1/ Francesco predicava ore e ore nelle diverse piazze e città d’Italia. I testi delle fonti che raccontano delle sue prediche pubbliche, anche dinanzi a uccelli e lupi, di Andrea Lonardo 2/ [La predica di san Francesco nella piazza di Perugia] I perugini e Francesco, un aneddoto che ci insegna a vivere il presente, di Felice Accrocca
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1/ Francesco predicava ore e ore nelle diverse piazze e città d’Italia. I testi delle fonti che raccontano delle sue prediche pubbliche, anche dinanzi a uccelli e lupi, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Francesco d’Assisi e Catechesi e pastorale. Cfr., in particolare, Questioni storiche sulla norma di Francesco d'Assisi relativa alla predicazione e alla testimonianza di coloro che vanno in missione presso i musulmani. Breve nota di Andrea Lonardo.
Il Centro culturale Gli scritti (30/6/2019)
Giotto, Basilica superiore di Assisi, San Francesco
predica agli uccelli, immagine del diritto conferitogli
da Dio di predicare nelle piazze, lui che non era prete
Dovunque Francesco d’Assisi predicava, in ogni piazza, in ogni città, in ogni paese nei quali giungeva, accorrevano a lui migliaia di persone ad ascoltarlo per ore. Vi giungeva dopo aver vissuto un mese ogni tre di ritiro[1] per poi scendere tra la gente a predicare il Vangelo[2]. Ecco, ad esempio, il racconto di tale predicazione ad Ascoli:
«Nel tempo in cui, come si è detto, predicò agli uccelli, il venerabile padre Francesco, percorrendo città e villaggi per spargere ovunque la semente della benedizione, arrivò anche ad Ascoli Piceno. In questa città annunciò la parola di Dio con tanto fervore, che tutti, pieni di devozione, per grazia del Signore, accorrevano a lui, desiderosi di vederlo e ascoltarlo. La ressa della folla era straordinaria e ben trenta, tra chierici e laici, si fecero suoi discepoli, ricevendo dalle sue stesse mani l'abito religioso. Uomini e donne lo veneravano con tanta fede, che chiunque poteva toccargli la veste si considerava sommamente fortunato»[3].
Il riferimento alla predica agli uccelli è particolarmente significativo perché, come ha mostrato la critica moderna, l’ascolto riservatogli dagli uccelli è stato compreso da Francesco stesso come segno divino che era il Signore a volere che lui, che non era prete, predicasse ovunque e tenesse catechesi in ogni luogo dove giungeva[4].
Così, infatti, racconta Tommaso da Celano dell’episodio della predica agli uccelli ad Alviano:
«Un giorno, recatosi ad Alviano a predicare e salito su un rialzo per essere visto da tutti, chiese silenzio. Ma mentre tutti tacevano in riverente attesa, molte rondini garrivano con grande strepito attorno a Francesco. Non riuscendo a farsi sentire dal popolo per quel rumore rivolto agli uccelli, disse: “Sorelle mie rondini, ora tocca a me a parlare, perché voi lo avete già fatto abbastanza; ascoltate la parola di Dio, zitte e quiete, finché il discorso sia finito”. Ed ecco subito obbedirono: tacquero e non si mossero fino a predica terminata. Gli astanti, stupiti, davanti a questo segno dicevano: “Veramente quest’uomo è un santo e un amico dell'Altissimo!”. E facevano a gara per toccargli le vesti con devozione, lodando e benedicendo Iddio. Era davvero cosa meravigliosa, poiché perfino le creature prive di ragione sapevano intendere l'affetto fraterno e il grande amore che Francesco nutriva per esse!»[5].
Sebastiano Bastiani, Castello di San Francesco
ad Alviano, San Francesco predica
dopo aver fatto tacere gli uccelli
Il messaggio dell’episodio è chiaro: se anche i volatili tacciono per ascoltare Francesco, a maggior ragione debbono farlo gli uomini. Non dalle richieste degli uomini, ma dalla volontà di Dio derivava a lui il dovere di predicare il Vangelo: era il Signore che lo “autorizzava” e lo benediceva nella sua predicazione, facendolo ascoltare addirittura dagli animali irrazionali.
