A piedi nudi (e sporchi) nella tela. Caravaggio per le chiese romane. Una chiave di lettura a partire dai nuovi studi, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 21 /07 /2020 - 22:45 pm | Permalink | Homepage
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo sul nostro sito da L’Osservatore Romano un articolo di Andrea Lonardo pubblicato il 17/7/2020. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Caravaggio.

Il Centro culturale Gli scritti (21/7/2020)

Nella Madonna di Loreto la creatività iconografica del Merisi è evidente. La Madonna che era sempre stata dipinta in volo sulla Santa Casa, trasportata dagli angeli da Betlemme a Loreto, ora è rappresentata nel momento in cui atterra dinanzi ai due pellegrini appena giunti. I piedi sporchi degli anziani sono in primo, ma ecco i piedi, altrettanto nudi, ma pulitissimi, della Vergine che appare alla porta della Santa Casa, mentre discende dal cielo, apposta per loro.

Mai le antiche fonti caravaggesche parlano del volto di Maria alla maniera del gossip sensazionalistico inventato dalla critica dilettantistica, quasi che il problema fosse la modella utilizzata per quel volto. No! Ciò che fece parlare di sé era il sudiciume dei due pellegrini al cospetto della assoluta bellezza della Vergine e del suo Figlio che non hanno remore a presentarsi a loro.

Pupillo ha recentemente messo in luce come Ermes Cavalletti, colui che commissionò l’opera, aveva partecipato subito prima al pellegrinaggio a Loreto organizzato dalla Confraternita dei Pellegrini, con 300 partecipanti: come era usanza essi si scalzarono giunti al recinto della Santa Casa e compirono a piedi nudi, proprio come i due rappresentati dal Merisi, l’ultimo tratto di cammino.

Tutto è nuovo nell’opera, perché il Merisi riesce ad esprimere in maniera originalissima l’evento. Ma l’oggettivo perenne della fede cattolica è lì: la Vergine con il suo Bambino, il pellegrinaggio ai luoghi della fede, l’inginocchiarsi, la grazia divina che non teme di incontrare il luridume dell’uomo.

Anche nella Madonna del serpe la novità iconografica balza agli occhi. Il Bambino è vero uomo, con le sue pudenda in primissima vista. La tela dei Parafrenieri venne commissionata dalla Confraternita che era incaricata della preparazione del cavallo per le processioni del pontefice. Sant’Anna era la loro patrona, ma la madre della Madonna appartiene ancora all’Antico testamento ed è pertanto rappresentata a lato e non in piena luce, mentre è la Vergine con il suo Figlio ad essere illuminata.

Maria e Gesù calpestano il serpente, cioè il diavolo e il suo peccato: è la vittoria sul peccato originale che avviene a motivo del Bambino, ma tocca anche la Madre, che è, nella tela del Caravaggio, rappresentata come l’Immacolata Concezione. Nella Chiesa cattolica di allora il papa aveva chiesto di sospendere la discussione sulle modalità con cui Maria era stata preservata dal peccato originale, ma non aveva impedito di rappresentare Maria senza peccato, poiché, nella temperie controriformista, forte era il desiderio di riaffermare il ruolo unico della Vergine.

Gli studi recenti mostrano come l’opera non potè permanere in San Pietro perché venne tolta ai Parafrenieri la Cappella per la quale essi l’avevano commissionata. Proprio in quegli anni, infatti, Paolo V Borghese decise l’abbattimento della navata costantiniana che era ancora in piedi: due corpi architettonici di età differente convivevano allora in un ibrido che è oggi difficile immaginare. Nel progetto della nuova navata del Maderno non ci fu più posto per la Cappella dei Parafrenieri che, quindi, nel 1605 dovettero rinunciarvi.

Il papa prese la storica decisione di abbattere quel manufatto, che era in piedi dai tempi di Costantino, e la tela del Merisi non fu che un particolare dell’enorme evento che vide quella trasformazione colossale. Pochi si accorgono, far l’altro, che Maderno, barocco, era più anziano del Merisi e che la tela venne realizzata mentre prendeva forma l’idea della navata barocca.

