1/ La metamorfosi protestante in America Latina, di Alver Metalli 2/ Gli evangelici e il potere in America Latina. «Sono venuti per rimanere, sono rimasti per crescere, sono cresciuti per conquistare». La scorciatoia dell’impegno politico diretto, di Alver Metalli 3/ Accenni di “riconquista cattolica” in America Latina, il caso argentino. Nei settori più poveri, quelli delle “Villas miserias”, la Chiesa recupera terreno, e gli evangelici non sembrano crescere, di Alver Metalli
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1/ La metamorfosi protestante in America Latina. Prima puntata di un’inchiesta sui settori sempre più vasti del movimento pentecostale che, impegnati direttamente in politica, spostano gli equilibri di potere nei Paesi del continente, di Alver Metalli
Riprendiamo un articolo di Alver Metalli da La Stampa del 12/2/2019. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Protestantesimo e Laicità.
Il Centro culturale Gli scritti (10/9/2019)
La tornata elettorale del 2018 in Costa Rica, Brasile, Messico, Paraguay, Colombia e Venezuela ha registrato l’irruzione di un protagonista nuovo sugli scenari politici dell’America Latina, quella del movimento evangelico di matrice pentecostale. È una tendenza che vedremo sicuramente confermata anche nel 2019, nelle elezioni presidenziali di altri sei Paesi latinoamericani che andranno al voto tra febbraio e ottobre: Argentina, Bolivia, El Salvador, Guatemala, Panamá e Uruguay. In tutti la presenza evangelica pentecostale è ascendente e numerosi leader religiosi di queste chiese hanno già messo le carte sul tavolo annunciando l’impegno politico diretto. Altri filamenti della galassia religiosa neo-protestante fiancheggiano in forma sempre più ravvicinata il perimetro del potere politico statuale, dove selezionano candidati considerati affidabili nei principi su cui convergere in massa, o lanciano nell’arena della competizione elettorale pastori delle loro molteplici denominazioni tra i più popolari nel seguito pentecostale.
La tradizionale tendenza astensionista delle chiese protestanti in America Latina degli anni ’70 e ’80 è oramai alle spalle, sostituita ovunque da un protagonismo che assomiglia a quello cattolico di mezzo secolo fa, anche se di segno differente per ciò che riguarda gli approdi politici favoriti, che per lo più vanno a partiti e politici di destra come insegna il caso del Brasile del presidente Bolsonaro. Al punto che il mondialmente conosciuto teologo Jean-Pierre Bastian, docente della Facoltà di teologia protestante dell’università Marc Bloch di Strasburgo, può sostenere la provocatoria tesi che in realtà «i movimenti protestanti popolari – soprattutto quelli pentecostali – rappresentano oggi più la continuità di una forte tradizione popolare cattolica che un fenomeno propriamente protestante» e che «i movimenti protestanti si sono latinoamericanizzati al punto da assimilare la cultura religiosa del cattolicesimo». Si è insomma passati da una posizione di evasione dal mondo, ad una di segno opposto, volta a trarre profitto politico dal capitale religioso, senza passare per una riflessione teologica che accompagni e orienti un cambiamento di questa portata.
Entrando più addentro nelle varie fasi del processo di metamorfosi consumato dal movimento protestante evangelico negli ultimi anni si osserva che l’impegno politico pentecostale tende a declinarsi secondo tre modalità principali: la conformazione di un partito evangelico in quanto tale, integrato prevalentemente da «fratelli di fede», la formazione di un fronte evangelico che accoglie anche persone e movimenti non riconducibili all’evangelismo, ed infine la cosiddetta fazione evangelica, con movimenti o leader evangelici che stabiliscono alleanze elettorali finalizzate al raggiungimento dell’elezione ad una carica pubblica.
La prima variante, quella del partito evangelico, non ha dato ancora i risultati attesi, la seconda, quella del fronte evangelico, ha permesso la convergenza con altri settori politici non evangelici su questioni e battaglie puntuali, per promuovere (Cuba, Costa Rica, El Salvador, Brasile) o frenare (Argentina, Colombia) progetti che attentano a valori morali considerati fondamentali dagli evangelici, la terza variante, la fazione evangelica, ha portato in Parlamento, al governo e finanche alla presidenza della repubblica uomini di fede evangelica conclamata.
