1/ La Porziuncola di San Francesco d’Assisi, all’interno della grande Basilica di Santa Maria degli Angeli. Che cosa significa l’indulgenza?, dell’allora cardinale Joseph Ratzinger 2/ Il retablo di Prete Ilario da Viterbo alla Porziuncola, di Silvia Rosati
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1/ La Porziuncola di San Francesco d’Assisi, all’interno della grande Basilica di Santa Maria degli Angeli. Che cosa significa l’indulgenza?, dell’allora cardinale Joseph Ratzinger
Ri-presentiamo on-line una riflessione dell’allora cardinal Joseph Ratzinger sull’indulgenza nella Chiesa, già proposta da Gli scritti anni addietro. Questo breve testo ci aiuta non solo, ancora una volta, a situare correttamente l’esperienza di Francesco d’Assisi che fu profondamente radicata nel contesto ecclesiale del tempo, accogliendone la convinzione della bellezza della cattolicità della Chiesa, ma, soprattutto, a leggere in maniera più semplice ed insieme più profonda il senso della tradizione dell’indulgenza, cogliendone il nucleo permanente che illumina anche l’oggi della vita cristiana. Il testo è tratto dal volume J. Ratzinger, Immagini di speranza, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1999, pp. 71-79, dove porta il titolo: “Porziuncola. Che cosa significa indulgenza”. I neretti sono nostri, per facilitare la lettura on-line, e pertanto non appartengono al testo originale. Per approfondimenti, cfr. la sezione Francesco d’Assisi.
Il Centro culturale Gli scritti (2/8/2019)
Se si arriva ad Assisi provenendo da sud, sulla pianura che si estende davanti alla città si incontra dapprima la maestosa basilica di Santa Maria degli Angeli, dei secoli XVI e XVII, con una facciata classicistica del secolo scorso. Per dire la verità, essa mi lascia piuttosto freddo; è difficile cogliere qualcosa della semplicità e dell'umiltà di san Francesco in questo edificio che si presenta con tanta magnificenza esteriore. Quel che cerchiamo, lo troviamo però al centro della basilica: una cappella medievale in cui degli antichi affreschi ci raccontano episodi della storia della salvezza e della vita di san Francesco, che proprio in questo luogo visse importanti esperienze. In quello spazio basso e poco illuminato possiamo percepire qualcosa del raccoglimento e della commozione che vengono dalla fede dei secoli, che qui ha trovato un luogo di riparo e di orientamento. Al tempo di san Francesco il territorio circostante era coperto di boschi, paludoso e disabitato.
Nel terzo anno dalla sua conversione Francesco si imbatté in questa piccola chiesa, ormai del tutto cadente, che apparteneva all'abbazia benedettina del monte Subasio. Come aveva già fatto in precedenza con le due chiese di San Damiano e di San Pietro, restaurate con le sue mani, Francesco si mise al lavoro anche qui, nella chiesetta della Porziuncola dedicata a Santa Maria degli Angeli, in cui egli venerava la Madre di ogni bontà. Lo stato di abbandono in cui si trovavano tutte queste piccole chiese dovette parergli un triste segno della condizione della Chiesa stessa; egli ancora non sapeva che, restaurando quegli edifici, si stava preparando a rinnovare la Chiesa vivente. Ma proprio in questa cappella gli si fece incontro la chiamata definitiva, che diede alla sua missione la sua vera forma e permise la nascita dell'ordine dei Frati Minori, che peraltro all'inizio non fu affatto pensato come ordine religioso, ma come un movimento di evangelizzazione che doveva raccogliere di nuovo il popolo di Dio per il ritorno del Signore.
A Francesco accadde quello che nel terzo secolo era già accaduto a sant'Antonio d'Egitto: udì durante una celebrazione liturgica il vangelo della chiamata dei dodici da parte del Signore, che affidava loro il compito di annunciare il regno di Dio e di mettersi in cammino a questo scopo, senza averi e senza sicurezze mondane. Inizialmente Francesco non aveva compreso del tutto quel testo; se lo fece quindi spiegare dal sacerdote e a quel punto gli fu chiaro che quello era anche il suo compito. Depose le sue calzature, tenne solo una tunica e si accinse ad annunciare il regno di Dio e la penitenza. Attorno a lui si raccolsero a poco a poco dei compagni che, come i dodici, cominciarono a loro volta ad andare di luogo in luogo e ad annunciare il vangelo che per loro, come per Francesco, significava gioia per quel nuovo inizio, gioia per il cambiamento che si era prodotto nelle loro vite, per il coraggio della penitenza.
