Paul Gauguin alla Tate Modern di Londra. L'esotico devoto, di Sandro Barbagallo
Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 26/9/2010 un articolo scritto da Sandro Barbagallo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (26/9/2010)
Dopo oltre cinquant'anni una grande mostra dedicata a Paul Gauguin sarà inaugurata il prossimo 30 settembre alla Tate Modern di Londra. Insieme al suo amico Vincent van Gogh, Gauguin è stato ed è tuttora uno dei pittori più amati sia dagli artisti che dal pubblico. Anche lui fa parte di una leggenda che si è naturalmente costruita sulla sua passione per il viaggio e le atmosfere esotiche della Polinesia.
Questa caratteristica da sola potrebbe fare di Gauguin un artista a se stante nella storia, ma non si può non riconoscergli capacità inventive e un talento pittorico fuori del comune che, a nostro giudizio, nulla hanno a che fare con l'Impressionismo propriamente detto.
È pur vero che l'Impressionismo inaugurava una stagione en plein air in cui non solo era importante la ricerca sul colore nelle sue trasformazioni alla luce del sole, ma anche il cambiamento del tema e del soggetto. Improvvisamente, infatti, non importava più dipingere allegorie, fatti storici o ambienti aristocratici, ma era molto più rilevante raccontare la vita quotidiana della piccola gente.
Ecco allora i balli all'aperto, le trattorie sotto le pergole, i fumosi bistrot olezzanti d'assenzio... Tutti temi accomunati dalla diffusione della fotografia che permette di dipingere non solo all'esterno, ma anche all'interno con scorci molto audaci e tagli inediti. Non a caso la prima mostra degli Impressionisti venne organizzata nel 1874 nello studio del fotografo Nadar.
Cosa interessa invece a Gauguin e in che cosa si distingue dalla corrente impressionista, alle cui mostre partecipò spesso? Non dimentichiamo che per un certo periodo lavorò fianco a fianco con van Gogh ed Émile Bernard e che, con questi artisti, ebbe un proficuo scambio di idee sulla concezione di una pittura nuova e spregiudicata rispetto ai canoni correnti.
Mentre l'Impressionismo scivolava nelle ricerche ottico-metafisiche del Pointillisme o nelle forme piatte e come ritagliate del Simbolismo, Gauguin guardava lontano. Chissà per quale ragione il suo cuore e la sua mente di pittore avevano bisogno di un mondo non civilizzato in cui l'essere umano potesse essere catturato nella sua nudità primordiale, senza sovrastrutture di censo e di moda. I suoi uomini e le sue donne sono descritti nel loro esotico habitat tropicale, in cui la pelle ambrata ha riverberi di bronzo e semplici vesti a fiori diventano straordinari motivi pittorici. Soggetti che nella loro semplice bellezza rendono ancor più ridicola l'assurda moda di fine Ottocento, tutta velette, busti e falpalà.
In ogni caso, per quanto riguarda la critica ufficiale, Gauguin viene inserito sotto l'etichetta del Cloisonnisme, lo stile cosiddetto sintetista in cui le forme sono piatte, il colore puro, gli effetti di luce, ombra e prospettiva ridotti al minimo. Naturalmente, anche se questa definizione banalizza la grandezza di Gauguin è però vero che egli aprì la strada all'Art Nouveau, proprio a causa della libertà decorativa delle sue composizioni. Al tempo stesso il suo gusto nell'accostamento dei colori violenti e contrastanti venne ripreso e fu una caratteristica del Fauvismo.
Per Gauguin infatti è da rilevare quanto il colore non sia mai realistico, ma pur avvalendosi delle suggestioni dell'atmosfera esotica, si trasfigura diventando altro. Quasi che la scoperta di quei rosa e di quei viola, di quei turchesi a contrasto con i verdi smeraldini della giungla, o con le opalescenze giallastre di un'alba, diventasse qualcosa di familiare per chi guarda.
Insomma, Gauguin è un pittore che educa a sognare sulla realtà. E come tutti i grandi disbosca la giungla dei pregiudizi accademici e segna, forse involontariamente, la strada a quelli che verranno.
La mostra di Londra è intitolata "Gauguin: Maker of Myth" (oltre cento opere, provenienti da collezioni pubbliche e private, esposte fino al 16 gennaio 2011). Secondo i curatori, il mito di cui si parla nel titolo non è - come sarebbe ovvio credere - legato alle leggende e alle tradizioni delle popolazioni polinesiane che lui ha dipinto, bensì con inutile perfidia si attribuisce all'egotismo dell'artista.
D'altra parte di Gauguin si diceva che fosse stato un florido banchiere, che a quarant'anni avesse abbandonato la professione, la moglie e cinque figli per amore dell'avventura e della pittura. Studiando invece attentamente la sua biografia, si scopre che fece moltissimi lavori, in certi casi anche molto umili, e che tra questi solo casualmente ci fu anche quello di agente di borsa.
Paul Gauguin nasce dunque a Parigi il 7 giugno del 1848 da Clovis, redattore del giornale repubblicano "Le National", e Aline Chazal, figlia di un noto incisore e della scrittrice peruviana Flora Tristán, proto-femminista dalle idee socialiste.
