La Madonna galileiana. Nell’Immacolata affrescata dal Cigoli per papa Paolo V un anno dopo l’invenzione del cannocchiale c’è la prova che il primo sì della Chiesa alle osservazioni del padre della scienza fu immediato, di Filippo Piazza
Riprendiamo quasi integralmente sul nostro sito un articolo di Filippo Piazza apparso sulla rivista Tempi nel numero dell'8 gennaio 2009. Esso mostra come l'atteggiamento della chiesa verso la scienza al tempo del Galilei fosse più complesso delle semplificazioni a cui si pretende talvolta di ridurlo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (30/10/2010)
Galileo Galilei nasce nel 1564 a Pisa. Dieci anni più tardi, con i fratelli e il padre musicista, si trasferisce a Firenze, dove studia medicina. Ma si accorge che non è la sua strada e lascia il corso per dedicarsi alla sua vera passione: la matematica.
Dopo un tentativo fallito, nel 1589 ottiene la cattedra di matematica all’università di Pisa, proseguendo gli studi sul pendolo, sui corpi materiali e sul piano inclinato. In questi anni può garantirsi l’appoggio della famiglia del marchese Guidobaldo Del Monte, scienziato non dilettante, e di suo fratello il cardinale Francesco Maria, lo “scopritore” di Caravaggio.
La svolta s’impone nel 1609, quando dall’Olanda arriva uno strumento in grado di amplificare le potenzialità della vista: si chiama cannocchiale e nel 2009 ricorre il quarto centenario dall’invenzione. La sua capacità di ingrandimento viene in breve perfezionata da Galileo per guardare il cielo a distanze inimmaginabili.
Nel 1610 i sensazionali risultati dello scienziato sono raccolti e diffusi in latino e in volgare in un testo, il Sidereus Nuncius. Il trattato viene stampato – previa autorizzazione del tribunale dell’Inquisizione – con il corredo di numerose immagini. Gli argomenti sui quali verte sono la luna, la via lattea e le nebulose, le stelle fisse e quattro pianeti veduti ex novo e dedicati ai membri della famiglia Medici.
Nel 1611, a un anno di distanza dalla pubblicazione del Sidereus Nuncius, le scoperte astronomiche di Galileo ivi enunciate ottengono il favore del Collegio Romano. Sono presenti, fra gli altri, Maffeo Barberini, futuro papa Urbano VIII e Roberto Bellarmino, fine teologo e cardinale, canonizzato nel 1930 da Pio XI.
Bellarmino, morto prima del processo a Galileo, mantiene una posizione di apertura nei confronti delle tesi galileiane, consapevole del fatto che la scienza non è detto che intacchi la teologia. Afferma: «Dico che quando ci fusse vera demostrazione che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel terzo cielo, e che il sole non circonda la terra, ma la Terra circonda il Sole allora bisogneria andar con molta considerazione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e piuttosto dire che non l’intendiamo dire che sia falso quello che si dimostra».
È indubbio quindi che a poca distanza dall’enunciazione della teoria, le alte gerarchie della Chiesa non avversarono le novità galileiane, piuttosto ne delimitarono il campo all’ambito scientifico.
Che la Chiesa non si fosse schierata contro Galileo da subito, è stato sottolineato nel discorso tenuto da Giovanni Paolo II alla Pontificia Accademia delle Scienze nel 1992. E lo testimonia un’opera importantissima: un affresco nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Dimenticato, e non solo perché situato in una posizione elevata e poco visibile, l’affresco fa luce sulla vicenda di Galileo, della Chiesa e dell’arte della Controriforma.
Un insolito piedistallo
Nella cupola della Cappella Paolina in Santa Maria Maggiore il pittore toscano Ludovico Cardi, detto il Cigoli dal nome del luogo natio, artista tutt’altro che “minore” che a Roma aveva già dato prova di sé, rappresenta una Immacolata Concezione in modo tutt’altro che tradizionale.
La Madonna del Cigoli, infatti, si erge su una luna del tutto insolita. Non si tratta del “classico” crescente lunare, ma di una rappresentazione molto più naturalistica, frutto appunto delle osservazioni che Galileo aveva pubblicato nel Sidereus Nuncius: «In primo luogo diremo dell’emisfero della Luna che è volto verso di noi. Per maggior chiarezza divido l’emisfero in due parti, più chiara l’una, più scura l’altra: la più chiara sembra circondare e riempire tutto l’emisfero, la più scura invece offusca come nube la faccia stessa e la fa apparire cosparsa di macchie».
Proprio come le parole e i disegni di Galileo descrivono, Cigoli rappresenta la luna ai piedi della Vergine, con le macchie e una specie di nuvola sottostante che simula i vapori. La scoperta scientifica, quasi contemporaneamente alla sua diffusione, viene quindi adattata al campo della figurazione sacra. Siamo tra l’ottobre 1610 e il novembre del 1612, a un anno dall’invenzione del cannocchiale, poco dopo la scomparsa dei due pittori che avevano rivoluzionato il modo di rappresentare la realtà, Annibale Carracci e il Caravaggio.
[...] L’affresco in Santa Maria Maggiore fu realizzato per e con il consenso del papa Paolo V Borghese, nella cappella che doveva diventare il suo mausoleo [...].
È significativo ricordare il giudizio che diede dell’affresco uno degli uomini più colti di Roma, Federico Cesi, scienziato e fondatore dell’Accademia dei Lincei, in una lettera inviata a Galileo nel 1612. È un elogio sperticato all’affresco del Cigoli, il quale «come amico e leale» di Galileo, «sotto l’immagine della beata Vergine ha dipinto la Luna nel modo che da Vossignoria è stata scoperta, colla divisione merlata e le sue isolette».
L’Immacolata dipinta dal Cigoli non verrà mai cancellata o nascosta sotto altra pittura, con buona pace di coloro che vedrebbero certa arte di soggetto sacro imbrigliata nelle trame della censura.