Anche la predica al lupo di Gubbio viene dagli storici interpretata come immagine simbolica dell’attività di Francesco che, con le sue parole, riuscì a riportare alla pace le fazioni in lotta in quella città. Infatti, immediatamente dopo aver ammansito il lupo egli, accompagnato dalla belva ormai non più feroce, può predicare la riconciliazione alle parti avverse che vengono convinte dalla testimonianza divina dell’ammansimento miracoloso[6].
Ciò che viene talvolta descritto più in dettaglio dalle fonti francescane, come nel caso di Ascoli o Alviano o ancora Perugia[7], avveniva ovunque Francesco giungesse. Così scrive in sintesi Tommaso da Celano in merito:
«[Francesco d’Assisi] era veramente fermo e costante nel bene, e null'altro cercava se non di compiere la volontà di Dio. Francesco infatti quando anche predicava la parola del Signore davanti a migliaia di persone, era tranquillo e sicuro, come se parlasse con il suo fratello e compagno. Ai suoi occhi un’immensa moltitudine di uditori era come un uomo solo, e con la stessa diligenza che usava per le folle predicava ad una sola persona. Dalla purezza del suo cuore attingeva la sicurezza della sua parola, e anche invitato all’improvviso, sapeva dire cose mirabili e mai udite prima.
Quando invece si preparava prima accuratamente il discorso, gli poteva accadere che al momento di pronunciarlo non ricordasse più una parola né altro poteva dire. Allora confessava a tutti candidamente e senza rossore che aveva preparato tante cose, ma le aveva tutte dimenticate. Ed ecco, all’improvviso parlava con tanta eloquenza da incantare gli uditori. Altre volte gli capitava di non riuscire a parlare affatto; allora congedava l’uditorio con la benedizione, e questo valeva più che se avesse tenuto una lunga predica»[8].
Possediamo probabilmente anche uno dei canovacci che Francesco utilizzava per le sue predicazioni e precisamente il Commento al Padre nostro. Tale scritto viene oggi abitualmente attribuito alla mano diretta di San Francesco e riconosciuto quindi come suo testo autentico, anche se non vi è prova assoluta per questo. Nei Codici antichi viene spesso trascritto subito dopo le Lodi per ogni ora, ma si tende oggi a interpretarlo giustamente come scritto autonomo, come appare chiaramente dal tenore stesso dell’opera.
A nostro avviso, si tratta di una traccia, di un canovaccio, per i sermoni pubblici che il santo teneva nelle sue lunghe predicazione pubbliche. Innanzitutto perché è assolutamente certo che a quel tempo fosse abitudine spiegare il Padre nostro della predicazione frase per frase, come peraltro le fonti ricordano in relazione a Francesco.
Ma l’impressione di ciò è data dalla peculiarità dello scritto che non si presenta come un lavoro completo che affronti ogni invocazione del Padre nostro con la dovuta ampiezza. Se si guarda, ad esempio, alle specificazioni che seguono il “non ci indurre in tentazione” – “nascosta o manifesta, improvvisa o insistente” - si può immaginare che quegli aggettivi fossero poi spiegati più estesamente a braccio e servissero come uno schema della catechesi che veniva effettivamente pronunciata.
Questo il Commento al Pater noster di Francesco:
«O santissimo Padre nostro: creatore, redentore, consolatore e salvatore nostro.
Che sei nei cieli: negli angeli e nei santi, illuminandoli alla conoscenza, perché tu, Signore, sei luce, infiammandoli all’amore, perché tu, Signore, sei amore, ponendo la tua dimora in loro e riempiendoli di beatitudine, perché tu, Signore, sei il sommo bene, eterno, dal quale proviene ogni bene e senza il quale non esiste alcun bene.