La Porziuncola era divenuta per Francesco il luogo dove finalmente aveva compreso il vangelo, perché non lo accostava più a teorie e glosse esplicative, ma voleva viverlo alla lettera. Si era infatti accorto che non si trattava di parole del passato, ma di un appello che si rivolgeva direttamente ed esplicitamente a lui come persona.
Per questo sempre alla Porziuncola consegnò a santa Chiara l'abito religioso, dando così inizio al ramo religioso femminile del suo Ordine, chiamato a dare un sostegno interiore al compito evangelico mediante la preghiera.
Per questo, quando si sentì prossimo alla morte, volle essere trasportato proprio in quel luogo.
Porziuncola significa piccola porzione, piccolo pezzo di terra. Francesco non volle mai che essa diventasse di proprietà dei suoi frati, preferì che i benedettini la concedessero loro in uso; e proprio in quel modo, come qualcosa che non era di proprietà, doveva esprimere la vera proprietà e l'autentica novità del suo movimento. Per esso doveva valere la parola del salmo 16, che nell' Antico Testamento esprimeva il particolare destino della tribù sacerdotale di Levi, cui non apparteneva nessuna terra, perché la sua unica terra era Dio stesso: «Tu, o Signore, sei mia parte e mia eredità - sì, della mia eredità mi sono compiaciuto».
La Porziuncola - lo abbiamo visto - è anzitutto un luogo, ma grazie a Francesco d' Assisi è divenuto una realtà dello spirito e della fede, che proprio qui si fa sensibile e diventa un luogo concreto in cui possiamo entrare, ma grazie al quale possiamo anche accedere alla storia della fede e alla sua forza sempre efficace.
Che poi la Porziuncola non ci ricordi solo grandi storie di conversione del passato, non rappresenti solo una semplice idea, ma riesca ancora ad accostarci al legame vivente di penitenza e di grazia, ciò dipende dal cosiddetto perdono d' Assisi, che più propriamente dovremmo chiamare perdono della Porziuncola. Qual è il suo vero significato? Secondo una tradizione che sicuramente risale almeno alla fine del secolo XIII, Francesco nel luglio del 1216 avrebbe fatto visita nella vicina Perugia al papa Onorio III, subito dopo la sua elezione, e gli avrebbe sottoposto una richiesta inusuale: chiese al pontefice di concedere l'indulgenza plenaria per tutta la loro vita precedente a tutti coloro che si fossero recati nella chiesetta della Porziuncola, confessandosi e facendo penitenza dei propri peccati.
Il cristiano di oggi si chiederà che cosa possa significare un tale perdono, dal momento che presupponeva comunque penitenza personale e confessione. Per comprenderlo dobbiamo tener presente che a quel tempo, malgrado tanti cambiamenti, continuavano a valere gli elementi essenziali della disciplina penitenziale dell'antica Chiesa. Tra questi vi era
la convinzione che, dopo il battesimo, il perdono non potesse essere concesso semplicemente con l'atto dell'assoluzione, ma - come già in precedenza nella preparazione al battesimo - che esigesse un cambiamento reale di vita, una rimozione interiore del male. L'atto sacramentale doveva legarsi a un atto esistenziale, a un lavoro profondo e reale sulla propria colpa, che veniva appunto chiamato penitenza. Perdono non significa che questo processo esistenziale diventa superfluo, ma che riceve un senso, che viene fatto proprio.
