quando si trovava in casa propria e viveva suo marito, con l'aiuto di Dio la beata Francesca raccolse attorno a sé diverse figliuole in Cristo. Con esse, in maniera solenne si offrì all'Ordine benedettino di Monte Oliveto; e visse in maniera irreprensibile fino alla morte con le sue figlie sotto la Regola del santo Padre Benedetto. Alle stesse sue figliuole, sia presenti che future, lasciò una regola, che il Papa Eugenio IV approvò e arricchì di numerosi privilegi. Di quale purezza di vita e di quale pietà siano oggi le sue figliuole, i fatti lo dicono ancor più che le parole.
Di giorno e di notte, con animo gioioso si dedicava alla preghiera e alla meditazione. Raramente avveniva che qualcuno la avvicinasse e non la trovasse immersa in fervida preghiera e in lagrime. Ogni giorno recitava l'Ufficio della Madonna, nonché molti salmi, preghiere e letture. Una volta la serva di Dio si trovava in cella, sprofondata nella preghiera. Una certa Bartolomea, di Arezzo, fu spinta dalla devozione a venire nella casa della congregazione. Mentre vi si intratteneva con altre sue figliuole in Cristo, vide discendere dal cielo fino alla cella della serva di Dio un ramoscello d'oro infiorato di gigli ugualmente d'oro. La donna si mise a gridare e tra le lagrime rivelò alle altre la visione avuta.
Un'altra volta, la serva di Dio si recò alla vigna assieme alle altre sue figliuole, in Cristo. Si misero a lavorare, mentre la beata Francesca si allontanò un poco per recitare le Ore dell'Ufficio della Madonna. Improvvisamente scoppiò un violento temporale; la pioggia cadde a dirotto. Non avendo di che ripararsi, le figliuole si bagnarono dal capo ai piedi. Sulla serva di Dio, invece, mentre stava pregando e salmodiando, non cadde goccia d'acqua.
Spesso, con sua grande gioia interiore, la beata era rapita in estasi, tolta dalle cose di questo mondo e unita al Cristo; allora rimaneva non di rado immobile e quasi insensibile. Questo, per grazia di Dio, le succedeva molto di frequente: sempre dopo la comunione, dopo la recita dell'Ufficio divino, ogni volta che si parlava del paradiso, dopo la genuflessione fatta davanti al Crocifisso o ai santi, dopo la visita ad una chiesa, dopo aver discorso di Dio con il suo padre spirituale. In quei momenti il suo spirito era assorto in estasi e a quelli che l'attorniavano essa sembrava più morta che viva. Un'altra volta, nella vigilia della festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, la santa tornava dalla basilica di S. Paolo con alcune sue figliuole in Cristo. Entrò in una sua vigna situata presso il mulino di S. Paolo; si pose presso il ruscello e, come di solito, si mise a pregare. Pochi istanti dopo, cadde in estasi, scese nel ruscello e, nell'acqua, si gettò in ginocchio, rimanendo così per alcune ore, sempre in preghiera. Alla fine tornò in sé. Le figliuole in Cristo pensavano che si fosse bagnata; invece, giunta a riva, le sue vesti e il suo corpo erano asciutti come se non fossero stati nemmeno sfiorati dall'acqua.
Frequentemente, nella chiesa di S. Maria in Trastevere, nella cappella dell'Angelo, appena si accingeva a ricevere l'Eucaristia, cadeva in estasi; ciononostante con i propri piedi si accostava all'altare e con profonda pietà riceveva il Corpo del Signore continuando tuttavia a rimanere in estasi.
Tra le visioni di quei momenti molto frequente era quella del Signore crocefisso. Dalle sue piaghe irradiava una luce indescrivibile. Alcune sue figliuole in Cristo, particolarmente una di esse di nome Agnese, videro più volte sul capo della beata un fuoco che irradiava luce vivissima.