Sia santificato il tuo nome: sifaccia luminosa in noi la conoscenza di te, affinché possiamo conoscere l’ampiezza dei tuoi benefici, l’estensione delle tue promesse, la sublimità della tua maestà e la profondità dei tuoi giudizi.
Venga il tuo regno: perché tu regni in noi per mezzo della grazia e ci faccia giungere nel tuo regno, ove la visione di te è senza veli,
l’amore di te è perfetto,
la comunione di te è beata,
il godimento di te senza fine.
Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra: affinché ti amiamo con tutto il cuore, sempre pensando a te; con tutta l’anima, sempre desiderando te; con tutta la mente, orientando a te tutte le nostre intenzioni e in ogni cosa cercando il tuo onore; e con tutte le nostre forze, spendendo tutte le nostre energie e sensibilità dell’anima e del corpo a servizio del tuo amore e non per altro; e affinché possiamo amare i nostri prossimi come noi stessi, trascinando tutti con ogni nostro potere al tuo amore, godendo dei beni altrui come dei nostri e nei mali soffrendo insieme con loro e non recando nessuna offesa a nessuno.
Il nostro pane quotidiano: il tuo Figlio diletto, il Signore nostro Gesù Cristo, dà a noi oggi: in memoria, comprensione e reverenza dell'amore che egli ebbe per noi e di tutto quello che per noi disse, fece e patì.
E rimetti a noi i nostri debiti: per la tua ineffabile misericordia, per la potenza della passione del tuo Figlio diletto e per i meriti e l'intercessione della beatissima Vergine e di tutti i tuoi eletti.
Come noi li rimettiamo ai nostri debitori: e quello che non sappiamo pienamente perdonare, tu, Signore, fa' che pienamente perdoniamo sì che, per amor tuo, amiamo veramente i nemici e devotamente intercediamo presso di te, non rendendo a nessuno male per male e impegnandoci in te ad essere di giovamento a tutti
E non ci indurre in tentazione: nascosta o manifesta, improvvisa o insistente.
Ma liberaci dal male: passato, presente e futuro.
Gloria al Padre, ecc.»[9].
Interessante, infine, è che la tradizione attribuisca allo stesso Francesco la conferma e la benedizione ai suoi frati, quando essi, predicando, proseguivano le sue stesse modalità di annuncio del Vangelo.
Noto, ad esempio, è il miracolo attribuito al santo quando apparve a sant’Antonio da Padova e frate Monaldo che predicavano:
«Frate Giovanni da Firenze, eletto da san Francesco ministro dei minori in Provenza, aveva raccolto i suoi frati a capitolo. Il Signore Iddio gli concesse, nella sua bontà, la grazia di parlare con tanto zelo da conquistare tutti ad un ascolto benevolo e attento. Era presente tra loro un frate sacerdote, di nome Monaldo, famoso specialmente per la vita virtuosa, fondata sull’umiltà, corroborata dalla preghiera frequente e difesa dalla pazienza; ed anche frate Antonio al quale Iddio diede “l’intelligenza delle sacre Scritture” (Lc 24,45) e il dono di predicare Cristo al mondo intero con parole più dolci del miele. Ora, mentre Antonio predicava ai frati con fervore e devozione grandissima sul tema: “Gesù Nazareno, Re dei Giudei” (Gv 19,19), il detto frate Monaldo, guardando verso la porta della sala capitolare, vide il beato Francesco sollevato in alto, con le braccia distese a forma di croce, in atto di benedire i presenti. E tutti i presenti, sentendosi essi stessi investiti dalla consolazione dello Spirito Santo, e ripieni di gaudio salutare, trovarono assai credibile il racconto dell'apparizione e della presenza del gloriosissimo Padre»[10].
Qui la catechesi riguardava la predicazione sulla regalità di Gesù: essa avvenne con la benedizione stessa celeste del santo di Assisi.