Al tempo di san Francesco come forma principale di penitenza imposta dalla Chiesa, in stretto rapporto con il perdono dei peccati, era invalso l'uso di intraprendere un grande pellegrinaggio, a Santiago, a Roma e, soprattutto a Gerusalemme. Il lungo, pericoloso e difficile viaggio a Gerusalemme poteva davvero diventare per molti pellegrini un viaggio interiore; tuttavia un aspetto molto concreto era anche il fatto che in Terra Santa le offerte che esso portava con sé erano divenute la fonte più importante per il mantenimento della Chiesa locale. In proposito non si dovrebbe storcere troppo facilmente il naso: in tal modo la penitenza acquistava anche una valenza sociale.
Se dunque - come vuole la tradizione - Francesco aveva avanzato la richiesta che tutto questo potesse essere ottenuto con la visita orante al santo luogo della Porziuncola, ciò era legato davvero a qualcosa di nuovo: una indulgenza, che doveva cambiare l'intera prassi penitenziale. Si può senz'altro comprendere che i cardinali fossero scontenti della concessione di questo privilegio da parte del papa e temessero per il sostentamento economico della Terra Santa, tanto che il perdono della Porziuncola fu inizialmente ridotto a un solo giorno all'anno, quello della dedicazione della Chiesa, il 2 agosto.
A questo punto, però, ci si domanda se il papa potesse far questo così semplicemente. Può un papa dispensare da un processo esistenziale, quale era quello previsto dalla grande prassi penitenziale della Chiesa? Ovviamente, no. Quel che è un' esigenza interiore dell'esistenza umana, non può essere reso superfluo mediante un atto giuridico. Ma non si trattava affatto di questo. Francesco, che aveva scoperto i poveri e la povertà, nella sua richiesta era spinto dalla sollecitudine per quelle persone a cui mancavano i mezzi o le forze per un pellegrinaggio in Terra Santa; coloro che non potevano dare nulla, se non la loro fede, la loro preghiera, la loro disponibilità a vivere secondo il vangelo la propria condizione di povertà. In questo senso l'indulgenza della Porziuncola è la penitenza di coloro che sono tribolati, che la vita stessa carica già di una penitenza sufficiente. Senza dubbio a ciò si legava anche un 'interiorizzazione del concetto stesso di penitenza, sebbene non mancasse certamente la necessaria espressione sensibile dal momento che implicava comunque il pellegrinaggio al semplice e umile luogo della Porziuncola, che allo stesso tempo doveva essere anche un incontro con la radicalità del vangelo, come Francesco l'aveva appresa proprio in quel posto.
È innegabile che all'idea di indulgenza che proprio qui gradatamente assunse il suo carattere specifico, si legava anche il pericolo di abusi, come la storia ci ha insegnato in termini sufficientemente drammatici. Ma se alla fine si conserva solo il ricordo degli abusi, allora si è caduti in una perdita di memoria e in un atteggiamento di superficialità, con cui si danneggia soprattutto se stessi. Come sempre, infatti, ciò che è grande e puro è più difficile da vedere di ciò che è rozzo e meschino.
Ora non posso certo spiegare tutto il complesso intreccio di esperienze e di conoscenze che si è sviluppato a partire dall'evento della Porziuncola. Voglio solo cercare di tracciare le linee più importanti. Dopo la concessione di questa particolare indulgenza si arrivò ben presto a un passo ulteriore. Proprio le persone umili e di fede semplice finirono per chiedersi: perché solo per me stesso? Non posso forse comunicare anche ad altri quel che mi è stato dato in ambito spirituale, come avviene in ambito materiale? Il pensiero si rivolgeva soprattutto alle povere anime, a coloro che nella vita erano stati loro vicini, che li avevano preceduti nell'altro mondo e il cui destino non poteva essere loro indifferente. Si sapeva degli errori e delle debolezze delle persone che erano state care o dalle quali si erano forse ricevuti anche dei dispiaceri. Perché non ci si poteva preoccupare di loro? Perché non cercare di fare loro del bene anche al di là della tomba, di accorrere in loro aiuto, laddove possibile, nel difficile viaggio delle anime?
