E il confessore di Cavour chiese clemenza a Leone XIII. Scoperta nell'Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede la lettera inedita scritta nel 1882 da fra Giacomo da Poirino, di Francesco Castelli
Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 29/9/2010 un articolo scritto da Francesco Castelli. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (7/12/2010)
Il confessore di Cavour frate Giacomo da Poirino alla fine chiese perdono. È quanto emerge dalla supplica inedita firmata nel 1882 dal religioso, francescano riformato, al secolo Luigi Marocco, che invocava la clemenza di Leone XIII per il comportamento tenuto nel 1861 e per il quale era stato sospeso a divinis.
Gli antefatti sono noti. Alla fine del maggio 1861, colto da un malore improvviso, il conte Camillo Benso di Cavour si ritrovò in fin di vita. A un passo dalla morte, il 5 giugno, fu chiamato al suo capezzale fra Giacomo, rettore della parrocchia della Madonna degli Angeli a Torino, vicina alla casa dei Cavour, per l'amministrazione dei sacramenti. C'erano, però, dei problemi.
Il conte era irretito dalla scomunica con la quale, il 26 marzo 1860, Pio IX aveva colpito quanti avevano cooperato all'invasione dello Stato Pontificio. Secondo la bolla papale, per essere autenticamente assolto in punto di morte e sciolto dalle conseguenze della sanzione che rendeva nulla la ricezione dei sacramenti, ogni penitente doveva compiere una pubblica ritrattazione dei gravi atti compiuti contro la Chiesa. Solo allora la confessione sarebbe stata valida e l'assoluzione efficace.
Dinanzi al morente, però, fra Giacomo non si attenne alle norme pontificie. Anziché chiedere la ritrattazione, decise di procedere subito con la confessione, impartendo l'assoluzione e amministrando, per il tramite di un suo vicecurato, il sacramento dell'Eucarestia. All'indomani, 6 giugno 1861, il conte morì.
La notizia dell'assoluzione di Cavour in punto di morte provocò subito clamore. Molti erano interessati alle ultime ore dell'uomo di Stato e si chiedevano se, alla fine, il conte avesse ritrattato. Voci non confermate lo sostenevano, altre lo smentivano risolutamente. Quando la vicenda era sul punto di far scoppiare una polemica, l'intervento di Gustavo Benso, fratello di Camillo, pose fine alle discussioni: la ritrattazione non c'era stata.
Giunse eco dell'accaduto anche a Pio IX che, per vederci chiaro, convocò a Roma fra Giacomo. Dalla bocca del religioso il Pontefice dovette constatare che né il conte aveva fatto alcuna dichiarazione, né il frate l'aveva richiesta. Pio IX apprese la notizia con un vivo disappunto: la normativa sacramentale era stata disattesa con tutte le conseguenze, pastorali e non solo, che un simile fatto, ormai così noto, poteva provocare. Papa Mastai invitò, pertanto, il francescano a riparare al suo errore riconoscendo, con una dichiarazione scritta, di non aver rispettato le norme emanate l'anno precedente.
Alla richiesta del Pontefice, che interpose i buoni uffici di altri ecclesiastici per vincere le resistenze di fra Giacomo, il religioso si oppose dicendo di aver compiuto il proprio dovere. Preso atto della sua irriducibile volontà, Pio IX decise di sospenderlo a divinis.
La sanzione di Pio IX, dunque, non fu tesa a colpire un frate che aveva assolto Cavour. Era stato piuttosto il rifiuto di fra Giacomo di riconoscere il suo grave errore a spingere Pio IX verso quel provvedimento. Lo si evince chiaramente dal tenore della lettera scritta l'8 agosto 1861 dallo stesso Pontefice all'arcivescovo di Torino Luigi Franzoni.
La sanzione a carico di fra Giacomo non va pertanto intesa né come persecuzione né come una punizione comminata sic et simpliciter per l'assoluzione impartita a Cavour. Chi scorre il carteggio tra Pio IX e Vittorio Emanuele II può d'altra parte vedere facilmente - come ha osservato Giovanni Spadolini - che al Papa stava profondamente a cuore l'anima di ogni cattolico e che, prima di essere sovrano dello Stato Pontificio, egli si sentiva dal più profondo pastore e padre dei suoi figli nella Chiesa. Che un uomo si pentisse e si confessasse, chiunque egli fosse e qualsivoglia atto avesse compiuto, era per Pio IX la principale premura.
