La pedofilia e gli abusi sessuali che toccano trasversalmente tutte le religioni e tutti gli agnosticismi e ateismi. 4 testimonianze

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 03 /03 /2019 - 23:31 pm | Permalink | Homepage
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I quattro articoli che seguono non hanno alcuna finalità offensiva nei confronti delle diverse religioni o degli ambienti laici della comunicazione. La loro messa a disposizione congiunta intende solo sollevare la seguente questione: perché si parla solo degli abusi sessuali di determinate figure e si tace di altre, con rilevanza mass-mediatica diversa a seconda dei diversi colpevoli? L’articolo sulla Svezia, pur affrontando una tematica complementare, intende mostrare come gli ambienti della comunicazione, che sono fra i più accessi nelle denunce di una parte, sono a loro volta attenti a non dare eccessiva rilevanza al fatto che ogni giovane attore e attrice, minorenne o appena maggiorenne, deve subire pressioni sessuali per poter accedere a livelli più alti nei diversi media. Le quattro testimonianze nulla tolgono, ovviamente, alla doverosità del lavoro di inchiesta, di penitenza e di assegnazione di giusta pena portato avanti dalla Chiesa e dai suoi pontefici in particolare.

Il Centro culturale Gli scritti (3/3/2019)

 

1/ Il Dalai Lama sapeva degli abusi sessuali dei guru buddisti. Il leader spirituale tibetano ha ammesso di essere da decenni a conoscenza di abusi sessuali commessi da insegnanti buddisti in Occidente, di Matteo Orlando

Riprendiamo da Il Giornale del 17/9/2018 un articolo di Matteo Orlando. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Le nuove schiavitù.

Il Centro culturale Gli scritti (3/3/2019)

In particolare, Tenzin Gyatso, riferendosi alle testimonianze e alle storie di quattro vittime di abusi sessuali belgo-olandesi, che sarebbero state abusate da alcuni guru buddisti, ha detto di sapere che "non sono nuove" accuse.

Il Dalai Lama ha commentato gli abusi durante un viaggio di quattro giorni (dal 14 al 17 Settembre) in Olanda e rispondendo ad una petizione di una dozzina di vittime di attacchi sessuali commessi da insegnanti buddisti, persone che hanno chiesto di potere incontrare l'83enne leader tibetano durante il suo tour in Europa.

Il Premio Nobel per la pace dell'anno 1989 ha aggiunto di aver sentito parlare per la prima volta di abusi quando si trovava in una conferenza per insegnanti buddisti occidentali a Dharamshala, una città collinare nel nord dell'India, dove vive in esilio: "Venticinque anni fa qualcuno ha parlato di un problema di accuse sessuali".

Ha precisato che egli era consapevole delle accuse contro Sogyal Rinpoche, uno dei più famosi e controversi maestri buddisti, accusato dal 1992 di tanti tipi di abusi avverso gli studenti che aveva in diversi centri in Europa, in particolare nel sud della Francia, paese che sta investigando sui fatti. Uno studente di un centro nel villaggio olandese di Makkinga, nella provincia della Frisia, ha riferito di "lavaggi del cervello, minacce, arricchimenti e relazioni sessuali con donne e ragazze minorenni". Il leader spirituale tibetano ha invitato le vittime di tali abusi a rendere pubbliche le loro storie in modo da umiliare pubblicamente gli insegnanti coinvolti.

Tseten Samdup Chhoekyapa, un rappresentante del Buddismo tibetano in Europa ha affermato che il Dalai Lama ha "denunciato con costanza comportamenti così irresponsabili e non etici" mentre per una delle vittime, Oane Bijlsma, il Dalai Lama vivrebbe "ignaro di ciò che sta accadendo intorno a lui", riferendosi ai suoi seguaci che, "circondati dal lusso, si sono approfittati della loro posizione di monaci rispettabili per abusare delle persone che cercano solo risposte a domande esistenziali".

Dopo gli scandali sessuali, specialmente a sfondo omosessuale, venuti fuori nella Chiesa cattolica molte vittime dei buddisti hanno iniziato a esporre le loro sofferenze nel Regno Unito, in Francia, in Belgio, in Olanda e negli Stati Uniti. Nei Paesi Bassi hanno persino creato il #MeTooGuru.