Il caso della Colombia ha un valore fortemente esemplificativo. È notorio che in occasione del referendum dell’ottobre 2016 sugli accordi di pace sottoscritti tra il governo dell’allora presidente Juan Manuel Santos e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) per mettere fine a mezzo secolo di conflitto armato, il voto evangelico ha sensibilmente condizionato un risultato che i sondaggi della vigilia davano a favore del fronte favorevole agli accordi. Analisi posteriori alle elezioni hanno determinato che in termini elettorali almeno due dei sei milioni di voti che ottenne il “No” agli accordi con la guerriglia provenivano da elettori di fede evangelica o da essi direttamente mobilitati e che tale forza di sbarramento ha praticamente deciso le sorti del plebiscito.
In Cile, dove la presenza evangelica ha radici remote che risalgono alla chiesa Metodista Pentecostale nel 1910, e ramificazioni nella maggioranza delle istituzioni dello stato, carceri e gendarmeria tra le altre, nel 2000 venne sottoscritto un accordo che poneva l’evangelismo nazionale allo stesso livello del cattolicesimo. Non sorprende, pertanto, che i candidati alla presidenza – e la stessa ex-presidente Michelle Bachelet – abbiano fatto appello ai voti degli evangelici e abbiano tenuto conto delle loro istanze nei programmi presentati agli elettori.
Il caso della Bolivia è analogo, con il governo di Evo Morales che sta discutendo in queste settimane una nuova legge sulla libertà religiosa che equipara le chiese protestanti a quella cattolica. In cambio la rappresentanza evangelica che negozia l’accordo ha assicurato l'indipendenza politica nelle elezioni presidenziali di ottobre. Una astensione che a ben vedere è un modo anch’essa per far pressione sul governo.
In Brasile, il Paese con la popolazione pentecostale più numerosa del mondo, i politici che possono essere considerati una espressione diretta della variegata galassia evangelico-pentecostale hanno dato vita ad un Fronte parlamentare composto da 92 deputati – erano 36 nel 2006 – appartenenti a 14 partiti differenti; il numero si amplia a 189 se si includono nel computo i parlamentari che si allineano con il blocco evangelico su temi sensibili ai primi. Basti ricordare che i voti del fronte evangelico sono stati di notevole importanza – determinanti secondo alcuni analisti politici – per l’impeachment della ex presidente Dilma Rousseff, l’approvazione di talune leggi durante il governo di Michel Temer e l’elezione di Bolsonaro alla presidenza contro ogni pronostico. Non manca chi fa notare che la presenza degli evangelici brasiliani è ancora sottorappresentata ai massimi livelli politici a partire dalla semplice considerazione statistica che essi rappresentano il 30% della popolazione del Paese a fronte di una rappresentanza parlamentare del 15%.
A poco più di cinque secoli dalla Riforma (1517) e a poco più di un secolo dal Congresso di Panama (1916) che per i protestanti segna l’inizio formale del movimento evangelico latino-americano, la politicizzazione del pentecostalismo può dirsi consumata. «La politica è una realtà da cui non si può fuggire», afferma lo studioso metodista di nazionalità paraguayana Pablo Alberto Deiros, membro della Società Biblica Internazionale, e gli evangelici hanno finito con il buttarvisi a capofitto.
Prima di chiedersi le ragioni della loro metamorfosi occorre prendere coscienza di quale sia storicamente il momento in cui la crisalide ha cominciato a trasformarsi in farfalla. Diversi studi convergono nell’indicare gli anni ‘70 come il punto di rottura della stabilità religiosa nel continente latinoamericano. Tra il 1910 al 1950, ad eccezione del Cile e di Porto Rico, il declino cattolico in America Latina era appena percettibile e l’ascesa evangelica altrettanto sotto tono. Quattro secoli e mezzo di cattolicesimo erano appena scalfiti da flessioni che le prime statistiche registravano in meno di due punti percentuali. L’assetto religioso del continente, almeno in superficie, era ancora un mare appena increspato da piccole onde. Negli anni posteriori al celebre 1968 europeo, che in America Latina impatterà qualche anno dopo, inizia una marcata dispersione cattolica che l’istituto di ricerche Latinobarometro fa oscillare tra 47 punti percentuali di perdita in Honduras a 5 punti di flessione in Paraguay.