La famiglia, un anno dopo la sua nascita, è costretta a lasciare la Francia per ragioni politiche e s'imbarca per il Perú, dove vive uno zio di Aline. Durante il viaggio però il padre muore. Vivono a Lima fino alla morte del nonno paterno, avvenuta nel 1855. Divenuti suoi eredi, fanno ritorno in Francia, ad Orléans, dove Paul studia al Petit-Séminaire dal 1859 al 1865.
Non avendo superato l'esame alla scuola navale, s'imbarca come allievo pilota in un mercantile che viaggia da Le Havre a Rio de Janeiro. Dopo la morte della madre, avvenuta nel 1867, si arruola nella marina militare partecipando anche alla guerra franco-prussiana.
Nel 1871 Gauguin si stabilisce a Parigi dove s'impiega nell'agenzia di cambio Bertin e dove casualmente conosce il pittore Émile Schuffenecker. In questo periodo inizia a dipingere da autodidatta ed è ospite del collezionista d'arte Gustave Arosa, tutore della sua proprietà di Saint-Cloud.
Nel 1873 sposa a Parigi con rito luterano, Mette Sophie Gad, cittadina danese da cui avrà cinque figli, due dei quali seguiranno la carriera artistica.
Nel 1874 si iscrive all'Accademia Colarossi e fa amicizia col pittore Camille Pissarro. Appassionato d'arte, compra tele di pittori impressionisti e nel 1879 partecipa con una scultura alla quarta mostra impressionista. Anche se è consapevole che la pittura impressionista non ha niente a che fare col suo temperamento, partecipa spesso alle sue rassegne.
Nel 1883 una crisi economica attraversa l'Europa e Gauguin viene licenziato dall'agenzia Bertin. Per fronteggiare la precaria situazione della famiglia, manda la moglie e i figli a Copenaghen, dove li raggiunge l'anno seguente avendo trovato un lavoro di rappresentante. La soluzione però si rivela inadeguata e nel 1885 Paul torna a Parigi con il figlioletto di sei anni Clovis. Essendo privo di mezzi sopravvive vendendo qualche quadro della sua collezione. Quando il figlio si ammala Paul decide di fare l'attacchino per cinque franchi al giorno, ottenendo al tempo stesso un piccolo impiego amministrativo. Non riuscendo però a pagare la pensione cambia spesso alloggio, fino a che trova ospitalità dal pittore Schuffenecker. Intanto non trascura la pittura e continua a partecipare alle mostre degli impressionisti.
Conosce Theo van Gogh, che dirige una galleria d'arte, e suo fratello Vincent, che gli diventa amico.
Nel 1887, dopo aver rimandato il figlio a Copenaghen, parte per l'America con il pittore Charles Laval. A Panama, dove stanno costruendo il canale, si guadagna da vivere come sterratore. Nell'estate approda alla Martinica, dove riesce a dipingere una ventina di tele finché, rimasto senza denaro, trova un ingaggio come marinaio su una nave in partenza per la Francia. Torna a Parigi nuovamente ospite dell'amico Schuffenecker e Theo van Gogh gli organizza una mostra nella sua galleria con le tele della Martinica. Tele che dimostrano chiaramente il definitivo distacco del pittore dall'Impressionismo.
Nel febbraio del 1888 riparte per Pont-Aven, in Bretagna. Il villaggio bretone d'estate diventava meta di molti pittori e Gauguin vi stringe amicizia con il giovanissimo Émile Bernard. Intanto stipula un contratto con Theo van Gogh garantendosi uno stipendio di 150 franchi mensili in cambio di un quadro al mese. Il gallerista inoltre lo sprona a raggiungere il fratello Vincent ad Arles perché dipingano insieme. È così che il 29 ottobre del 1888 Paul arriva in Provenza, da dove ripartirà il 24 dicembre, poiché Vincent mostra segni di squilibrio mentale.
Per oltre due anni vive tra Parigi e la Bretagna. L'idea di ripartire non lo abbandona, ma non sa se andare in Tonchino o nel Madagascar. Infine decide per la Polinesia. Per realizzare il suo intento organizza un'asta dei suoi dipinti, tenuta a Parigi il 23 febbraio 1891, che gli frutta più di 9.000 franchi. Ottiene dal ministro francese delle Belle arti, Rouvier, anche il riconoscimento di "missione gratuita" per il suo viaggio. Per festeggiarlo offre un pranzo di saluto agli amici artisti il 23 marzo 1891 al Café Voltaire di Parigi. Mentre Renoir, che aveva appreso della partenza di Gauguin, commentava sarcastico: "Si può dipingere anche alle Batignolles".
Gauguin salpa da Marsiglia il 24 aprile e sbarca a Papeete il 28 giugno successivo. A Tahiti, annessa alla Francia nel 1880, si conduceva ormai uno stile di vita europeo grazie allo sviluppo del commercio e all'introduzione del cattolicesimo. Non trovando quindi nella capitale le autentiche espressioni della civiltà maori, pochi mesi dopo si stabilisce in una capanna davanti all'Oceano nel villaggio di Mataiea.