Il Dalai Lama ha dichiarato che coloro che abusano "non si preoccupano dell'insegnamento del Buddha" e ha incoraggiato i leader spirituali tibetani a discutere della questione degli abusi durante i prossimi incontri dei leader di questa branca del Buddismo mondiale.

2/ Islam e pedofilia in Gran Bretagna. Richieste regole rigorose nelle scuole che accolgono ogni giorno circa 250mila bambini musulmani per lezioni sul Corano, di Marco Tosatti

Riprendiamo da La Stampa del 5/11/2011 un articolo di Marco Tosatti. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Le nuove schiavitù.

Il Centro culturale Gli scritti (3/3/2019)

Le scuole islamiche britanniche, le “madrasa”, si trovano di fronte a più di 400 accuse di abusi sessuali negli ultimi tre anni, secondo un’inchiesta svolta dalla Bbc; ma solo un numero molto piccolo di queste ha portato a un’inchiesta giudiziaria coronata da successo. Questa situazione fa sì che sia stata avanzata la richiesta di uno statuto che regoli formalmente l’attività di queste scuole, che accolgono ogni giorno circa 250mila bambini musulmani per lezioni sul Corano. La situazione appare di tale gravità che il presidente della Commissione delle moschee e del consiglio nazionale sugli imam ha detto che avrebbe trattato il problema con un carattere di urgenza.

Un problema dentro il problema riguarda il comportamento delle comunità, e delle famiglie dei bambini vittime degli abusi. Molto spesso le famiglie hanno ricevuto forti pressioni affinché non si rivolgessero alla magistratura, o addirittura non presentassero nemmeno una protesta o una denuncia formale all’interno della scuola. E secondo un magistrato le cifre citate rappresenterebbero solo la punta di un iceberg, dalle dimensioni molto più grandi.

Un programma della Bbc radio, “File on 4” ha chiesto a più di duecento esponenti locali in Inghilterra, Scozia e Galles quanti casi di abuso fisico o sessuale avessero ricevuto, o fossero venuti alla luce negli ultimi tre anni. Cento e novantuno di essi si sono detti d’accordo nel fornire informazioni, portando così alla luce un totale di 421 casi di abusi fisici, Ma solo dieci di questi episodi hanno trovato una strada per giungere all’attenzione della magistratura; e solo due si sono conclusi con un’incriminazione. I vari Consigli hanno rivelato anche che ci sono state trenta denunce nelle scuole supplementari islamiche, denunce che hanno condotto a quattro inchieste giudiziarie, ma solo a un’incriminazione.

Il responsabile in quel caso era Mohammed Hanif Khanm un imam di Stoke-on-Trent che è stato condannato a 16 anni di prigione nel marzo di quest’anno per aver violentato un ragazzo di dodici anni e aver molestato sessualmente un ragazzo di quindici. Alcune delle autorità locali contattate hanno affermato che la pressione delle comunità islamiche ha obbligato le famiglie a ritirare le denunce. In un caso di abuso fisico a Lambeth, due membri dello staff di una moschea sono stati accusati di aver aggredito dei bambini con delle matite e un cavo telefonico. Ma le vittime successivamente si sono rifiutate di proseguire nella denuncia, e nella richiesta di giustizia.

In Lancashire, la polizia ha aggiunto che bambini di sei anni hanno detto di aver ricevuto pugni nella schiena, di essere stati schiaffeggiati e presi a calci, e che gli sono stati tirati i capelli. In molti casi gli alunni hanno dichiarato di essere stati colpiti con bastoni o altri oggetti. E quello che appare più preoccupante è che il numero degli episodi di violenza, sessuale o di altro tipo, sembra essere in crescita costante. È un elemento che si riscontra grazie alle autorità locali che hanno fornito i dati dividendoli in base all’anno. Nel 2009 le denunce per abusi sono state 89; nel 2010 erano raddoppiate, giungendo sino a 178; e nei primi nove mesi di quest’anno erano arrivate a 146, facendo prevedere che per la fine del 2011 si sfioreranno i duecento casi.

La popolazione musulmana in Gran Bretagna è di circa due milioni e mezzo di persone, e più della metà di essi sono sotto i 25 anni di età. Il numero delle “madrase” sta crescendo rapidamente, grazie proprio a questa forte popolazione giovanile, e i bambini vi passano circa dieci ore a settimana, imparando a recitare l’arabo del Corano, cioè l’arabo classico.