Qui si fa evidente un sentimento antico dell'umanità, che ha trovato molteplici espressioni nei culti degli antenati e dei morti lungo tutta la storia dell'umanità. La fede cristiana non ha affatto negato valore a tutto ciò, ma ha cercato di purificare questo sentimento e di farlo emergere nel suo senso più autentico. «Se viviamo, viviamo per il Signore; se moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, noi siamo del Signore», dice Paolo (Rm 14,8). Questo significa: il vero limite non è più la morte, ma l'appartenere o il non appartenere al Signore. Se gli apparteniamo, allora siamo vicini gli uni agli altri per mezzo di lui e in lui.
Per questo - era la conseguenza logica - c'è un amore che va al di là dei limiti della morte. Così, a chi chiedeva se qualcosa della forza donata dal perdono potesse essere comunicato anche all'aldilà, veniva risposto di sì, con la formula per modum suffragii - per mezzo della preghiera. La preghiera per i defunti, da sempre appartenente alla Chiesa, guadagnava così una particolare intensità. E questa promessa fu proprio ciò che fece dell'indulgenza un grande invito alla preghiera, al di là di tutti gli abusi e di tutti gli equivoci.
Qui devo aggiungere che nel corso del tempo l'indulgenza in un primo momento riservata solo al luogo della Porziuncola, fu poi estesa prima a tutte le chiese francescane e, infine, a tutte le chiese parrocchiali per il 2 agosto. Nei ricordi della mia giovinezza il giorno del perdono d'Assisi è rimasto come un giorno di grande interiorità, come un giorno in cui si ricevevano i sacramenti in un clima di raccoglimento personale, come un giorno di preghiera. Nella piazza antistante la nostra chiesa parrocchiale in quel giorno regnava un silenzio particolarmente solenne. Entravano e uscivano in continuazione persone dalla chiesa. Si sentiva che il cristianesimo è grazia e che questa si dischiude nella preghiera.
Indipendentemente da ogni teoria sull'indulgenza, era quello un giorno di fede e di silenziosa speranza, di una preghiera che si sapeva certamente esaudita e che valeva soprattutto per i defunti.
Nel corso del tempo, tuttavia, a tutto questo si aggiunse un'altra idea, che oggi può apparirci alquanto estranea, ma che, peraltro, contiene un'importante verità. Quanto più l'indulgenza veniva intesa come un porsi a sostegno degli altri, tanto più si faceva strada un altro concetto, che dava un fondamento teologico a questa nuova forma e, nel contempo, la avviava verso sviluppi ulteriori. La preghiera indirizzata all'altro mondo implicava necessariamente l'idea della comunione dei santi e della comunicazione dei beni spirituali.
A questo punto vi chiederete ancora una volta: ma che cosa significa tutto questo? non si tratta forse di un insensato mercantilismo religioso? La domanda si fa più acuta se si tiene conto che si parlava proprio di tesoro della Chiesa, che consisteva nei meriti accumulati dai santi. Che cosa si intendeva dire? Non è forse vero che ognuno deve rispondere personalmente di se stesso? Che significato possono avere per me le buone opere compiute da un altro? Sono queste le domande che ci poniamo, perché, malgrado tutti gli ideali socialisti, continuiamo a vivere del meschino e ristretto individualismo dell'epoca moderna. In realtà, però, nessun uomo è chiuso in se stesso. Ciascuno di noi vive in rapporto con gli altri e dipende dagli altri, non solo dal punto di vista materiale, ma anche da quello spirituale, culturale e morale.
Cerchiamo di esemplificare questo concetto cominciando dal suo versante negativo. Vi sono persone che non distruggono solo se stesse, ma portano alla rovina anche gli altri, lasciando dietro di sé forze di distruzione che spingono verso il negativo intere generazioni. Se pensiamo ai grandi seduttori del nostro secolo, sappiamo quanto ciò sia reale. La negazione di uno diventa una malattia contagiosa, che coinvolge anche gli altri.
Ma, grazie a Dio, ciò non vale solo per il negativo. Vi sono persone che lasciano dietro di sé una sorta di sovrappiù d'amore, di dolore sofferto e vissuto fino in fondo, di letizia, sincerità e verità, che prende anche gli altri, li accompagna e li sostiene. Esiste davvero qualcosa come la sostituzione vicaria nel più profondo dell'esistenza. Tutto il mistero di Cristo poggia proprio su questo.