La partecipazione degli evangelici alla politica dei partiti latino-americani si inaugura a pelle di leopardo in diversi punti del continente negli anni ‘70, si estende lungo la prima metà degli anni ’80 e si generalizza dal ’90 ai nostri giorni. Con momenti propulsivi di grande importanza, come quello della “Consulta Teología y práctica del poder” svoltasi nel 1983 nella Repubblica Dominicana, o l’incontro nazionale di leader pentecostali nel 1985 in Brasile, che si chiuse con la decisione di presentare candidati in tutti gli stati dove ciò fosse possibile all’insegna della parola d’ordine che «il fratello vota per il fratello».
Nasce in Colombia il primo partito politico evangelico nel 1989, e l’anno seguente presenta già un candidato alla presidenza; in Perù, dopo alcuni timidi tentativi nel 1980 e 1985, gli evangelici entrano con forza sullo scenario politico. In Brasile la grande irruzione evangelica inizia con le elezioni dell'Assemblea Costituente di 1986, mettendo fine a una sorta di autoesclusione dalla politica partitica. La prima incursione politica di successo in Guatemala sarà l’elezione dell’ingegnere Jorge Serrano Elías che governerà il Guatemala dal 1991 al 1993, primo evangelico a raggiungere un tale traguardo.
Per i nuovi protestanti il mondo non è più una sorta di sala d’attesa dove ci si prepara alla trasformazione finale ma il luogo della battaglia per la conquista delle nazioni al nome di Dio. Sempre più numerosi, pensatori e leader evangelici pentecostali e neo-pentecostali spodestano i vecchi pastori e li soppiantano alla guida di legioni sempre più numerose di fervorosi credenti educati al nuovo verbo di una teologia che esalta la prosperità come premio divino.
Un autore influente nella teologia latino-americana evangelica, l’argentino di fede metodista José Miguez Bonino, osserva che «molti degli evangelici che entrano la politica non sono membri delle denominazioni tradizionali ma provengono da gruppi per i quali il mondo politico era sempre stato sospetto, sconveniente per un vero credente e finanche diabolico». Questi nuovi evangelici «mirano a creare partiti politici confessionali che siano “il braccio secolare” delle loro chiese e meri strumenti di evangelizzazione, come la Chiesa Universale del Regno di Dio, o le Assemblee di Dio in Brasile, o le mega chiese colombiane che formano i loro partiti politici familiari». Irrompono in politica con connotazioni fortemente integraliste. Cedono alla tentazione «di usare il potere politico al servizio della Chiesa per sostituire un presunto potere politico della Chiesa cattolica».
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2/ Gli evangelici e il potere in America Latina. «Sono venuti per rimanere, sono rimasti per crescere, sono cresciuti per conquistare». La scorciatoia dell’impegno politico diretto, di Alver Metalli
Riprendiamo un articolo di Alver Metalli da La Stampa del 13/2/2019. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Protestantesimo e Laicità.
Il Centro culturale Gli scritti (10/9/2019)
Dalla distanza, al collateralismo, all’impegno politico diretto, il cammino del movimento pentecostale latino-americano è praticamente concluso. Il credente di fede protestante che mezzo secolo fa si guardava bene dall’immischiarsi con la politica adesso considera del tutto naturale che «il fratello debba votare per il fratello». Diventati maggiorenni, i moderni eredi dell’antica Riforma protestante innalzano le bandiere della politica partitica in pressoché tutto il continente. Perché gli evangelici – come scrive un attento studioso della loro incarnazione e sviluppo in America Latina, il peruviano José Luis Pérez Guadalupe – «sono arrivati nel continente latinoamericano per rimanervi, sono rimasti per crescere e sono cresciuti per conquistare».
A cosa si deve questa trasformazione tutto sommato sorprendente e relativamente rapida della visione tradizionale dell’evangelismo latino-americano? La metamorfosi evangelica, il passaggio dal proclamato distanziamento, al neo-collateralismo fino all’impegno in politica con partiti o candidati propri, è innanzitutto il risultato della loro stessa espansione e dunque della consapevolezza di rappresentare una forza d’urto elettorale in grado di modificare gli equilibri politici di una nazione e di una regione.