2/ [La predica di san Francesco nella piazza di Perugia] I perugini e Francesco, un aneddoto che ci insegna a vivere il presente, di Felice Accrocca
Riprendiamo dal sito San Francesco patrono d’Italia (sanfrancescopatronoditalia.it/notizie/francescanesimo/i-perugini-e-francesco-un-aneddoto-che-ci-insegna-a-vivere-il-presente-41129#.XRO-OvZuIkE) un articolo di Felice Accrocca pubblicato senza indicazioni di data. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Francesco d’Assisi e Catechesi e pastorale.
Il Centro culturale Gli scritti (30/6/2019)
Coppo di Marcovaldo, San Francesco e storie della sua vita.
Nei due ultimi riquadri a sinistra è evidente il parallelismo:
nella penultima fascia predica agli ucceli, nell'ultima al sultano
e ai musulmani/saraceni. Francesco, cioè, predica a tutti e
dappertutto, per autorizzazione divina
Non sempre le predicazioni di Francesco sortirono il successo sperato, come mostra una predica da lui tenuta a Perugia in un anno imprecisato. Sono i Compagni di Francesco a darcene il racconto al tempo stesso più immediato e dettagliato, ma è Tommaso da Celano a dirci che la spinta per recarsi a Perugia gli venne mentre si trovava nell'eremo di Greccio: qui Francesco intuì che giorni tristi si preparavano per i perugini e, dopo aver atteso qualche tempo, si avviò verso il centro umbro (2Cel 37: FF 622).
Ma seguiamo ora i Compagni nel loro racconto (CAss 75: FF 1606). Essi ci dicono che per ascoltare Francesco che predicava si era adunata, nella piazza di Perugia, “una grande folla”. Mentre egli parlava, però, irruppero dei cavalieri armati in groppa ai loro cavalli, che giocavano sulla piazza creando naturalmente disagio agli ascoltatori; nonostante le proteste di questi ultimi, quei cavalieri non la smettevano. “Volgendosi a loro in fervore di spirito, disse il beato Francesco: ‘Udite e cercate di capire quello che il Signore vi preannunzia per bocca di me, suo servo. E non state a dire: Questo qui è uno di Assisi!’. Questo disse il beato Francesco, perché tra assisani e perugini c'era un odio di vecchia data”.
Francesco li ammonì ricordano loro che il Signore aveva benedetto i perugini e li aveva resi potenti sopra tutti i vicini; ma proprio per questo essi dovevano essergli riconoscenti e mantenersi umili davanti a Lui e nei rapporti con gli abitanti limitrofi, senza ucciderli e senza devastarne le terre. Se non l'avessero fatto, il Signore, “che niente lascia invendicato”, li avrebbe fatti insorgere gli uni contro gli altri ed essi avrebbero patito a motivo di ciò più tribolazioni di quante i vicini non avrebbero potuto loro infliggerne. Non gli dettero retta, e così quanto Francesco aveva preannunciato si avverò: le parti in conflitto (“nobili” e “popolo”) si procurarono, vicendevolmente, danni notevoli, riducendo in tal modo la città alla fame.
L'episodio si rivela istruttivo per noi, oggi, se abbiamo voglia di apprendere la lezione. L'insuccesso di Francesco fu dovuto essenzialmente a due motivi: perché la medicina da lui proposta si rivelava scomoda (i perugini avrebbero dovuto smettere di uccidere i vicini e di devastarne le terre) e perché a suggerirla era uno di Assisi, cioè uno considerato in partenza un nemico giurato. Questa storia può essere un' interessante lezione su come esercitare il nostro dovere civico. Quando si apre una discussione, o durante una campagna elettorale, dovremmo tenere in conto alcune cose: primo, le medicine proposte non devono tanto piacerci, ma risultare efficaci per tutto l'organismo sul quale dovranno agire; secondo, quando una cosa è giusta, va tenuta nel debito conto, anche se a dirla è uno considerato un “nemico”; terzo, soprattutto dobbiamo stare bene attenti a che le soluzioni proposte non calpestino la legge di Dio.