Ora si può dire: bene, è così. Ma allora basta il sovrappiù dell'amore di Cristo, non c'è bisogno d'altro. Lui solo libera e redime, tutto il resto sarebbe presunzione, come se noi dovessimo aggiungere qualcosa all'infinità del suo amore con la nostra finitudine. È vero, ma non è vero del tutto. Infatti la grandezza dell'amore di Cristo è tale che non ci lascia nella condizione di chi riceve passivamente, ma ci coinvolge fino in fondo nella sua opera e nella sua passione. Lo afferma un celebre passo della lettera ai Colossesi: «Compio nella mia carne ciò che manca alla passione di Cristo, per il suo corpo» (Col 1,24).
Ma vorrei far riferimento anche a un altro passo neotestamentario, in cui mi pare che questa verità sia espressa in modo meraviglioso. L'Apocalisse di san Giovanni parla della sposa, la Chiesa, in cui è raffigurata l'umanità salvata. Mentre la meretrice Babilonia appare vestita di abiti e ornamenti lussuosi e appariscenti, la sposa indossa solo una semplice veste di lino bianco, sia pure di quel bisso puro e splendente che è particolarmente prezioso. In proposito il testo osserva: «Questa veste di lino sono le opere giuste dei santi» (Ap 19,8). Nella vita dei santi viene tessuto questo radioso bisso bianco, che è l'abito dell'eternità.
Usciamo dalla metafora: nell'ambito spirituale tutto appartiene a tutti. Non c'è nessuna proprietà privata. Il bene di un altro diventa il mio e il mio diventa suo. Tutto viene da Cristo, ma poiché noi gli apparteniamo, anche ciò che è nostro diventa suo ed è investito di forza salvifica. È questo ciò che si intende con le espressioni «tesoro della Chiesa» o «meriti» dei santi.
Chiedere l'indulgenza significa entrare in questa comunione di beni spirituali e mettersi a propria volta a sua disposizione. La svolta nell'idea di penitenza, che ha avuto inizio alla Porziuncola, ha conseguentemente portato a questo punto: anche spiritualmente nessuno vive per se stesso. E solo allora la preoccupazione per la salvezza della propria anima si libera dall'ansia e dall'egoismo, proprio perché diventa preoccupazione per la salvezza degli altri.
Così la Porziuncola e l'indulgenza che da lì ha avuto origine diventa un compito, un invito a mettere la salvezza degli altri al di sopra della mia e, proprio in questo modo, a trovare anche me stesso. Si tratta di non chiedere più: sarò salvato? ma: che cosa vuole Dio da me perché altri siano salvati?
L'indulgenza rinvia alla comunione dei santi, al mistero della sostituzione vicaria, alla preghiera come via per diventare una cosa sola con Cristo e con il suo volere. Egli ci invita a partecipare alla tessitura dell'abito bianco della nuova umanità, che proprio nella sua semplicità è la vera bellezza.
L’indulgenza in fondo è un po' come la chiesa della Porziuncola: come bisogna percorrere gli spazi piuttosto freddi ed estranei del grande edificio per trovare al suo centro l'umile chiesetta che tocca il nostro cuore, così occorre attraversare il complesso intreccio della storia e delle idee teologiche per giungere a ciò che è davvero semplice: alla preghiera, con cui ci lasciamo cadere nella comunione dei santi, per cooperare con essi alla vittoria del bene sull'apparente onnipotenza del male, sapendo che alla fine tutto è grazia.
2/ Il retablo di Prete Ilario da Viterbo alla Porziuncola, di Silvia Rosati
Ri-presentiamo dal sito Assisi ofm (https://www.assisiofm.it/il-retablo-di-prete-ilario-da-viterbo-alla-porziuncola-72672-1.html) un testo lì pubblicato in data 16/12/2016, che riprende a sua volta un articolo di S. Rosati, Parlano i colori, pubblicato sulla rivista “Porziuncola” n. 1/2016. I neretti sono nostri, per facilitare la lettura on-line, e pertanto non appartengono al testo originale. Per approfondimenti, cfr. la sezione Francesco d’Assisi.