Gli studi sulle modificazioni dell’universo religioso nel continente latino-americano non sono molti, e tra i pochi conviene citare i più conosciuti, quelli della Corporation Latinobarómetro, una agenzia privata con sede centrale a Santiago del Cile, e il Pew Research Center, un think thank statunitense con sede a Washington, entrambe specializzate in sondaggi d’opinione su temi di portata continentale. Stando ad un rapporto della prima delle due istituzioni, Latinobarómetro, il cattolicesimo latino-americano è diminuito di 13 punti percentuali tra il 1995 e il 2014, con flessioni più accentuate in paesi dell’America Centrale come il Nicaragua (-30), l’Honduras (-29) e la Costa Rica (-19). In questi stessi paesi gli evangelici sono cresciuti in maniera inversamente proporzionale al retrocesso cattolico, confermando così che la grande maggioranza degli eredi di Lutero in America Latina sono neoconvertiti provenienti dalle fila cattoliche.
I dati di sintesi del Pew Research Center aggiornati anch’essi al 2014 mostrano che i cattolici latinoamericani sono scesi al 69% della popolazione totale, mentre gli evangelici nel loro insieme sono saliti al 19%. Nei tre Paesi dell’America Centrale già citati – Nicaragua, Honduras, Costa Rica - la realtà evangelico-pentecostale è cresciuta a tal punto che nel prossimo futuro potrebbe strappare alla Chiesa cattolica la sua preminenza storica, saldando le distanze che ancora la separano dal cattolicesimo romano (6 punti percentuali in Honduras, 7 in Guatemala e Nicaragua, 10 punti a Panama).
Alla generalizzata crescita evangelica ci sono due eccezioni che vale la pena segnalare perché potrebbero rappresentare il vero trend del futuro. L’Uruguay, unico Paese della regione latino-americana dove il secondo gruppo maggioritario non sono protestanti variamente declinati ma gli atei senza affiliazione religiosa dichiarata. Ancor più anomalo è il caso del Cile contraddistinto da una impressionante caduta di fiducia verso la Chiesa cattolica che al momento registra 124 processi di pedofilia in corso, con 222 vittime dichiarate e 178 investigati, dei quali 105 sono sacerdoti e otto vescovi. L’ultima inchiesta del 2018 realizzata dal Centro de Estudios Públicos, una fondazione accademica cilena dedita all’analisi di temi pubblici, mostra che solo un cileno su dieci mantiene una certa fiducia nella Chiesa, con una discesa a picco di chi ne apprezza la dottrina e l’opera dal 51% al 13% in due decenni.
Ma a differenza di altri Paesi come il Brasile o il Guatemala, dove gli evangelici hanno guadagnato quasi tutto il terreno lasciato libero dalla Chiesa cattolica, in Cile il maggior incremento si osserva tra coloro che non si identificano con nessuna religione, che sono triplicati negli ultimi due decenni passando dal 7% al 24 attuali.
Si capisce che la forza religiosa crescente dell’evangelismo, e l’indebolimento del cattolicesimo, si traduca anche in una volontà degli evangelici di acquisire spazi e condizionare processi a tutto vantaggio della realtà che rappresentano. La tentazione di gettare nell’agone politico una massa di votanti di proporzioni considerevoli è diventata irresistibile con il passare del tempo. E se all’inizio del ventesimo secolo la lotta dei protestanti - luterani, anglicani, presbiteriani, battisti, metodisti e pentecostali - era volta ad affermare e promuovere la libertà di coscienza e la separazione tra lo Stato e la Chiesa anche a presso di spregiudicate alleanze con la massoneria e altri movimenti dichiaratamente anticattolici, oggi gli obiettivi sono completamente cambiati e le molteplici denominazioni pentecostali mostrano una acuta sensibilità per battaglie elettorali dove sono in gioco valori che contraddistinguono in senso antropologico la convivenza di una società.
Osservando il comportamento politico degli evangelici in un numero crescente di Paesi dell’America Latina si può vedere che la loro forza elettorale si coagula in prima battuta attorno a tanti “no” pronunciati a modifiche legislative che “aggiornano” i parametri morali vigenti in una nazione ai cambiamenti culturali profondi avvenuti nella società. I pastori delle denominazioni pentecostali si oppongono all’aborto, alle unioni omosessuali, alla legalizzazione della marijuana, all’introduzione dell’educazione di genere nelle scuole, a cui si aggiunge la lotta alla corruzione nel nome della moralizzazione della politica e l’inasprimento delle leggi contro la criminalità. E quando questi temi entrano nei programmi elettorali dei partiti laici la convergenza degli evangelici su candidati propri o “esterni” per contrastarli è diventata vieppiù massiccia.
