Siamo l’anima del mondo. La verità, la vita, la missione di chi crede in Gesù Cristo, di Alessandro D’Avenia
Riprendiamo da Avvenire del 4/11/2010 un articolo scritto da Alessandro D’Avenia. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (23/12/2010)
Domenica scorsa, durante la Messa, mia sorella mi ha fatto notare, incredula, una signora intenta nella lettura di una rivista dal titolo reso più ironico, se non grottesco, dalla situazione: "Vero. Salute". Una rivista promette più verità e salvezza (ridotta a salute, e il bene ridotto a benessere) di quanta ne dispensi il mistero domenicale. Dentro di me ho sentito un moto di ribellione. Non verso la signora, ma verso Dio: «Dici di essere la verità, ma poi questa verità non ci conquista». Non è questione di vita o di morte. Non ci prende, non ci sorprende. Preferiamo altre verità più a buon mercato, altre salvezze, più sicure. La verità e la vita si cercano, ma non si trovano. La verità deve tornare a sedurre la vita e farle riscoprire che sono fatte della stessa pasta. La verità deve tornare a incarnarsi, perché la vita ne rimanga sedotta e conquistata. E quindi salvata.
Domenica in una chiesa di Baghdad, durante la Messa, alcuni terroristi si sono fatti esplodere, uccidendo più di 50 persone. Per quei cristiani quella Messa è stata questione di vita o di morte. Tornano alla memoria quei 50 martiri di Abitene, in Africa, che furono giustiziati durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano, perché sorpresi a celebrare la Messa che era stata loro vietata. Il padrone della casa che li ospitava per la celebrazione, al proconsole perplesso di fronte a tanta cocciutaggine, rispose: «Sine Dominico, non possumus». Senza il giorno del Signore, non possiamo. Non possiamo vivere. Non possiamo essere. Non possiamo.
«Non c’è vita senza conoscenza, né conoscenza autentica senza la vera vita: per questo i due alberi sono stati piantati l’uno accanto all’altro», spiegava agli inizi del cristianesimo un anonimo nella sua nota lettera al curioso Diogneto, pagano, sedotto dalla verità. Quale verità? La vita dei cristiani: lo incantava e ne chiedeva conto e ragione a un amico, capace di pennellare l’identità cristiana con semplicità e chiarezza rimaste insuperate. Egli spiega che Dio manda suo figlio «come Dio, quale era, e come uomo, come conveniva diventasse per salvare gli uomini, mediante la persuasione e non con la violenza». Se la verità non persuade più la vita è perché non è più vita: si è disincarnata, non ha più la carne e le ossa dei cristiani. La vita non vuole essere istruita, vuole essere ascoltata, sedotta, amata. Dio non è un catechismo, ma vita.
Spesso ci accontentiamo di una vita impoverita, sdrucita, noiosa. L’anonimo ha l’ardire di dire a Diogneto che i cristiani sono nel mondo «ciò che è l’anima nel corpo». I cristiani sono la vita del mondo, come lo spirito tiene in vita e anima il corpo. Tutti conosciamo quella sensazione di smarrimento di fronte al corpo di un caro defunto: sembra irriconoscibile, benché ogni tratto del viso ci sia assai familiare. Quando non c’è più vita, persino il corpo perde identità. Il mondo senza i cristiani è un guscio inespressivo, un corpo senza vita.
I cristiani sono l’anima del mondo. Dovremmo ripetercelo più spesso e chiederci se dove ci muoviamo, lavoriamo, riposiamo, siamo capaci di dare vita (cioè tempo e attenzione) a ciò e a chi ci sta attorno. Il cristiano è come re Mida, trasforma tutto ciò che tocca. Non in oro, ma in vita. Ma può farlo solo se ha dentro di sé l’esuberanza della vita. I cristiani possono tornare a sedurre la vita e restituirle la verità di cui ha sete, di cui ha disperato bisogno in tempi di povertà spirituali, oltre che materiali, di dipendenze asfissianti, di là da apparenti libertà assolute.
Nietzsche ripeteva che avrebbe creduto il giorno in cui avesse visto sul volto dei cristiani l’espressione di uno che è salvo. Kafka, quasi conoscesse la parole della Lettera a Diogneto, scriveva nei suoi Diari che siamo due volte separati dalla salvezza: per avere mangiato dall’albero della conoscenza del bene e del male e per non aver mangiato da quello della vita. Dobbiamo smettere di accontentarci di verità da edicola e tornare a mangiare dall’albero della vita, rinato al centro del mondo, all’inizio della settimana. Altrimenti moriremo ogni giorno, portando nella fossa con noi il mondo, che langue, privo d’anima.
È ora che la verità torni a sedurci. È ora di lasciarsi vincere dalla vera tentazione: mangiare dall’albero della vita. Senza non possiamo. Senza non siamo.