Queste cifre, che rappresentano un vero choc a livello di opinione pubblica, hanno fatto sì che Mohammad Shahid Raza, presidente del Comitato nazionale per le moschee e gli imam, creato dalle organizzazioni islamiche per innalzare lo standard dei servizi offerti dalle istituzioni religiose, abbia affermato che tratterà la questione come un problema di urgenza. “Queste cifre sono molto, molto allarmanti – ha dichiarato -. Non c’è nessuna giustificazione per punizioni del genere all’interno delle nostre moschee o scuole. Non so quanto sia diffusa questa pratica inaccettabile, ma la nostra responsabilità è di far sì che coloro che conducono le moschee capiscano che viviamo in una società civilizzata, e che questo è inaccettabile, in ogni forma”.

Il presidente ha dichiarato che voleva che il problema fosse trattato in base a un’autoregolamentazione , ma ci sono richieste per un’azione da parte del governo. Un leader dell’intellighenzia musulmana nel Paese, Ghayusuddin Siddiqui, ha detto che ci sono numerose organizzazioni, non regolamentate, che aprono madrase nel Regno Unito, la maggior parte nelle moschee, ma alcune in garage, pub abbandonati o case private. E gli abusi sono troppo comuni.

“Stiamo distruggendo la vita dei nostri giovani – ha dichiarato alla BBC -. Bisogna mettere in vigore un sistema che assicuri che là ci sia solo insegnamento, non abusi sessuali o fisici”. Secondo Nazir Afzal, procuratore capo della Corona nell’Inghilterra nord-occidentale, le cifre fornite dall’emittente britannica “sono significativamente sottostimate”. “Abbiamo il dovere di far sì che le persone abbiano fiducia e facciano le loro denunce. Se c’è una vittima, ce ne saranno altre, e allora è essenziale per le vittime uscire allo scoperto, che i genitori li appoggino e che chi è responsabile della giustizia criminale prenda sul serio questi incidenti”.

La punizione corporale è legale in un ambiente religioso, ma solo se non eccede un “castigo ragionevole”. Una relazione ufficiale, pubblicata l’anno scorso, chiedeva il bando legale di questa pratica, ma alla richiesta non ha fatto seguito nessuna azione. Sir Roger Singleton, autore della relazione, dopo le nuove scoperte ha dichiarato: “Non siamo di fronte a casi isolati. E mi preoccupa il fatto che alle segnalazioni non faccia seguito un numero più grande di inchieste giudiziarie”.

Che non si tratti di un problema isolato, né riferito solo alla Gran Bretagna è evidente dall’intervento – compiuto in tempi non sospetti da Shaista Gohir, Direttore esecutivo del Muslim Women’s Network della Gran Bretagna, che sul Guardian condanna “L’ipocrisia degli abusi sui bambini in molti Paesi musulmani”. Scrive Shaista: “Alcuni musulmani amano condannare l’immoralità occidentale – alcolismo, nudità, sesso prematrimoniale e omosessualità, tutti citati come esempi. Ma i musulmani non hanno un monopolio sulla moralità. In occidente, il matrimonio con i bambini e il sesso con i bambini sono illegali. Sfortunatamente la stessa cosa non si può dire per molti Paese musulmani”.

La Gohir cita il caso dei “bacha bazi” dell’Afghanistan, ragazzini comprati da famiglie povere, vestiti da donna e obbligati a danzare a feste e festini prima di essere usati sessualmente. In un Paese che non solo condanna ma punisce l’omosessualità fra adulti “uomini che sodomizzano ragazzini non sono considerati omosessuali o pedofili. Non è un fenomeno ristretto all’Afghanistan: la pederastia omosessuale è comune nel vicino Pakistan”. E conclude: “Mi chiedo come possono i musulmani restare silenziosi davanti all’abuso sessuale dei bambini”.

3/ Svezia, 456 attrici denunciano molestie sessuali con una lettera aperta e l'hashtag #metoo. Sono 456, attrici di teatro, dell'Opera reale o del cinema. In una lettera aperta, diffusa anche con #metoo, hanno denunciato anni di abusi sessuali e molestie da parte di registi e superiori, di Andrea Tarquini

Riprendiamo da La Repubblica del 10/11/2017 un articolo di Andrea Tarquini. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Sessualità e gender e Le nuove schiavitù.