Resta da chiedersi quale sia la fisionomia, o la performance più recente, del movimento evangelico che ha incorporato la partecipazione politica diretta come forma della sua presenza e del suo rapporto con le società dell’America Latina. Samuel Escobar, emerito cattedratico di Missiologia al Palmer Theological Seminary of Pennsylvania, parla con cognizione di pastore di una «seconda ondata di missionari, più moderni e di evidente influenza conservatrice americana» che «è riuscita a posizionare socialmente gli “evangelici” al punto che non si parla più di protestanti: essere evangelico è una forma speciale di essere protestante».
Il teologo protestante tedesco, pastore luterano, Heinrich Schäfer, dà conto del cambiamento profondo intervenuto nella fila dei discendenti di Lutero centrando l’attenzione sul concetto di grazia, che «nel protestantesimo storico è fortemente oggettivo e assume la missione e l’educazione come modi di esercitare influenza nella società», mentre nel protestantesimo evangelico prevale «un concetto di missione, fortemente conversionista, orientato verso una crescita quantitativa della Chiesa, e la sua etica sociale è subordinata agli interessi della missione».
L’incursione nella politica di partito dei nuovi evangelici non avviene in forza di un pensiero sociale che ne abbia accompagnato lo sviluppo e la trasformazione ma per il potenziale elettorale ed una chiara influenza conservatrice americana, basata su una «teologia della prosperità» e una visione «ricostruzionista» del mondo. Siamo in presenza, insomma, di «un nuovo tipo di protestantesimo, più politicamente conservatore, anticomunista e anti-ecumenico, cioè anticattolico, che, contrariamente ai suoi predecessori, raggiunge una notevole crescita numerica attraverso strategie di evangelizzazione e diffusione di massa, compresi i media e le cosiddette tecnologie dell'informazione».
Dire mezzi di comunicazione di massa è dire potere e dire potere è dire politica. Gli evangelici lo hanno imparato con rapidità e anche in America Latina dispiegano a tutto campo e in funzione politica il potente arsenale di media di cui dispongono sempre puntando a nuove acquisizioni. L’ultima è stata annunciata all’inizio del 2019 e riguarda nientemeno che la catena televisiva Cnn. Douglas Tavolaro, nipote e biografo del magnate brasiliano e pastore evangelico Edir Macedo, fondatore della Chiesa Universale del Regno di Dio, sarà l’amministratore delegato di Cnn Brazil, un franchising della catena americana.
Un affare senza precedenti nella storia del Brasile, che si concretizza dopo che Macedo ha allineato pubblicamente il suo impero mediatico alle posizioni del governo del presidente eletto Bolsonaro. Per avere un’idea della magnitudine del progetto basti pensare che - stando a dichiarazioni raccolte dall’agenzia argentina Telam - verranno assunte 800 persone, tra cui 400 giornalisti, con redazioni a San Paolo, Rio de Janeiro e Brasilia.
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3/ Accenni di “riconquista cattolica” in America Latina, il caso argentino. Nei settori più poveri, quelli delle “Villas miserias”, la Chiesa recupera terreno, e gli evangelici non sembrano crescere, di Alver Metalli
Riprendiamo un articolo di Alver Metalli da La Stampa del 14/2/2019. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Protestantesimo e Laicità.
Il Centro culturale Gli scritti (10/9/2019)
C’è un momento per tutto, recita l’Ecclesiaste e anche gli evangelici argentini, come quelli del resto d’America, considerano che il loro tempo sia arrivato. Il tempo di conquistare spazi pubblici e di potere per meglio difendere i valori che stanno a cuore e meglio impedire che siano soppiantati da leggi civili ostili. In Argentina, come osserva José Luis Pérez Guadalupe in “Entre Dios y el César. El impacto político de los evangélicos en el Perú y América Latina”, storicamente il peronismo ha fatto da barriera alla nascita di un partito evangelico, come d’altra parte ha fatto da barriera alla formazione di fronti comunisti filo guerriglieri quando soffiavano i venti della sovversione dei sistemi politici dai Caraibi. Così il progetto di fondare un partito confessionale, che nel 1991 diede impulso al Movimento Cristiano indipendente (MCI), è rapidamente fallito per lasciare spazio ad opzioni strategicamente più praticabili e più realistiche, nella linea di candidature individuali nei diversi partiti politici esistenti.