La Morte della Vergine è così l’unico quadro mariano del Merisi che venne rifiutato, anzi l’unico rifiutato fra tutte le sue opere per le chiese romane.

Lo dipinse per la chiesa carmelitana di Santa Maria della Scala, ma l’opera fu giudicata troppo “spropositata di lascivia e di decoro”. Si noti bene: l’accusa non è di eresia. Anzi il Merisi sottolineò la santità della Vergine illuminando il suo corpo di luce, mostrandola con il segno della sua gravidanza benedetta e alludendo al suo essere assunta in cielo con il panno rosso che “spalanca” in alto il dipinto.

Ma l’immagine apparve troppo cruda rappresentata in quella guisa, con Maria su di un tavolo da obitorio.

Il Merisi aveva spinto ancora una volta all’estremo il suo desiderio di toccare le corde del cuore dei romani, ma anche qui non si era allontanato dal dogma cattolico. In nessuna delle fonti antiche si trova la benché minima menzione che egli fosse sospettato di eresia. Anzi i registri della parrocchia di San Nicola dei Prefetti recano l’indicazione che egli si confessò e comunicò per Pasqua, come gli archivi dell’Accademia dei Virtuosi ricordano la sua partecipazione all’adorazione eucaristica delle Quarant’Ore, probabilmente per la festa della Madonna di San Luca.

La recente mostra I bassifondi del barocco ha mostrato ampiamente come moltissimi dei pittori dell’epoca fossero tutti di costumi non integerrimi, ricordando come il Cavalier d’Arpino fu accusato per aver attentato alla vita del Pomarancio e gli vennero trovate in casa due “pistole prohibite”, mentre Giovanni Baglione ebbe una figlia da una cortigiana e Annibale Carracci morì forse per “eccessi” amorosi e addirittura Artemisia Gentileschi venne stuprata da un pittore amico del padre, il Tassi. D’altro canto, i famosi sonetti volgari contro il Baglione furono diffusi dal Gentileschi, dal Longhi e dal Trisegni.

Le fonti smentiscono la visione di un Caravaggio moralmente o teologicamente difforme dai suoi contemporanei: quello che evidenziano, invece, è che bisogna modificare idea sulla Roma controriformista poiché essa era, in realtà, molto più variegata rispetto all’immaginario moderno. Certo è che tutti i pittori dell’epoca erano in lotta fra di loro, con mezzi leciti e illeciti, non perché sostenitori di diverse visioni religiose, bensì per vincere la concorrenza ed emergere come i migliori.

Eppure li ritroviamo tutti insieme a lavorare come nella Chiesa Nuova, voluta da San Filippo Neri, nelle forme che ancora conserva. A Caravaggio venne assegnata la Deposizione ed egli dipinse il Cristo, scolpito dalla luce: mentre a destra una pianta ricorda la sua morte reale, a sinistra il sudario tocca una pianta viva, rigogliosa ad indicare, insieme alla luce che illumina il corpo del Signore, la verità della resurrezione. La lastra tombale, probabilmente, allude invece alla mensa d’altare che è subito sotto, come appare evidente da una visione dell’opera nel suo contesto originario, ad indicare che quella vittoria è ora presente nella celebrazione eucaristica.

Caravaggio dipinse la Deposizione nella serie dei “misteri” di Cristo che i discepoli di San Filippo Neri affidarono al Barocci, al Cavalier d’Arpino, al Pulzone e agli altri. Caravaggio e gli altri pittori dell’epoca Insieme pregavano nell’Accademia di San Luca, insieme duellavano, ma anche insieme dipingevano. La critica isola il Merisi dal suo contesto, mentre le sue opere ve lo collocano appieno, poiché essi erano un gruppo coeso e collaborativo.

Fra l’altro proprio la Chiesa Nuova, con la sua maestosità, ci ricorda quanto sia poco scientifico il preteso  pauperismo che Caravaggio avrebbe respirato da San Filippo Neri, poiché anzi il santo escluse il voto di povertà dai suoi, proprio perché potessero possedere ai fini della predicazione: i piedi nudi di Cristo e dei santi in Caravaggio sono, invece, il tipico del modo di rappresentare all’epoca i personaggi del Nuovo Testamento.