Note al testo
[1] Francesco, con il linguaggio dell’epoca, chiamava questi mesi di solitudine, spesso quattro all’anno, “Quaresime”. È per questo che ovunque si venerano eremi francescani, da lui utilizzati appunto per le sue Quaresime nelle quali pregava, si ritirava con il suo Signore e si preparava a predicare nei mesi successivi.
[2] Sulla questione della predicazione in san Francesco d'Assisi, cfr. anche 1/ Anche con le parole se necessario. Dalle prime fonti a Papa Francesco (da L’Osservatore Romano) 2/ «Predicate sempre il Vangelo e se fosse necessario, anche con le parole!». Breve nota di Pietro Messa. Tommaso da Celano fornisce uno sguardo d’insieme sulla predicazione di Francesco quando scrive: «Il valorosissimo soldato di Cristo passava per città e castelli annunciando il Regno dei cieli, la pace, la via della salvezza, la penitenza in remissione dei peccati; non però con gli artifici della sapienza umana, ma con la virtù dello Spirito (1Cor 2,4). Poiché ne aveva ricevuto l’autorizzazione dalla Sede Apostolica, operava fiducioso e sicuro, rifuggendo da adulazioni e lusinghe. Non era solito blandire i vizi, ma sferzarli con fermezza; non cercava scuse per la vita dei peccatori, ma li percuoteva con aspri rimproveri, dal momento che aveva piegato prima di tutto se stesso a fare ciò che inculcava agli altri. Non temendo quindi d’esser trovato incoerente, predicava la verità con franchezza, tanto che anche uomini dottissimi e celebri accoglievano ammirati le sue ispirate parole, e alla sua presenza erano invasi da un salutare timore.
Uomini e donne, chierici e religiosi accorrevano a gara a vedere e a sentire il Santo di Dio, che appariva a tutti come un uomo di un altro mondo. Persone di ogni età e sesso venivano sollecite ad ammirare le meraviglie che il Signore di nuovo compiva nel mondo per mezzo del suo servo. La presenza o anche la sola fama di san Francesco sembrava davvero una nuova luce mandata in quel tempo dal cielo a dissipare le caliginose tenebre che avevano invaso la terra, così che quasi più nessuno sapeva scorgere la via della salvezza. Erano infatti quasi tutti precipitati in una così profonda dimenticanza del Signore e dei suoi comandamenti, che appena sopportavano di smuoversi un poco dai loro vizi incalliti e inveterati.
Splendeva come fulgida stella nel buio della notte e come luce mattutina diffusa sulle tenebre; così in breve l'aspetto dell'intera regione si cambiò e, perdendo il suo orrore, divenne più ridente. È finita la lunga siccità, e nel campo già squallido cresce rigogliosa la messe. Anche la vigna incolta comincia a coprirsi di fiori profumati e a maturare, per grazia del Signore, i frutti soavi di bontà e di bene. Ovunque risuonano azioni di grazie e inni di lode, e non pochi, lasciate le cure mondane, seguendo l’esempio e l’insegnamento di san Francesco, impararono a conoscere amare e rispettare il loro Creatore. Molti, nobili e plebei, chierici e laici, docili alla divina ispirazione, si recavano dal Santo, bramosi di schierarsi per sempre con lui e sotto la sua guida. E a tutti egli, come ricca sorgente di grazia celeste, dona le acque vivificanti che fanno sbocciare le virtù nel giardino del cuore. Artista e maestro di vita evangelica veramente glorioso: mediante il suo esempio, la sua Regola e il suo insegnamento, si rinnova la Chiesa di Cristo nei suoi fedeli, uomini e donne, e trionfa la triplice milizia degli eletti.
A tutti dava una regola di vita, e indicava la via della salvezza a ciascuno secondo la propria condizione» (Tommaso da Celano, Vita prima, XV, 36-37; FF 382-385).
[3] Tommaso da Celano, Vita prima, XXII, 62 (FF 430).
[4] L’unica accortezza che Francesco aveva era di non predicare mai senza il consenso del vescovo della diocesi in cui era giunto.