Il Centro culturale Gli scritti (2/8/2019)
Nel 1393, mentre imperversano guerra e carestia, fr. Francesco da Sangemini, guardiano del convento della Porziuncola, commissiona al pittore Prete Ilario da Viterbo una tavola da collocare all’interno della piccola chiesa che Francesco aveva tanto amato.
Ancora oggi chi entra nella Porziuncola non può non restare incantato dalla bellezza di questa imponente pala che, come testimonia l’iscrizione in latino visibile al di sotto della scena principale, è stata dipinta grazie ai proventi delle elemosine.
Composta da una tavola di ampia superficie, da una predella che si interrompe al centro per permettere l’accesso all’abside della chiesa e da una cornice piuttosto larga inclinata verso l’interno, l’opera di Prete Ilario è un vero e proprio retablo che riveste la parete di fondo della Porziuncola ed è sagomato seguendone il perimetro ogivale.
Il programma iconografico è estremamente complesso: la scena centrale, con una scelta tematica che ha suscitato molti interrogativi tra gli storici dell’arte, in effetti è dedicata alla Vergine Annunciata dall’Arcangelo Gabriele anziché all’Assunta, vale a dire alla Madonna degli Angeli cui la Porziuncola è intitolata. Come ha acutamente evidenziato Mario Sensi tuttavia, l’annuncio della nascita del Salvatore si lega profondamente a quel concetto di “Francesco Madre” al quale farebbero riferimento gli altri episodi del retablo che narrano l’Indulgenza del Perdono: la scelta di rappresentare l’annunciazione mirerebbe quindi ad esaltare la conformità di San Francesco – la “Pia mater” dell’Ordine minoritico che, per amore degli uomini, chiede la salvezza di tutte le anime dei fedeli in pellegrinaggio alla Porziuncola – con Gesù, che per amore ha liberato l’intera umanità dal peccato.
Vi sarebbe poi un’esaltazione del ruolo della Porziuncola, “particella” di mondo affidata dal Signore a Francesco per servirLo, così come Maria di Nazareth è la “particella” eletta e santa di umanità che è stata scelta da Dio Padre per permettere al Verbo di farsi carne. La purezza della Vergine, prima, durante e dopo il parto, è sottolineata dai tre candidi gigli nel vaso all’interno della scena.
[N.B. de Gli scritti Si potrebbe anche aggiungere che l’Annunciazione è la rivelazione della misericordia di Dio, poiché Dio si fa uomo per salvare il mondo. L’indulgenza è un’espressione della fede nell’Incarnazione]
Gli Episodi del Perdono del retablo (termine spagnolo di etimologia latina, dalla locuzione re(tro)tabulum altaris, che indica una grande pala d’altare), sembrano essere derivati principalmente dal racconto della concessione dell’Indulgenza di Michele di Bernardo da Spello. Michele da Spello non solo utilizza in riferimento al Poverello le parole “pia mater nostra”, ma riserva anche al miracolo delle rose un ruolo centrale: questi fiori appena sbocciati, associati a Maria e alla maternità, probabilmente alludono, quando presenti nel numero di dodici, alla missione apostolica dei Minori e, quando presenti in numero di tre, ai voti francescani di povertà, castità ed obbedienza.
Il ciclo delle Storie del Perdono - che ispirerà tutte le raffigurazioni successive dell’Indulgenza della Porziuncola - può essere letto in senso antiorario, a partire dal riquadro situato in basso a destra.
-Gli angeli appaiono a San Francesco vittorioso sulla tentazione: Per fuggire alle lusinghe del demonio (raffigurato in alto mentre si sta allontanando) Francesco si è recato fuori dalla sua cella fatta di stuoie e si è gettato nudo tra le spine di un roveto, tenendo in mano il flagello per fustigarsi. Cristo, in alto a sinistra, si affaccia dal cielo e gli invia due angeli.