Il Centro culturale Gli scritti (3/3/2019)

SONO IN TANTE, sono in 456, con il loro grido scuotono la Svezia. Sono tutte attrici di teatro, dell'Opera reale o del cinema. In una lettera aperta, diffusa anche con #metoo, hanno denunciato anni di abusi sessuali e molestie da parte di registi e superiori. È accaduto in Svezia, da ieri sera era la notizia d’apertura della radio pubblica e dei siti. Denunciano quanto hanno subito, e invitano la società a ribellarsi alla “cultura del silenzio”. Denunciano anche “la cultura del mito dell’artista geniale”, che fin dai tempi del bravissimo ma arrogante e autoritario Ingmar Bergman, spinge società, media, politici a tollerare vizi o cattive abitudini dei grandi o presunti grandi dello spettacolo e della cultura. Almeno in due casi, si parla di stupro compiuto.

La lettera aperta delle 456 vittime offre passi agghiaccianti. “Un collega ubriaco mi ha aggredito dopo la fine della rappresentazione di una pièce al teatro nazionale”, “un collega con cui dovevo girare una scena di sesso, in un film cui ho lavorato mentre appena madre allattavo, mi palpeggiava i seni fino a farmi sgorgare il latte, e premeva contro di me il suo membro in erezione”. O ancora: “Un collega che nella pièce teatrale aveva il ruolo di mio padre ha cercato di impormi di baciarlo sulla bocca lingua a lingua”, “un regista non cessava mai di palpeggiarmi violentemente il seno”. Finché gente simile è coperta dall’aureola del valore artistico del loro lavoro, dice ancora il documento, si sente coperta dall’impunità, “attori e registi resi celebri e stimati come geni della professione sono tollerati, qualsiasi cosa facciano subire alle loro colleghe”. Tra le firmatarie della lettera aperta ci sono Lena Endre, protagonista di film derivati da Millennium (la serie di libri gialli del compianto Stieg Larsson) e Sofia Helin, attrice cinematografica e teatrale, o Ruth Vega Fernandez. Il quotidiano Svenska Dagbladet, uno dei maggiori del paese, ha pubblicato il testo integrale della lettera aperta.

Lo shock contagia virale società e mondo politico. Il primo ministro socialdemocratico svedese, Stefan Löfvén, ha condannato gli abusi contro le 456 vittime. “Sono scioccato, sono testimonianze di comportamenti orribili, e terrorizza la quantità delle denunce, la quantità degli abusi e delle violenze”, ha dichiarato. La ministra della Cultura, Alice Bah Kuhnke, ha convocato per lunedí prossimo per un vertice d’emergenza i responsabili dei maggiori teatri nazionali, dal Teatro drammatico di cui Bergman fu direttore al Teatro nazionale all’Opera reale. L’istituto svedese del cinema ha deciso di creare una "green card", una patente di correttezza, che impegni produttori e attori ad astenersi da ogni molestia, con sanzioni penali per chi viola la norma. Il gravissino scandalo è tanto piú traumatico per la Svezia, paese all’avanguardia nel mondo per le pari opportunità, il rispetto verso le donne e il loro ruolo pubblico, e per la lotta a ogni abuso sessuale.

4/ I testimoni di Geova e i casi di pedofilia non denunciati. Casi insabbiati ed esplusioni per chi non si allinea. Le inchieste in Australia e Stati Uniti e Gran Bretagna sollevano dubbi in Italia, di Antonio Castaldo

Riprendiamo dal Corriere della Sera del 23/5/2016 un articolo di Antonio Castaldo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sotto-sezione Le nuove schiavitù.

Il Centro culturale Gli scritti (3/3/2019)

«Sono un testimone di Geova battezzato da molti anni». Comincia così la lettera inviata da Raffaele Di Martino ai vertici della sua organizzazione religiosa. Una richiesta di informazioni, e al contempo un modo per prendere le distanze. Il segno di una inquietitudine che accomuna il camionista 34enne di Ancona a molti altri «fratelli» in tutto il mondo dopo l’esplosione di un caso internazionale legato a episodi di pedofilia non denunciati. In Australia, negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e a cascata in molti altri Paesi del mondo, sono spuntate storie di bambini abusati e di mancate denunce, se non proprio di vicende taciute alle autorità giudiziarie. La questione è finita nelle aule dei tribunali. Ed è rimbalzata su forum, blog, profili Facebook di migliaia di fedeli che hanno cominciato a chiedersi se la naturale attitudine alla riservatezza di chi professa il credo di Charles Taze Russel non sia in passato degenerata nella sistematica copertura di pedofili e predatori sessuali.