Due anni dopo, terminato il denaro, riceve dalla moglie 700 franchi per saldare i debiti e pagarsi il viaggio di ritorno in Francia, dove sbarca il 3 agosto a Marsiglia. A Parigi lo soccorre l'eredità di 9.000 franchi di uno zio con cui può affittare uno studio arredato. Tiene una mostra nella Galleria Durand-Ruel, e a dicembre visita per l'ultima volta la famiglia a Copenaghen. Gauguin non era infatti tornato in Francia per rimanervi. Organizzata una nuova vendita delle sue tele, col modesto ricavo s'imbarca nuovamente il 3 luglio 1895 a Marsiglia per la Polinesia.
Raggiunta Papeete l'8 settembre, si trasferisce nel villaggio di Paunaania, dove affitta un terreno nel quale, con l'aiuto degli indigeni, si costruisce una capanna. Scopre di avere la sifilide e viene ricoverato in ospedale. Appena dimesso inizia a scrivere L'Église catholique et les temps modernes, un pamphlet contro il cattolicesimo, che accusa di aver tradito lo spirito originario del cristianesimo.
Intanto ottiene un prestito di 1.000 franchi dalla Cassa agricola di Tahiti per costruirsi una casa, ma la malattia e i debiti, lo spingono al suicidio. Decide di avvelenarsi con l'arsenico, ma si salva perché il suo stomaco non lo trattiene. Si trasferisce quindi a Papeete dove, per sei franchi al giorno, ottiene un impiego di scrivano al ministero dei Lavori pubblici. Estinto il debito con la banca, lascia l'impiego e comincia a pubblicare articoli e vignette contro l'amministrazione coloniale francese sul settimanale satirico "Les guëpes", denunciando l'oppressione degli indigeni.
Durante tutto il 1900 non dipinge nessuna tela ma, nonostante la salute malferma, vende la sua casa e va a Hiva Oa, una delle Isole Marchesi. Nel villaggio di Atuana, compra dal vescovo Martin un appezzamento di terra e fa costruire una nuova casa, che chiama Maison du jouir, dove muore l'8 maggio del 1903.
Il vescovo Martin, purtroppo, distrusse alcune opere che considerava blasfeme e oscene. Ciononostante permise che la salma venisse sepolta nel cimitero della chiesa della missione, ma senza un nome. La tomba fu ritrovata vent'anni dopo e venne contrassegnata da una semplice lapide: "Paul Gauguin 1903".
Ancora una volta una mostra come quella di Londra ci permette di riflettere sulla vita di un pittore, per così dire maledetto, perché vittima sacrificale della propria passione per l'arte.
Non a caso fra i quadri esposti c'è anche La visione dopo il Sermone (1888). L'autore considerava questa tela una metafora della lotta spirituale di un artista, tant'è che rappresenta alcune donne bretoni che pregano su un campo rosso in cui Giacobbe lotta con un angelo, mentre il prete raffigurato a destra è un autoritratto. L'interpretazione di quest'opera risulta certamente misteriosa e ambigua, ma a noi piace pensare che si trattasse più di una meditazione religiosa, che di un insidioso attacco alla superstizione, poiché Gauguin cercò invano di donarlo a due chiese di Pont-Aven.
La visione è esposta per la prima volta accanto ad altre tre opere realizzate nel 1889, quando fece ritorno in Bretagna: Il Cristo giallo, Il Cristo verde e Autoritratto come Cristo nel Giardino degli Ulivi.
Gauguin non amava parlare degli studi teologici della sua giovinezza al Petit-Séminaire de la Chapelle-Saint-Mesmin, nei pressi di Orléans. Dall'età di undici anni, infatti, oltre alle altre materie, studiò Liturgia, insegnata dal vescovo di Orléans, Félix-Antoine-Philibert Dupanloup.
Insegnante carismatico, Dupanloup aveva concepito nuovi metodi per trasmettere la fede ai giovani, sviluppando nei suoi allievi poteri di concentrazione interiore sulle verità ultraterrene attraverso il "racconto spirituale". Alla base del suo insegnamento c'erano tre domande: Da dove viene l'umanità? Dove sta andando? Come procede? Era certo che una volta assorbite dalla mente dei giovani, queste domande non si sarebbero più cancellate.
E Gauguin, che fu sempre un caustico anticlericale, verso la fine della sua vita dipinse sulla iuta un quadro enorme: Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? (1897). Una sorta di opera-testamento, perché l'artista continuò sempre a credere che dalle parabole di Cristo si potessero ricavare verità profonde.
Ma la rassegna londinese è importante anche perché illustra l'opera di Gauguin nel suo periodo francese che ne fa un capofila della Scuola di Pont-Aven e dimostra che la sua pittura non fu soltanto legata al folklore esotico di Tahiti, come invece l'immaginario collettivo continua a credere.
Una sala della mostra è inoltre dedicata agli autoritratti. Importanti per l'autodafé che il pittore riesce a compiere attraverso l'impietosa descrizione dei propri lineamenti aggrediti dal tempo e dalla malattia.
(©L'Osservatore Romano - 26 settembre 2010)