Viaggio alle radici di una crisi generazionale. Riscopriamo l'autorità come energia buona, di Paola Bignardi
Riprendiamo dal sito http://www.piuvoce.net/ un articolo pubblicato da Paola Bignardi l’11/1/2011. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (24/1/2011)
I sintomi di una crisi dell’autorità nella società attuale sono numerose e hanno radici lontane e profonde che nella cultura di oggi hanno rinnovato le loro espressioni.
Mi pare che siano almeno di tre ordini le manifestazioni della crisi dell’autorità:
Vi è quella che esprime il timore che l’educazione, con la sua proposta, il suo orizzonte valoriale, con il suo intervento di guida, costituisca un condizionamento alla crescita in libertà di ragazzi e giovani. Si hanno così famiglie in cui si danno ai più piccoli indicazioni soprattutto di comportamento, minime, nel desiderio di non influenzarli. È soprattutto la visione della vita che viene lasciata in ombra, soprattutto i valori religiosi. Si ritrovano in questo ambito tutti quei genitori che scelgono di non dare ai loro figli un’educazione religiosa o di non farli battezzare, per lasciare loro la libertà di scegliere se farlo o meno quando saranno in grado di decidere da soli. Rientrano in questo ambito anche tutte quelle scuole nelle quali una certa concezione della laicità porta ad un progetto educativo da cui sono estromessi i valori, quelle in cui non si fa il presepe… è la crisi dell’autorità del pensiero, dietro la quale spesso si nascondono i problemi irrisolti di una generazione adulta che non ha saputo fare scelte culturali, etiche e religiose significative.
Vi è un’altra tipologia di posizioni che si riscontrano soprattutto in famiglia: è quella dei genitori che sono quasi spiazzati dalla fatica che l’esercizio dell’autorità comporta. E allora rinunciano, talvolta con l’atteggiamento di chi si arrende perché non ce la fa - d’altra parte, come non riconoscere che il ritmo di vita della nostra società affatica e svuota le persone, lasciando loro scarse energie per dedicarsi agli altri? - tal’altra con lo stile più elegante di chi si fa alleato dei propri figli, in una forma di giovanilismo complice, che rende alcuni genitori orgogliosi di poter affermare di essere gli amici dei propri figli.
E infine vi sono coloro che scambiano l’autorità con un autoritarismo di altri tempi, con la forza che impone dei comportamenti, senza chiedersi che cosa vi sia dietro a essi o dentro la coscienza di chi li assume. È una tentazione che ha preso soprattutto la scuola, da quando si è resa conto degli effetti devastanti che ha prodotto la crisi della sua autorevolezza, la debolezza delle sue regole e della sua proposta culturale.
Di fronte alla fatica o alla rinuncia di mettere in gioco la sua competenza educativa, la scuola degli ultimi tempi ha rispolverato “una pedagogia della disciplina”, dell’irrigidimento dei comportamenti sanzionatori, che costituisce non un rimedio, ma piuttosto il coprire le ragioni vere della debolezza dell’istituzione scolastica. La stessa cosa accade in alcune famiglie, dove ci si impunta su alcune richieste, senza lo sforzo di capire che cosa effettivamente vivono i ragazzi e che cosa cercano nella loro crescita sempre più solitaria. Sono genitori che suppliscono con atteggiamenti di controllo a ciò che non sanno dare in termini di proposta, di relazione, di vicinanza, di autorevolezza.
L’esito della crisi dell’autorità è la solitudine in cui crescono i ragazzi e i giovani: illusi di essere più liberi, in effetti abbandonati a se stessi nell’impresa decisiva della loro vita: quella di scegliere chi diventare, senza saper bene chi si è. D’altra parte, l’autorità è stata troppo spesso scambiata per l’autoritarismo che semplifica la relazione, imponendo senza dare ragioni e che spesso mortifica la persona.
Dall’attuale crisi dell’autorità si potrà uscire solo riscoprendo il significato autentico di questa dimensione fondamentale della relazione educativa: essa è energia buona che fa crescere, proprio come è indicato dal termine stesso: offrendo proposte, persuadendo, dando ragioni, sostenendo nel vivere ciò che si propone, dando regole, sorreggendo nella fedeltà ad esse, correggendo quando le regole vengono infrante… . È un compito che richiede adulti maturi, capaci di vivere nell’educazione il dono di sé, dovere in cui si riassume la vocazione stessa dell’essere adulti; un compito che è anche un cammino, lungo il quale l’adulto continua a crescere, e diviene autorevole, punto di riferimento, riconosciuto e cercato perché capace di indicare ai più giovani la strada della realizzazione di sé.