La lettera alla Betel per prendere le distanze

Anche la famiglia Di Martino si è posta gli stessi dubbi e li ha messi nero su bianco nella lettera spedita alla Betel, l’equivalente del Vaticano per i quasi 248mila battezzati nel nome di Geova in Italia. «Chiedevamo la cancellazione dei nostri dati dagli archivi della congregazione - spiega Raffaele - perché vogliamo prendere le distanze, pur restando fedeli a questa religione che per noi è tutto. Per tutta risposta ci hanno convocato per un comitato giudiziario, il nostro tribunale interno. Noi abbiamo spiegato che avremmo risposto solo a comunicazioni scritte e loro, gli anziani, ci sono venuti a trovare una seconda volta a distanza di due giorni per comunicarci che non eravamo più testimoni di Geova. Cacciati via e cancellati dal ricordo e dalla frequentazione di tutti gli altri fratelli. Ai loro occhi non esistiamo più».

È l’ostracismo, la procedura che vieta ai fedeli qualsiasi rapporto con chi è stato «scomunicato». Una punizione che equivale alla «morte sociale» di individui nati e cresciuti all’interno di comunità che scoraggiano qualsiasi contatto esterno. Improvvisamente si ritrovano gettati nel «mondo degli infedeli», invisi ad amici e parenti, madri, padri, figli e fratelli, rimasti all’interno con l’obbligo di chiudere la porta in faccia a chi è uscito dal gregge. Un destino di solitudine e sofferenza per chi è stato educato a vivere sempre e soltanto all’interno dell’organizzazione.

Per loro, per i «disassociati», sono nate alcune associazioni, come la Quo Vadis, dello stesso Rocco Politi, e l’associazione Vittime della Torre di Guardia di Francesco Sarais, che offrono assistenza psicologica e legale.

L’inchiesta australiana

«Da alcune settimane — scriveva lo scorso novembre Di Raffaele — sto seguendo con molta attenzione le vicende giudiziarie che coinvolgono la Watchtower australiana». Dall’altra parte del mondo, infatti, una commissione d’inchiesta ha individuato 1006 casi nel corso degli ultimi 70 anni non segnalati alla magistratura. Nel corso della deposizione davanti alla Commissione Reale sulla pedofilia, istituita a Sidney la scorsa estate, Geoffrey Jackson, membro del corpo direttivo della Watchtower, uno dei 7 «papi» dei testimoni di Geova, ha ammesso che le procedure adottate fino ad allora si erano rivelate inadeguate: «Altrimenti - ha spiegato - non le avremmo modificate». Negli ultimi anni il libro degli Anziani, il testo di riferimento per chi guida le comunità di fedeli sul territorio, è stato progressivamente emendato. Fino al 2010 i testimoni di Giustizia non potevano ritenersi a tutti gli effetti «liberi di denunciare» abusi sui minori. Fino a quella data, era necessario avere almeno due testimoni per ritenere veritiero un fatto penalmente rilevante. «Ma nei casi di violenza sessuale come si fa ad avere due testimoni? Se non c’è confessione del colpevole, l’unico testimone è la vittima. E da sola non basta», spiega Rocco Politi, fino al 2001 anziano a Modena e anche sostituto sorvegliante. «Nel corso della mia esperienza - aggiunge Politi, oggi commentatore per Radio Maria - ho trattato almeno dieci comitati giudiziari che avevano per tema casi di molestie su minori. In nessun caso abbiamo riferito all’autorità giudiziaria».

La regola dei due testimoni

Come ogni dettaglio della vita spirituale (e non) dei testimoni di Geova, anche la regola dei due testimoni è mutuata da una minuziosa lettura della Bibbia. In questo caso si tratta di alcuni versetti del Deuteronomio: «Nessun testimone singolo deve levarsi contro un uomo rispetto a qualunque errore o a qualunque peccato, nel caso di qualunque peccato che egli commetta. La questione dev’essere stabilita per bocca di due testimoni o per bocca di tre testimoni». La regola nel 2010 è stata modificata, i fedeli sono liberi di denunciare e gli anziani sono invitati a non interferire con la scelta delle famiglie. Questo almeno è il dettato del libro degli anziani, un «codice» per chi guida le comunità.