-Gli angeli accompagnano Francesco alla Porziuncola: Francesco vestito di una tunica si incammina con due creature celesti lungo una strada dritta, coperta da un tappeto dorato ornato di margherite, verso la chiesetta. È pieno inverno, ma il roveto, dopo essere stato pervaso di luce, si è ammantato di rose: Francesco ne reca con sé ventiquattro - dodici rosse e altrettante bianche, in onore di Cristo e della Vergine - mentre l’angelo a destra ne tiene in mano tre, due bianche ed una rossa.
-Cristo, per intercessione della Vergine, concede a Francesco l’Indulgenza: Questa scena è più grande ed occupa la parte superiore, cuspidata, del retablo. Francesco, affiancato dai due angeli, è inginocchiato davanti all’altare della Porziuncola ed offre una corona di dodici rose al Redentore e alla Vergine seduti su un trono: all’interno di una mandorla pervasa di luce ed attorniata da una schiera di cinquantadue angeli (ventisei per lato) Cristo e Maria ascoltano Francesco chiedere l’Indulgenza plenaria. La Madonna, avvolta in uno splendente manto dorato, intercede con il Figlio a favore della richiesta del Poverello.
-Francesco chiede a Onorio III di approvare l’Indulgenza: Insieme a fr. Masseo, Francesco si reca da papa Onorio III presso il palazzo lateranense per avere la conferma dell’Indulgenza ottenuta durante la visione alla Porziuncola. All’interno di un edificio coperto da volte, il Papa, seduto su un trono e affiancato da altri sei religiosi, sta per ricevere dal Poverello tre rose bianche e tre rose rosse, segno del miracolo avvenuto a Santa Maria degli Angeli.
-Francesco alla presenza dei sette vescovi umbri proclama al popolo l’Indulgenza: Quest’ultima scena si svolge davanti alla Porziuncola, visibile sullo sfondo a destra. Francesco si affaccia da un pulpito coperto da stoffa dorata e posto al di sotto di un baldacchino purpureo: il Santo tiene in mano il cartiglio che, annunciando al popolo l’Indulgenza, recita “(Hae)c est portae vitae aeternae”. Accanto a lui i sette vescovi dell’Umbria vorrebbero fissare un limite temporale a questo dono, ma per intervento divino non riescono a fare altro che confermare ciò che dice Francesco: il Perdono della Porziuncola è perpetuo e l’indulgenza plenaria con la remissione completa delle colpe potrà essere ottenuta da chiunque si sia avvicinato al sacramento della Riconciliazione e visiti la chiesa tra i vespri del 1° agosto e il giorno successivo.
Nella cornice esterna del retablo dodici Santi intercessori si intervallano con cherubini e serafini. Nei due campi più in basso altrettanti Oranti genuflessi (uno a destra e uno a sinistra) rappresentano verosimilmente dei donatori.
Nella predella infine si riconoscono sei Episodi miracolosi, quasi tutti legati all’intervento della Vergine degli Angeli o all’icona che la raffigurava e che forse anticamente era presente in Porziuncola.
La pala di Prete Ilario, caratterizzata da uno splendido senso del colore e da materiali preziosi finemente trattati, mostra una tecnica pittorica degna della migliore tradizione senese: non a caso lo schema dell’Annunciazione è derivato dall’opera di Simone Martini realizzata per il Duomo della città toscana nel 1333 (oggi agli Uffizi di Firenze). C. Fratini ha evidenziato la vicinanza degli angeli della scena della concessione dell’Indulgenza durante la visione alla Porziuncola con quelli che compaiono nell’Incoronazione della Vergine del coro ligneo nel Duomo di Orvieto ed ha sottolineato come le accurate e minuziose descrizioni delle stoffe (si veda ad esempio la bellissima resa della tovaglia perugina nel pulpito dal quale si affaccia Francesco) rendano plausibile un rapporto diretto dell’artista con l’ambiente dei miniatori.
Fino al 1916 una lastra d’argento sbalzata ricopriva per intero il retablo, lasciando vedere attraverso due aperture ovali i volti dell’Angelo e della Vergine: in questo modo la tavola era protetta dai fumi delle candele e dalle monete, che i pellegrini gettavano per devozione. Nelle maggiori festività o durante le visite di personaggi illustri l’anta veniva aperta per mostrare l’Annunciazione ai fedeli.