Il detonante della nuova fase possono essere considerate le mobilitazioni contro l’aborto del maggio 2018 che hanno dato luogo a manifestazioni massicce tanto nella capitale, Buenos Aires, come nel resto del Paese. Gli evangelici hanno suonato la tromba della riscossa, sono scesi nelle strade, si sono contati e hanno preso coscienza di essere molti e di poter far valere le loro ragioni anche nella piazza della politica. Di qui alla decisione di mandare in Parlamento dei propri rappresentanti il passo è breve e sul punto di essere compiuto.
Il quotidiano argentino Perfil dà conto di diversi movimenti in ambito evangelico-pentecostale che preludono a prossime mosse squisitamente politiche. Il deputato della prosperosa città di Salta, Alfredo Olmedo, avrebbe ricevuto la benedizione della Chiesa universale per presentare la propria candidatura alle elezioni presidenziali di ottobre. Cynthia Hotton, già deputata e attiva leader pro-vita, si accontenterebbe di uno scranno nel Congresso della nazione mentre il pastore David Pablo Schlereth sarà candidato a vicegovernatore per conto dell’alleanza di governo nella provincia di Neuquén. Un altro pastore evangelico, Daniel Robledo, – sempre secondo il quotidiano argentino - si presenterà per la carica di governatore nelle elezioni già alle porte del 17 febbraio. Molto attivo anche Walter Ghione, di Alianza Cristiana de Iglesias Evangélicas de la República Argentina, che nel 2017 ottenne 32.470 voti nella corsa a deputato, e che non nasconde traguardi ancora più ambiziosi.
Un’altra inchiesta recente, questa volta del quotidiano argentino La Nación sugli «evangelici e la politica», inanella un buon numero di fatti concreti che documentano la propensione politica del nuovo protestantesimo sudamericano. A partire da una premessa: che gli evangelici argentini hanno puntato forte sui settori popolari e raccolgono i frutti di questo investimento. Case per ragazzi di strada, mense popolari nei quartieri più emarginati, centri di recupero dalle tossicodipendenze, case per donne in situazioni di violenza, ricoveri per anziani, fanno oramai parte della prassi abituale della presenza evangelica odierna al punto che i ministeri per lo Sviluppo Sociale della nazione e di Buenos Aires hanno riconosciuto il valore sociale del lavoro evangelico e incorporato le loro opere nella distribuzione dell'assistenza alimentare nelle aree chiave delle periferie urbane colpite dalla crisi.
Una presenza capillare com’è capillare la presenza delle comunità pentecostali nei settori più marginali della società argentina. Secondo dati dell’Alianza Cristiana de Iglesias Evangélicas de la República Argentina (Aciera) ottenuti da La Nación, nella provincia di Buenos Aires le chiese evangeliche supererebbero le 5mila, con l’Unione delle Assemblee di Dio che riunisce un migliaio di chiese pentecostali solo a Buenos Aires.
Il sociologo argentino Jorge Ossona fa risalire la “popolarizzazione evangelica” negli strati più umili della popolazione di Buenos Aires e provincia al momento della grande recessione del 2001-2002, quando il peso della crisi economica che portò al default argentino si fece sentire in maniera acuta e le parrocchie e le organizzazioni comunitarie non riuscivano a far fronte alle richieste di aiuto che provenivano dai quartieri più vulnerabili. «Molti militanti confessionali cominciarono a mettere in discussione i parroci e i loro assistenti laici», argomenta Ossona che, in un articolo sul quotidiano Clarín del gennaio 2018, scrive che «i pastori non erano altri che gente del quartiere, accompagnati da mogli e figli. Il loro carisma e la scarsa formazione teologica si unirono per cercare una risposta ai problemi concreti che andavano dalla dipendenza all’infedeltà e al crimine» e «una delle componenti di questo movimento di ribellione finì nel pentecostalismo».