Per entrare più nel dettaglio delle procedure adottate in casi come questi, bisogna consultare però le lettere agli anziani, circolari aggiornate periodicamente che costituiscono una sorta di manuale pratico. In una lettera del 2012 si legge chiaramente: «Se gli anziani vengono a sapere di un’accusa su abusi su minori, dovrebbero chiamare immediatamente il Reparto Servizio», ovvero la Betel, la sede centrale della congregazione a Roma. E allo stesso modo, in altre lettere viene più volte rimarcata la centralità dei responsabili romani su ogni delicata questione legale.

Lo scorso 18 febbraio, «Le Iene» hanno raccontato la vicenda di Riccardo Maggi. Venuto a conoscenza di un presunto abuso sessuale ai danni di un bambino di 9 anni, ha cercato di convincere gli altri anziani della congregazione a presentare denuncia. Dinanzi al loro rifiuto, ha deciso di denunciare da solo il fatto ai carabinieri che hanno avviato le indagini. E inoltre ha avvisato anche le altre famiglie della comunità dei rischi legati alla presenza tra di loro di un presunto pedofilo. Per tutta risposta, gli anziani lo hanno disassociato. Condannandolo alla «morte sociale» che spetta agli scomunicati di Geova.

La replica dei testimoni di Geova

A una richiesta di intervista di CorriereTv, l’ufficio informazione pubblica della Betel ha risposto con una lettera: «I testimoni di Geova ripudiano la pedofilia e gli abusi all’infanzia, reati perpetrati purtroppo a tutti i livelli della società. Per noi la salvaguardia dei bambini è di importanza capitale. Da decenni sia le nostre riviste sia il nostro sito web pubblicano articoli rivolti tanto ai testimoni di Geova che al pubblico in generale che trattano come proteggere i bambini dagli abusi», si legge nel comunicato, che spiega poi le modalità con cui i bambini partecipano alle attività: «Non sono mai separati dai genitori».

Riguardo poi al nodo fondamentale del rapporto con l’autorità giudiziaria in caso di molestie, il testo specifica: «La vittima o i relativi genitori hanno il sacrosanto diritto di denunciare i casi di abuso alle autorità competenti. Gli anziani di congregazione non celano alle autorità chi compie abusi o eventuali pedofili, né cercano in alcun modo di evitare a costoro le conseguenze delle loro azioni. Chi si macchia del peccato di abuso all’infanzia è passibile di espulsione dalla congregazione e, se ha una posizione di responsabilità, decade dall’incarico».

Riguardo all’inchiesta australiana, i vertici dei Testimoni di Geova italiani rimandano alla memoria difensiva presentata nel corso del procedimento, in cui si ribadisce che «i testimoni di Geova non perdonano né coprono» gli abusi su minori, ed anzi sono stati parte attiva «nelle indagini e nella documentazione» di casi di questo tipo. Per gli avvocati della Watchtower, inoltre, casi reali di molestie non sarebbero 1006, ma molti di meno. E in almeno 200 circostanze riguarderebbero fatti commessi da persone prima del loro battesimo. Infine, per quanto riguarda le accuse di Riccardo Maggi, i funzionari della Betel italiana aggiungono: «Aspettiamo di conoscere l’esito delle indagini avviate».

La precisazione

A distanza di tre giorni dalla pubblicazione del servizio, dall’Ufficio Informazione Pubblica dei Testimoni di Geova è arrivata una cortese richiesta di precisazione. Dopo aver ribadito quanto già enunciato e riportato nel testo dell’articolo, ovvero che i Testimoni di Geova ripudiano la pedofilia, la Congregazione centrale puntualizza che «rispondiamo a tutte le richieste di accesso ai dati personali nel pieno rispetto della normativa vigente e nei termini prescritti dalla legge. Mai nessun testimone di Geova è stato espulso per il motivo di aver richiesto l’accesso ai propri dati personali, richiesta che, si ribadisce, è pienamente legittima».

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