Ciò appare evidente dalla Vocazione di San Matteo dove, mentre Matteo-Levi e i gabellieri sono vestiti con abiti seicenteschi, Gesù e Pietro, sulla destra, li incontrano a piedi nudi. L’opera vuole destare meraviglia per il fatto che Cristo, vissuto secoli prima, abbia la potenza di chiamare anche oggi i suoi.

Anche in quella tela l’innovazione del Merisi è sconvolgente se solo la si raffronta con l’affresco del Cavalier d’Arpino in alto, nella volta della Cappella. Lì si apre una porta e la luce simbolica, che è al contempo naturale, tocca il capo del figlio del re, che viene resuscitato da san Matteo. Nella Vocazione, Caravaggio rovescia i campi del chiaro e dello scuro e la luce perde ogni connotato realistico, divenendo solo simbolica. Già nella Maddalena penitente, Caravaggio aveva sperimentato l’intromissione della luce nel buio dello sfondo ad indicare il sopraggiungere della grazia: questo contrasto di chiaro e scuro diverrà la sua cifra pittorica più evidente

La Vocazione è accompagnata dal Martirio dell’apostolo, la prima opera del Merisi per una chiesa. È una tela di soggetto catecumenale: Matteo ha appena celebrato la messa con i neo-battezzati ed indossa le vesti di un prete tridentino, con la pianeta, mentre un chierichetto fugge per l’orrore. L’altare in alto ha ancora una candela accesa, mentre uno dei due battezzati ha la gamba che pende nella vasca battesimale.

La pala d’altare con il San Matteo e l’angelo venne commissionata al Merisi dopo il rifiuto della statua del Cobaert – il vero rifiuto della Cappella Contarelli.

La prima versione non poteva essere l’originale, perché troppo piccola e assolutamente inadatta a reggere il confronto con le due tele laterali. La si può immaginare come un bozzetto che portò il Merisi alla tela definitiva, quella sì veramente bella e degna con l’angelo magnifico che gli ricorda, contando con le dita, la genealogia di Gesù: “Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe…”. Matteo è sempre a piedi nudi, ma quanto più caravaggesco è il definitivo rispetto alla debole prima versione!

Si parla, pertanto, a torto di un rifiuto, mentre si dovrebbe insistere sul fatto che la Contarelli rappresenta piuttosto la consacrazione del Merisi e della sua fama.

Anche nel caso della Cappella Cerasi vale lo stesso discorso. Mancano i dati e una cronologia precisa, a motivo della scarsezza delle fonti, per comprendere esattamente perché si passò dalla prima alla seconda versione delle opere, ma quel che è certo è che, mentre la prima Conversione di San Paolo è ancora manierista, è la definitiva ad essere pienamente caravaggesca, con l’isolamento delle figure e la piena valorizzazione della luce: san Paolo, cadendo da cavallo, fuoriesce dalla tela e quasi cade, cieco, nelle braccia del visitatore.

Il Merisi, dialogando con l’Assunta del Carracci che è al centro, ripete l’iconografia che Michelangelo Buonarroti aveva escogitato per la Cappella Paolina – segno evidente che era talmente accetto in Vaticano da poter accedere alla Cappella del papa per studiarne le opere.

In particolare, è straordinario – sono le conclusioni delle ricerche di chi scrive questo articolo - che il Merisi abbia ripreso dal Buonarroti la torsione del volto di Pietro che, prima di morire, si volge non a guardare chi entra nella Cappella, quanto nella direzione opposta, verso il Tabernacolo e l’altare della celebrazione, a contemplare per l’ultima volta in terra quel Cristo per il quale sta offrendo la vita.

Nel 1610 Caravaggio stava tornando a Roma, poiché sentiva la Roma controriformista, quella dei papi, come la città in cui meglio avrebbe potuto esprimere se stesso. Il papa e i cardinali – e, in particolare, il cardinal Borghese – tutto avevano fatto per rendere possibile il suo ritorno. La sorte volle, invece, che non ci fosse un secondo periodo romano del Merisi che avrebbe riempito gli occhi e il cuore di nuove sue tele nelle chiese.