Come si è osservato in altri Paesi del continente, anche in Argentina il proselitismo dei movimenti evangelici condotto nelle aree marginali si dirige ad una popolazione prevalentemente cattolica ed ottiene con essa i migliori risultati. Le ragioni della trasmigrazione cattolica in direzione evangelica sono ben colte nel documento finale della Conferenza di Aparecida nel 2007, risultato di un’ampia discussione tra i vescovi latinoamericani orientata dall’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio. «Secondo la nostra esperienza pastorale, molte volte, le persone in buona fede che lasciano la nostra Chiesa non lo fanno per quello che i gruppi “non cattolici” credono, ma per ciò che vivono; non per ragioni dottrinali, sperano di trovare risposte alle loro inquietudini. Cercano, non senza gravi pericoli, di rispondere ad alcune aspirazioni che potrebbero non aver trovato risposta, come dovrebbero, nella Chiesa».
Il sociologo Fortunato Malimacci in una delle prime affidabili inchieste sulle «credenze e gli atteggiamenti religiosi degli argentini» offre il dato nazionale di una appartenenza religiosa al cattolicesimo del 76,5% contro un 9% di argentini che si dichiarano evangelici. Una diversa ricerca condotta nelle principali Villas miseria di Buenos Aires porta gli autori a concludere che l’identità religiosa maggioritaria continua ad essere la cattolica, cui seguono le denominazioni cristiane non cattoliche, evangeliche, pentecostali e avventiste, con percentuali sensibilmente più alte rispetto a quelle rilevabili a livello nazionale. Una conclusione che mostra quanto gli evangelici tendano a concentrarsi in settori di maggiore marginalità urbana.
Ed è proprio qui, nei settori marginali, che si concentra la lotta tra un cattolicesimo popolare in ripresa e un evangelismo aggressivo e di ultima generazione, affatto incline all’ecumenismo e alla convivenza con i cattolici. Chiunque faccia un pur rapido giro nei quartieri precari di Buenos Aires non può non imbattersi ad ogni piè sospinto nei segni di una religiosità popolare che Bergoglio prima, Papa Francesco poi, hanno reso oggetto di una rinnovata attenzione da parte della Chiesa. Le immagini della Madonna nelle sue varie invocazioni - Luján, Caacupé, Copacabana, Urcupiña, ecc – troneggiano in cappelle precarie nei vicoli delle baraccopoli e delle villas miseria mentre piccoli “santuari” di santi argentini riconosciuti - Cayetano, Francisco, ecc - coesistono di fianco ad altri di più dubbia esistenza come il Gauchito Gil e la Difunta Correa.
La rinascente devozione popolare spiega anche perché nell’Argentina di Bergoglio i valori percentuali - tanto dell’abbandono del cattolicesimo come dell’espansione del movimento evangelico - sono notevolmente inferiori alla media continentale latino-americana, con accenni di vero e proprio recupero del terreno perduto. Nelle Villas miserias e nei settori popolari la Chiesa concepita come «ospedale da campo» per l’umanità che vi abita, produce un vero e proprio movimento di riconquista dei fedeli passati all’evangelismo o da questi reclutati ex-novo. «La parrocchia è il quartiere e il quartiere è la parrocchia», sintetizza con una immagine il vescovo delle villas Gustavo Carrara.
Un altro sacerdote che nelle Villas miserias è di casa, José Maria di Paola, prende atto dell’attivismo politico evangelico e lo interpreta allo stesso tempo come una crisi dell’odierna politica argentina. «Si uniscono le due cose, la forza evangelica e la crisi della politica. Meno partecipazione della gente in istanze politiche, più mediatizzazione della politica, più spazio agli evangelici». Secondo “padre Pepe” «gli evangelici argentini, e i pastori che li guidano, usano la politica e ne vengono usati. La politica e i politici hanno perso il legame con il popolo, e questo fa sì che vedano nei gruppi evangelici una sorta di sostituto alla loro precarietà nel rapporto con la base elettorale». Il sacerdote fa l’esempio di una figura politica conosciuta dagli argentini: «Prima nei quartieri e nelle villas c’erano i punteros, ossia delle persone che incarnavano una certa leadership politica o rappresentavano certe figure politiche di rilievo nazionale, adesso in molti casi, questi punteros sono evangelici».
* Un ringraziamento speciale al dottor José Luis Pérez Guadalupe, autore dell’eccellente ricerca “Entre Dios y el César. El impacto político de los evangélicos en el Perú y América Latina” (Perù 2017) le cui idee e conclusioni abbiamo ampiamente seguito nel primo e secondo articolo