Per Forcellino Raffaello è l’artista “più inutilizzabile dalla modernità”, ma un’interpretazione che ne esalti la sensualità lo rende invece “l’espressione più forte e trasgressiva della modernità”. Dell’uso ideologico della storia e dell’arte, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Raffaello e, più in generale, Roma e le sue basiliche. Cfr. anche La Lettera a Leone X di Raffaello e Baldassarre Castiglione nell’analisi di Salvatore Settis. “Modernità di Raffaello. Dalla Lettera a Leone X alla Costituzione italiana”. Una presentazione di Andrea Lonardo.
Il Centro culturale Gli scritti (10/11/2020)
Così scrive, in maniera scopertamente ideologica, Forcellino nel suo ultimo volume su Raffaello:
«È soprattutto un approccio laico alla storia del Rinascimento e alla storia dell’arte che riserva le maggiori sorprese quando si ripercorre con occhi nuovi la biografia dell’artista. Un approccio che non presuppone più come condizione necessaria della creatività e della perfezione la motivazione spirituale o filosofica, ma si limita a registrare la forza potentissima di un eros felice e di una vita pienamente appagata, radici della creatività di uno dei massimi artisti di tutti tempi. […]
In questo modo, proprio l’artista che sembrava inutilizzabile per la modernità, perché privo di tormento e inquietudine, diventa l’espressione più forte e trasgressiva della modernità, perché mette al centro della nostra osservazione il prodotto di una vita che supera ogni conflitto, che ricompone ogni tensione culturale, sociale ed erotica, che approda a una grazia naturale senza necessariamente presupporre l’ispirazione divina, e tutto grazie alla felicità del proprio appagamento sensuale»[1].
Forcellino è un grande e bravissimo restauratore. Questo non comporta che sia anche un interprete adeguato degli artisti di cui restaura i capolavori.
Forcellino ci ha abituato a libri pamphlet. Già prima del suo Raffaello aveva compiuto la stessa operazione ideologica con Michelangelo, dopo il restauro del Mosè (su cui cfr. Il Mosè di Michelangelo e la “tragedia della sepoltura”: la tomba di Giulio II e le sue vicende, dalla basilica di San Pietro in Vaticano a San Pietro in Vincoli, di Andrea Lonardo). Lì pretendeva che il Mosè, opera che attesta piuttosto l’amore del Buonarroti per Giulio II e per la dimensione autoritativa del Mosè e del papa, fosse invece immagine del richiamo alla libertà della grazia luterana a motivo di una falsa finestra che il volto del Mosè michelangiolesco avrebbe rimirato – ipotesi che cercò di diffondere facendo anche approntare un’illuminazione dell’opera che ripercorresse le luci del fluire del giorno a partire da quella finestra cieca!
Ebbene come nel “suo” Michelangelo anche nel “suo” Raffaello è l’ideologia a prendergli la mano, come lo stesso Forcellino dichiara apertamente nell’Introduzione al suo scritto.
Afferma, infatti, che Raffaello è «l’artista che sembrava inutilizzabile per la modernità, perché privo di tormento e inquietudine».
Forcellino coglie qui un aspetto decisivo dell’artista urbinate: il suo proporre la bellezza e l’armonia tipica della visione del suo tempo.
Raffaello ha sempre “turbato” la modernità, proprio perché essa cerca ossessivamente il marcio, lo sporco, la propaganda e l’utilizzo a scopi di potere dell’arte. Infatti, la modernità, come ha ben scritto Ricoeur, è stata abituata dai maestri del sospetto - Marx, Freud e Nietzsche – a “sospettare” di ogni espressione culturale, di ogni bellezza, di ogni verità, poiché dietro le apparenze si celerebbe sempre o una forma di lotta per il potere economico (Marx), oppure una trasposizione di conflitti sessuali (Freud), o ancora il tentativo di mascherare il nihilismo (Nietzsche) che sarebbe invece la verità del mondo.
Raffaello, invece, piace alle persone semplici che amano porre le sue Madonne nelle camere da letto o nelle sale da pranzo[2], proprio perché artista di una bellezza trionfante e rasserenante.
Forcellino dichiara apertamente che il suo tentativo di rilettura di Raffaello è volto a decostruire l’appartenenza di Raffaello ad una cultura che creda nella bellezza e in una bellezza che ha a che fare con la fede cristiana del Rinascimento. Forcellino dichiara di essere in cerca di una lettura “laica” che “approdi a una grazia naturale senza necessariamente presupporre l’ispirazione divina, e tutto grazie alla felicità del proprio appagamento sensuale”.