Aveva il pensiero continuamente rivolto alla passione di Cristo, e per questo motivo spesso era colta dal pianto. Mentre contemplava amorosamente le singole piaghe del Crocefisso, era talmente penetrata da compassione da provare le stesse ferite sul suo corpo. Tanto profondamente era immersa nella contemplazione delle piaghe del Crocefisso, da divenire incapace talora di compiere i lavori e servizi abituali. Quando contemplava le piaghe dei piedi, si sentiva talmente compartecipe da zoppicare essa stessa; se poi rifletteva sulle piaghe delle mani del Crocefisso, era costretta a lasciar cadere l'oggetto che teneva eventualmente tra mano; e quando, rapita in estasi, contemplava la piaga del Sacro Costato, lo Spirito Santo la colpiva con tanto fuoco di compassione e di amore, che per lungo tempo dal petto le usciva un certo liquido acquoso. Una volta, nella festa di Natale, la serva di Dio aveva appena ricevuto l'Eucaristia nella chiesa di S. Maria in Trastevere. Poi, rapita in estasi, aveva visto la Madonna in adorazione davanti a Colui che aveva generato, mentre vicino a lei scaturiva una limpidissima fonte d'acqua. La Madre di Dio ne attinse, e con essa toccò la ferita del costato della beata Francesca. In quell'istante parecchi dei presenti la sentirono esclamare a voce alta: "Sono stata guarita!".
La serva di Dio godeva continuamente della visione degli Angeli, e specialmente ne vedeva uno di straordinaria bellezza: era lui che la assisteva e che la trattava familiarmente di giorno e di notte. Lo splendore del suo volto superava quello del sole. E se di notte doveva fare alcunché, la beata era in grado di farlo senza ricorrere a lampade artificiali, approfittando della luminosità che emanava dall'angelo.
Intanto era morto suo marito ed essa era giunta all'età di quasi 52 anni. Allora decise di abbandonare il mondo nella maniera più assoluta: lasciò ogni cosa e si recò nella casa dove già da tempo abitavano le sue figliuole in Cristo. Si prostrò davanti alla soglia, alzò le braccia al cielo e tra le lagrime, a piedi scalzi, chiese umilmente e insistentemente di essere accolta tra loro. Queste la accolsero immediatamente e con grandissima gioia; vollero che fosse loro superiora e all'unanimità la considerarono e venerarono come loro pia e santa madre.
E fu di una esistenza mirabile; e fu celebre per numerosi miracoli. Ad esempio: una delle sue figliuole in Cristo, di nome Francesca, di Veroli, era, per turno settimanale, incaricata di provvedere alla casa e alle consorelle. Un giorno si accorse che mancava il pane per il pranzo. Riferì la cosa alla serva di Dio. Questa, piena di fiducia nella divina Provvidenza, fece ugualmente preparare la tavola. C'era in casa pane appena sufficiente per tre persone. La santa fece sedere a mensa le figliuole in Cristo, che erano in numero di quindici. Diede poi la benedizione; e il pane si moltiplicò. Tutte ne mangiarono a sazietà: bene dissero e ringraziarono il Signore. Alla fine del pranzo raccolsero i frammenti avanzati e ne riempirono un grosso canestro.
Nel tempo in cui fu superiora, mostrò a tutte con il suo esempio la maniera con cui bisogna abbandonare e disprezzare il mondo. Tra l'altro, spessissimo insieme ad esse si recava a lavorare nella vigna e rientrava sul far della sera portando sulle spalle, come le altre, una fascina di sarmenti o di legna.
Un'altra volta si era in pieno gennaio. Un giorno la serva di Dio con otto sue figliuole in Cristo si avviò come di solito alla vigna per raccogliervi la legna. Lavorarono sodo fino a sera. Per la fatica, alla fine ebbero sete; ma alla santa, per il suo abituale riserbo, ripugnava inviare una di esse ad attingere acqua alla fontana che si trovava sulla via pubblica. Allora si mise a pregare. Quindi si rivolse alle consorelle dicendo: "Abbiate fiducia nel Signore! Egli sicuramente provvederà!". E, alzando lo sguardo ad un albero, scorse una vite zeppa di grappoli, come se fosse il tempo della vendemmia. Tutte ne mangiarono e furono dissetate. E resero grazie a Dio.
Inoltre, Dio concesse alla sua serva anche lo spirito di profezia e di conoscenza degli spiriti. Previde, così, molti avvenimenti casuali. Tra gli altri, previde la fuga del papa Eugenio IV, le persecuzioni che avrebbe dovuto soffrire, gli sconvolgimenti all'interno della Chiesa, le rapine che sarebbero accadute in Roma.