Quanto a fra Giacomo, nella sua supplica - che qui viene pubblicata per la prima volta - il religioso riconosceva ora che Pio IX "giustamente" lo aveva punito con la "meritata pena": e perciò, ora contrito, esprimeva il desiderio di non "morire così", senza essere riammesso al ministero sacerdotale. "La Santità Vostra, per pura bontà sua, ascolti la calda preghiera di perdono che fa a Vostra Santità un povero vecchio afflitto e pentito", diceva fra Giacomo. E concludeva: "Oh! Quale consolazione proverebbe [il supplicante] quando la Santità Vostra credesse di favorirlo di perdono colla concessione di amministrare i SSmi Sacramenti, come qualsiasi altro sacerdote!".
La riammissione, come apprendiamo da una relazione scritta dallo stesso interessato, fu concessa nei primi mesi del 1884, circa un anno prima della morte del francescano. Si concludeva così, con una riconciliazione, la vicenda terrena del confessore di Cavour.
(©L'Osservatore Romano - 29 settembre 2010)
Santità non vorrei morire così
Dall'Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede (Rev. Var. 1882, n. 49, f. 2-3) pubblichiamo la lettera scritta nel 1882 da fra Giacomo da Poirino a Papa Leone XIII
Beatissimo Padre
Fra' Giacomo da Poirino, dei Minori Riformati, al secolo Luigi Marocco, colla umiltà e colla ubbidienza alla S. Sede, che debbono essere in un figlio di s. Francesco di Assisi, si rivolge alla Santità Vostra. Il supplicante, già amministratore della parrocchia che è unita al convento dei Minori Riformati e che ha per titolo - La Madonna degli Angeli -, in Torino, nel dì 5 giugno 1861 fu chiamato dal Conte Camillo Benso di Cavour, gravemente infermo, allora suo parrocchiano.
L'illustre infermo fu confessato dal supplicante; e dall'attuale amministratore, fra' Teodoreto ricevette il SSmo Viatico.
Morto il detto Conte, il S. Padre Pio IX, di felice e santa memoria ordinò che si portasse a Roma e da lui il supplicante, il quale, prostrato ai piedi di Sua Santità, fu giustamente rimproverato perché non ebbe chiesto al Sig. Conte la ritrattazione dei mali da lui cagionati alla S. Madre Chiesa, e, a voce, giustamente privato della amministrazione della parrocchia e dei SSmi Sacramenti.
Il supplicante, con tutta la sottomissione dovuta al Vicario di Gesù Cristo, accettò la meritata pena e d'allora al presente piange il fallo commesso, procurando di dare buon esempio. Prima d'ora ha desiderato di rivolgersi a Vostra Santità per implorare la grazia di nuovamente amministrare i SSmi Sacramenti come qualsiasi altro sacerdote; ma non osò fare palese alla Santità Vostra il suo desiderio, pure volendo subire la pena con rassegnazione e con vera penitenza.
Adesso osa manifestare il desiderio suo perché non vorrebbe morire così e però supplica affinché la Santità Vostra, per pura bontà sua, ascolti la calda preghiera di perdono che fa a Vostra Santità un povero vecchio afflitto e pentito. Egli ha 74 anni compiti. Oh! Quale consolazione proverebbe quando la Santità Vostra credesse di favorirlo di perdono colla concessione di amministrare i SSmi Sacramenti, come qualsiasi altro sacerdote!
Il supplicante si mette pienamente nella mani di Vostra Santità, e, colla migliore disposizione di animo, accetta anche la ripulsa di questa sua domanda, poiché si riconosce indegno di benigna compassione.
Baciando i S. Piedi, desidera ancora che l'Apostolica benedizione lo sorregga nel vicino passaggio alla eterna vita.