Ora tutto questo è legittimo, ma non ha niente a che fare con Raffaello che, invece, coglie l’armonia presente nel reale e nell’arte proprio per una convergenza di vero, bello e buono che traspare dall’intero Rinascimento e che è rappresentata nelle Stanze come in qualsivoglia sua Madonna, ma anche in ogni sua opera “profana”.
Su questo e su quanto segue, cfr. il documentario Raffaello, Roma e l’ideale del Rinascimento:
Nessuno può impedire a chicchessia di cercare «una grazia naturale senza necessariamente presupporre l’ispirazione divina, e tutto grazie alla felicità del proprio appagamento sensuale», ma questo non è Raffaello. La voluta ripetizione di queste parole forcelliniane nel nostro articolo intende invitare a cogliere l’ideologia attiva nel tentativo di presentare una presunta volontà di Raffaello di escludere un riferimento al divino e di esprimere solo appagamento sensuale.
Appare qui evidente come l’imposizione della propria visione ideologica ad un autore sia scopertamente dichiarata in Forcellino, come già nel suo Michelangelo.
Non resta che sorridere e godersi Raffaello che, come tanti artisti, conosceva il diletto delle cortigiane, ma cercava poi nell’opera sua di indicare qualcosa di più e di più grande.
Non dissimile dall’operazione del Forcellino è l’impostazione che è stata proposta nella recente mostra su Raffaello alle Scuderie del Quirinale[3]: essa ha cercato di presentare Raffaello come maestro del recupero del classico, legandolo a Leone X, e cercando di creare una frattura, invece, con Giulio II. La mostra, infatti, iniziava in maniera inusuale con l’ultimo periodo di Raffaello per giungere solo in conclusione e smorzando i toni al pontificato di Giulio II.
La lettera mai spedita di Raffaello e Baldassarre Castiglione[4] – passaggio chiave nell’intera mostra – veniva presentata nell’esposizione come un documento che incitava a rifiutare i pontificati precedenti per indicare in Leone X, il figlio di Lorenzo il Magnifico, una nuova maniera di intendere l’arte e la vota.
Tale lettera incompiuta, invece, non è tesa a screditare i pontefici, bensì è il primo documento in qualsivoglia popolo, etnia o epoca, nella quale un intellettuale chiede che siano conservate le antichità e lo chiede proprio ad un pontefice convinto di essere compreso, avendo già fatto esperienza dell’attenzione di Giulio II che aveva recuperato il Laocoonte e l’Apollo del Belvedere e avendo maturato la convinzione che Leone X intendesse proseguirne l’opera. La lettera sulle antichità di Raffaello è impensabile al di fuori dell’ambiente rinascimentale che allora si era creato alla corte pontificia romana: prima e unica nel suo genere nell’intera storia del pianeta e non semplicemente nella storia della Chiesa romana.
Il risultato che la mostra cercava indirettamente di ottenere, anche se inconsapevolmente, era così di mettere in ombra il fatto che Raffaello sia stato il grande artista di Giulio II, senza il quale non sarebbe mai giunto probabilmente nell’urbe, per creare una fittizia contrapposizione fra i due pontificati, trascurando il fatto che l’amore alle antichità classiche deve essere fatto risalire a Giulio II ben prima che a Leone X.
In uno dei volumi presentati per l’occasione nel bookshop della mostra, Raffaello veniva addirittura indicato come il padre del “laicismo”! L’assoluta mancanza di senso storico e di scientificità fa sorridere, ma è utile perché aiuta a comprendere quanto sia facile proporre prospettive ideologiche in storia dell’arte, poiché è à la page falsificare la ricerca storica e artistica.
Note al testo
[1] A. Forcellino, Raffaello. Una vita felice, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. XVII-XVIII.
[2] Cfr. su questo Raffaello e la divina armonia. Una finestra aperta sul rinascimento, di Marco Bona Castellotti.
[3] Cfr. ora il catalogo della mostra Raffaello 1520-1483, Milano, Skira, 2020.
[4] Su tale lettera, cfr. La Lettera di Raffaello a Leone X, di Andrea Lonardo, sullo studio di S. Settis presentato in brochure nel corso della mostra.