[5] Tommaso da Celano, Vita prima, XXI, 59 (FF 426). Cfr. su questo C. Frugoni, Francesco e l’invenzione delle stimmate. Una storia per parole e immagini fino a Bonaventura e Giotto, Torino, Einaudi, 1993, pp. 246-252 e C. Frugoni, Vita di un uomo: Francesco d’Assisi, Torino, Einaudi, 1995, pp. 81-86 e, su questo sito, Il senso del miracolo della Predica agli uccelli nelle fonti francescane. Breve nota su Alviano ed il silenzio della natura dinanzi al Vangelo predicato da san Francesco, di Andrea Lonardo.
[6] Questo il testo dei Fioretti: «Al tempo che santo Francesco dimorava nella città di Agobbio, nel contado d'Agobbio apparì un lupo grandissimo, terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animali, ma eziandio gli uomini; in tanto che tutti i cittadini stavano in gran paura, però che spesse volte s'appressava alla città; e tutti andavano armati quando uscivano della città, come s'eglino andassono a combattere, e con tutto ciò non si poteano difendere da lui, chi in lui si scontrava solo. E per paura di questo lupo e' vennono a tanto, che nessuno era ardito d'uscire fuori della terra. Per la qual cosa avendo compassione santo Francesco agli uomini della terra, sì volle uscire fuori a questo lupo, bene che li cittadini al tutto non gliel consigliavano; e facendosi il segno della santissima croce, uscì fuori della terra egli co' suoi compagni, tutta la sua confidanza ponendo in Dio. E dubitando gli altri di andare più oltre, santo Francesco prese il cammino inverso il luogo dove era il lupo.
Ed ecco che, vedendo molti cittadini li quali erano venuti a vedere cotesto miracolo, il detto lupo si fa incontro a santo Francesco, con la bocca aperta; ed appressandosi a lui santo Francesco gli fa il segno della santissima croce, e chiamollo a sé e disse così: “Vieni qui, frate lupo, io ti comando dalla parte di Cristo che tu non facci male né a me né a persona”. Mirabile cosa a dire!
Immantanente che santo Francesco ebbe fatta la croce, il lupo terribile chiuse la bocca e ristette di correre; e fatto il comandamento, venne mansuetamente come agnello, e gittossi alli piedi di santo Francesco a giacere. E santo Francesco gli parlò così: “Frate lupo, tu fai molti danni in queste parti, e hai fatti grandi malifici, guastando e uccidendo le creature di Dio sanza sua licenza, e non solamente hai uccise e divorate le bestie, ma hai avuto ardire d'uccidere uomini fatti alla immagine di Dio; per la qual cosa tu se' degno delle forche come ladro e omicida pessimo; e ogni gente grida e mormora di te, e tutta questa terra t'è nemica. Ma io voglio, frate lupo, far la pace fra te e costoro, sicché tu non gli offenda più, ed eglino ti perdonino ogni passata offesa, e né li uomini né li cani ti perseguitino più”. E dette queste parole, il lupo con atti di corpo e di coda e di orecchi e con inchinare il capo mostrava d'accettare ciò che santo Francesco dicea e di volerlo osservare.
Allora santo Francesco disse: “Frate lupo, poiché ti piace di fare e di tenere questa pace, io ti prometto ch'io ti farò dare le spese continuamente, mentre tu viverai, dagli uomini di questa terra, sicché tu non patirai più fame; imperò che io so bene che per la fame tu hai fatto ogni male. Ma poich’io t’accatto questa grazia, io voglio, frate lupo, che tu mi imprometta che tu non nocerai mai a nessuna persona umana né ad animale: promettimi tu questo?”. E il lupo, con inchinare di capo, fece evidente segnale che ‘l prometteva. E santo Francesco sì dice: “Frate lupo, io voglio che tu mi facci fede di questa promessa, acciò ch'io me ne possa bene fidare”. E distendendo la mano santo Francesco per ricevere la sua fede, il lupo levò su il piè ritto dinanzi, e dimesticamente lo puose sopra la mano di santo Francesco, dandogli quello segnale ch'egli potea di fede. E allora disse santo Francesco: “Frate lupo, io ti comando nel nome di Gesù Cristo, che tu venga ora meco sanza dubitare di nulla, e andiamo a fermare questa pace al nome di Dio”. E il lupo ubbidiente se ne va con lui a modo d'uno agnello mansueto; di che li cittadini, vedendo questo, fortemente si maravigliavano. E subitamente questa novità si seppe per tutta la città; di che ogni gente, maschi e femmine, grandi e piccioli, giovani e vecchi, traggono alla piazza a vedere il lupo con santo Francesco.