Una signora di nome Cecca aveva dato alla luce prematuramente una bimba. Poiché pareva sana e ben formata, non la fece battezzare subito. La sera successiva al parto, quando era già buio, giunse la beata Francesca, contro ogni sua abitudine, e chiese che la neonata fosse battezzata immediatamente. Il sacerdote della chiesa accolse contro voglia la istanza, perché non vedeva ragionevole una tale precipitazione. Tuttavia, per le insistenze della serva di Dio, impartì il battesimo. Subito dopo, la bimba fu colta da malore che la portò alla morte.
La beata riusciva a conoscere chi non resisteva alle tendenze cattive e alle tentazioni diaboliche, chi era irretito nei delitti e nel crimine. In particolare conosceva se un giovane religioso avrebbe perseverato o meno nel servizio divino. Conosceva, infine, le tentazioni e gli assalti diabolici che tormentavano qualcuno in maniera eccezionale. Una notte, una certa Agostina, sua figliuola in Cristo, si intratteneva nella propria cella dandosi alla preghiera. Quand'ecco venne a lei il nemico del genere umano, sotto le sembianze di un uccello e tentò quasi di soffocarla. Ma la cosa non rimase ignota alla serva di Dio, che si trovava poco distante in un'altra cella: si mise in orazione per la sorella tentata e questa ne fu immediatamente liberata. Un'altra volta, una certa Perna, ugualmente sua figliuola in Cristo, sbadatamente versò a terra un po' di olio. Ma non si preoccupò di andare a chiedere perdono, riconoscendo così la propria colpa. La beata Francesca lo vide in spirito. Si limitò quindi ad ammonire pubblicamente le sorelle perché, chiunque si sentisse colpevole, manifestasse il proprio fallo. Ma il nemico del genere umano stringeva tenacemente la gola della sorella, fino quasi a strozzarla. Essa dissimulava e taceva. Vedendo ciò, la beata Francesca le appioppò un sonoro schiaffo; immediatamente lo spirito maligno la lasciò libera; e la sorella riconobbe il torto e chiese umilmente perdono.
La serva di Dio spesso doveva affrontare lotte e persecuzioni da parte dei demoni. Il nemico del genere umano assumeva allora sembianza di uomo o di bestia; più spesso le appariva travestito in angelo di luce: e in questo modo veniva a suggerirle cose contrarie al bene della sua anima. Ma la serva di Dio, con l'aiuto divino, riusciva a scoprire le macchinazioni demoniache e otteneva sempre vittoria. Sia di notte che di giorno, non di rado gli spiriti maligni osavano perfino percuoterla atrocemente durante la preghiera e la meditazione.
Una volta, la serva di Dio si trovava nel luogo scelto per la preghiera, per la lettura e per la meditazione delle Sacre Scritture. C'era lì per caso un bel mucchio di cenere. Quand'ecco le si presentarono gli spiriti maligni sotto l'aspetto di bestie, leoni, cani, vipere e serpenti; lei non perdette la serenità; i demoni stracciarono i libri che si trovavano lì, la avvoltolarono nella cenere; la batterono per bene; le riempirono il viso e il corpo intero di ferite. Ridotta in quel miserabile stato, allo sguardo di chi la vide subito dopo, non sembrava più una donna ma un vero mostro. Una notte era in cella, e pregava. Il nemico maligno la assalì, le inflisse diverse torture, quindi la portò in un corridoio e la tenne sospesa per i capelli a lungo, minacciandola ad ogni istante di precipitarla se non avesse acconsentito alle sue voglie e alle sue lusinghe. Ma essa, con l'aiuto di Dio ne uscì ancora una volta vittoriosa e, finalmente, al nemico maligno non rimase altro che riportarla in cella.