(©L'Osservatore Romano - 29 settembre 2010)
Pio IX temeva false interpretazioni della vicenda
Dall'Archivio Segreto Vaticano (Epistulae ad Principes, 276, 1861, n. 234) pubblichiamo nell'originale in latino e nella traduzione italiana la lettera inviata l'8 agosto 1861 da Papa Pio IX all'arcivescovo di Torino Luigi Fransoni sui motivi dei provvedimenti presi per fra Giacomo da Poirino.
Venerabili Fratri Aloisio Archiepiscopo Taurinensi
Lugdunum in Gallia
Venerabilis Frater, salutem et apostolicam benedictionem. Cum per pubblicas ephemerides noverimus, Gustavum Marchionem da Cavour palam publiceque declarasse, nullam a defuncto germano suo frate Camillo retractationem factam vel ei iniunctam fuisse, Romam arcessendum curavimus Religiosum virum Jacobum a Poirino administratorem paroeciae Mariae Sanctae Angelorum qui eidem defuncto sanctissima sacramenta ministraverat.
Atque huismodi consilium cepimus ut idem Religiosus vir scandalum repararet scripto declarans, se contra Ecclesiae praescripta egisse cum Sacramenta contulerit quin ullo modo necessariam ab aegrotante exposceret, et obtineret retractationem ob gravissima damna Ecclesiae illata, et exinde orta pubblica scandala.
Verum cum memoratus Religiosus vir id peragere recusaverit idcirco illum a Sacramentorum administratione omnino interdicendum esse censuimus. Dum igitur de hac re Te, Venerabilis Frater, certiorem facimus, Tuae curae, et prudentiae erit commemoratae paroeciae procurationi contulere. Atque interim opportunum erit ut suscepti Nostri consilii rationem pro Tua prudentia manifestes ad falsas super hac re interpretationes et commentationes amovendas. Hanc vero occasionem libentissime amplectimur ut iterum testemur et confirmemus praecipuam Nostram in Te benevolentiam. Cuius quoque certissimum pignus esse volumus Apostolicam Benedictionem quam intimo cordis affectu Tibi ipsi, venerabilis Frater, et gregi Tuae curae commisso peramanter impertimus.
Al Venerabile Fratello Luigi, arcivescovo di Torino, presso la città di Lione, Francia
Salute e benedizione apostolica, Venerabile Fratello. Avendo appreso dai giornali che il Marchese Gustavo di Cavour ha apertamente e pubblicamente dichiarato che dal suo defunto fratello Camillo non fu fatta alcuna ritrattazione, né fu a lui richiesta, provvedemmo a far venire a Roma Giacomo da Poirino, Religioso, amministratore della Parrocchia di S. Maria degli Angeli, il quale aveva amministrato i santissimi sacramenti allo stesso defunto.
E prendemmo una decisione di questo tipo, che lo stesso Religioso ponesse rimedio allo scandalo dichiarando per iscritto di aver agito contro le norme della Chiesa, quando concesse i sacramenti senza richiedere in alcun modo e ottenere dal malato la necessaria ritrattazione per i gravissimi danni arrecati alla Chiesa e quindi per i pubblici scandali derivati.
In verità, poiché il summenzionato religioso si rifiutò di eseguire ciò, per tale ragione ritenemmo che egli dovesse essere assolutamente interdetto dall'amministrazione dei Sacramenti. Dunque, mentre di tale vicenda informiamo Te, Venerabile Fratello, sarà Tua cura e prudenza di provvedere all'amministrazione della summenzionata parrocchia. E, intanto, sarà opportuno che manifesti secondo la tua prudenza la ragione della decisione che abbiamo preso per rimuovere false interpretazioni e dicerie su tale vicenda.
Facciamo nostra volentieri questa occasione, per attestarti e confermarti di nuovo la Nostra particolare benevolenza nei tuoi riguardi. Di tale benevolenza vogliamo anche che sia certissima prova l'apostolica benedizione che comunico con affetto del cuore a Te stesso, Venerabile fratello, e impartiamo sentitamente al gregge affidato alla tua sollecitudine.
(©L'Osservatore Romano - 29 settembre 2010)