Ed essendo ivi bene raunato tutto 'l popolo, levasi su santo Francesco e predica loro, dicendo, tra l'altre cose, come per li peccati Iddio permette cotali cose e pestilenze, e troppo è più pericolosa la fiamma dello inferno, la quale ci ha a durare eternalemente alli dannati, che non è la rabbia dello lupo il quale non può uccidere se non il corpo: “quanto è dunque da temere la bocca dello inferno, quando tanta moltitudine tiene in paura e in tremore la bocca d'un piccolo animale. Tornate dunque, carissimi, a Dio e fate degna penitenza de' vostri peccati, e Iddio vi libererà del lupo nel presente e nel futuro dal fuoco infernale”. E fatta la predica, disse santo Francesco: “Udite, fratelli miei: frate lupo che è qui dinanzi da voi, sì m'ha promesso, e fattomene fede, di far pace con voi e di non offendervi mai in cosa nessuna, e voi gli promettete di dargli ogni dì le cose necessarie; ed io v'entro mallevadore per lui che 'l patto della pace egli osserverà fermamente”. Allora tutto il popolo a una voce promise di nutricarlo continovamente. E santo Francesco, dinanzi a tutti, disse al lupo: “E tu, frate lupo, prometti d'osservare a costoro il patto della pace, che tu non offenda né gli uomini, né gli animali, né nessuna creatura?”. E il lupo inginocchiasi e inchina il capo e con atti mansueti di corpo e di coda e d'orecchi dimostrava, quanto è possibile, di volere servare loro ogni patto. Dice santo Francesco: “Frate lupo, io voglio che come tu mi desti fede di questa promessa fuori della porta, così dinanzi a tutto il popolo mi dia fede della tua promessa, che tu non mi ingannerai della mia promessa e malleveria ch'io ho fatta per te”. Allora il lupo levando il piè ritto, sì 'l puose in mano di santo Francesco. Onde tra questo atto e gli altri detti di sopra fu tanta allegrezza e ammirazione in tutto il popolo, sì per la divozione del Santo e sì per la novità del miracolo e sì per la pace del lupo, che tutti incominciarono a gridare al cielo, laudando e benedicendo Iddio, il quale sì avea loro mandato santo Francesco, che per li suoi meriti gli avea liberati dalla bocca della crudele bestia. E poi il detto lupo vivette due anni in Agobbio, ed entravasi dimesticamente per le case a uscio a uscio, sanza fare male a persona e sanza esserne fatto a lui, e fu nutricato cortesemente dalla gente, e andandosi così per la terra e per le case, giammai nessuno cane gli abbaiava drieto. Finalmente dopo due anni frate lupo sì si morì di vecchiaia, di che li cittadini molto si dolsono, imperò che veggendolo andare così mansueto per la città, si raccordavano meglio della virtù e santità di santo Francesco. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen» (Fioretti, XXI FF 1852).
[7] Anche la predicazione a Perugia è raccontata in dettaglio dalle fonti francescane: cfr. su questo l’articolo successivo di Felice Accrocca, accluso a questo stesso post.
[8] Tommaso da Celano, Vita prima, XXVII 72 (FF 447-448).
[9] Francesco d’Assisi, Commento al Padre nostro (FF 266-275).
[10] Tommaso da Celano, Vita prima, XVIII, 48 (FF 407).