Inoltre, la serva di Dio fu celebre anche per il dono delle guarigioni. Con la sua preghiera risanava gli ammalati, da qualsiasi male fossero stati colpiti. Un giorno stava ritornando con la cognata Vannozza dalla basilica del Laterano. Giunta presso la cappella posta presso il ponte di Santa Maria, si imbatté in un povero che aveva una grave ferita ad un braccio. Questa non era stata curata e manifestava segni gravi di infezione. La serva di Dio chiese al povero il motivo per cui non si medicasse. Egli rispose, rompendo in lagrime, che non ne aveva il denaro necessario. Allora lei lo condusse a casa sua, gli lavò la piaga, gliela fasciò come meglio poté. Poco tempo dopo il povero era guarito.
Un certo Giuliano da Genova, servo dei Ponziani, si ferì gravemente ad un piede mentre tagliava legna nel bosco. I medici gli prodigarono ogni cura, ma non riuscirono a fermare l'emorragia; trascorsero così cinque mesi e ormai si riteneva possibile la guarigione solo a prezzo dell'amputazione dell'arto. La serva di Dio, toccando lo appena, in otto giorni lo riportò alla guarigione totale. Camilla, una fanciulla di quattro anni, era muta fin dalla nascita. Fu presentata con grande fede alla serva di Dio. Non appena le toccò la lingua, la bimba cominciò a parlare alla presenza di tutti. Un'altra donna, certa Jacobella, era paralizzata dalla metà del busto ai piedi. Fu anch'essa presentata alla beata, che la toccò e fu guarita all' istante. Un'altra donna, Agnese, era talmente debole da non poter conservare il feto nell'utero. Presentò umili preghiere alla serva di Dio. Subito le fu possibile concepire e dare alla luce in maniera normale due gemelli. Insomma, la serva di Dio fu molto conosciuta per i suoi numerosi miracoli: restituì la parola ai muti, la vista ai ciechi, la perfetta deambulazione agli zoppi, la perfetta salute agli infermi e ai deboli, la liberazione agli indemoniati, la sanità agli epilettici. Chi era gravemente ferito, e a cui nessun intervento medico poteva recare giovamento, al semplice tocco della serva di Dio - ovviamente con l'aiuto di Dio onnipotente e misericordioso otteneva la guarigione. Per la sua preghiera e per i suoi meriti, taluni furono addirittura strappati dalle fauci della morte e restituiti alla primitiva salute.
E ancora una cosa più straordinaria: mentre il suo corpo riposava, prima della sepoltura, nella chiesa di S. Maria Nova, appena toccando la sua preziosa salma, alcuni uomini ostinati ed incalliti nel male, senza alcuna pressione dall'esterno si sentirono spinti ad accostarsi al sacramento della confessione. Così pure, alcune persone colpite da vari mali, ottennero la guarigione sia toccando il suo corpo che, addirittura, trovandosi semplicemente in sua presenza.
A 56 anni, il 2 marzo, la serva di Dio fu assalita da forte febbre. La notte successiva le fu rivelato che avrebbe dovuto entro sette giorni deporre il tabernacolo del suo corpo. Il giorno dopo narrò la rivelazione al suo padre spirituale e gli chiese umilmente di amministrarle i Sacramenti. Li ricevette secondo il rito della Chiesa. Ormai vicino l'istante della morte, rivolse alle sorelle e figlie in Cristo un discorso pieno di conforto e di esortazione. Con materno affetto le consolò per la sua morte ormai prossima, le stimolò ad amare il Signore. Tra l'altro lasciò loro come testamento che sempre si amassero e fossero unite tra di loro; le incitò ad aver coraggio nell' affrontare le molestie e le tentazioni del nemico del genere umano; le esortò, inoltre, a superare con l'aiuto di Dio e con animo sereno tutte le difficoltà come essa stessa aveva fatto. Infine, insistette più che poté nello spronarle ad imitare l'esempio di Gesù Cristo.
Sette giorni dopo, le sorelle e figlie sue in Cristo stavano attorno a lei, piangendo a dirotto in attesa della imminente partenza di una madre così santa e pia. Quand'ecco, la beata Francesca, devotissima sposa di Cristo, alzò gli occhi al Cielo, e pregando con il cuore e con le labbra, si riposò in pace. Fiorì nell'anno del Signore 1440. Il 14 marzo [N.d.R. Non è chiaro a cosa alluda questa data]. Presso il suo sepolcro, per sua intercessione avvengono molti miracoli. A lode e gloria di Dio, ad esaltazione della nostra alma città di Roma.