I graffiti dedicati ai Santi Pietro e Paolo presso le catacombe di S. Sebastiano sulla via Appia, di Carlo Carletti
Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 28-29/6/2010 un articolo scritto da Carlo Carletti con il titolo originario “Rozzi «viatores» per Pietro e Paolo. Il culto dei due apostoli nei graffiti della via Appia”. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (30/6/2010)
Nell'opinione corrente, abbondantemente alimentata dall'azione di un malinteso turismo religioso-culturale, il culto dei santi Pietro e Paolo è per lo più collegato ai due siti "storici" che, per primi, accolsero la loro memoria funeraria: le due aree sepolcrali in Vaticano e sulla via Ostiense, rimaste quasi nascoste per tre secoli e poi, nel primo trentennio del IV secolo, "segnalate" e rese visibili dall'iniziativa evergetica di Costantino con la costruzione di due monumentali basiliche, che assolsero alla duplice funzione memoriale e sepolcrale.
Ma, in relazione a una diffusa e partecipata utenza popolare, la storia della devozione dei martiri del 29 giugno, trova senza dubbio il suo punto di riferimento più rilevante, in termini di spessore documentario e definizione cronologica, nel complesso della memoria apostolorum sulla via Appia: un semplice e quasi dimesso cortile porticato su tre lati (triclia), che, dagli anni 250-260 e fino a circa il primo decennio-ventennio del IV secolo (cioè fino alla costruzione della basilica costantiniana che vi si sovrappose), vide la frequentazione di parecchie migliaia di visitatori lì richiamati da una tradizione che in quel sito aveva fissato una memoria dei due apostoli.
Che questa tradizione si sostanziasse di una presenza reale o presunta di reliquie o che si fondasse sull'immaginario devozionale di una sosta temporanea degli apostoli al loro arrivo a Roma, è argomento di difficilissima decifrazione, sul quale peraltro in passato si sono affaticate le menti di molti studiosi senza giungere a risultati pienamente plausibili: a ipotesi sono susseguite altre ipotesi e così via, per quasi un secolo.
Al di là delle divergenti posizioni della critica, c'è un dato storico oggettivo e incontestabile: le infrastrutture della triclia (pozzo, canalizzazione, banchi in muratura) e soprattutto le circa cinquecento iscrizioni graffiate sull'intonaco delle pareti indicano in questo ambiente un centro di culto funerario, nel quale i visitatori consumavano il pasto rituale del refrigerium, lasciando testimonianza scritta di un atto devozionale compiuto in onore di Pietro e Paolo.
I visitatori, per lo più provenienti dalla città stessa o dalle regioni circonvicine, si rivelano complessivamente poco pratici nello scrivere: tracciano "a fatica", con strumenti occasionali (chiodi o spilloni) non sempre idonei allo scopo, rozze e spesso deformate lettere capitali (peculiari dei semialfabeti) talvolta alternate a caratteri minuscoli: esiti grafici tipici di chi era rimasto al livello minimale delle cosiddette competenze "elementari di base", apprese ai primissimi gradini dell'istruzione elementare; analogamente sul piano linguistico - pur trattandosi di testi di estensione mediamente molto ridotta - emergono molteplici e caratteristici fenomeni grafo-fonetici, che riflettono la lingua della quotidianità in uso negli strati sociali di medio-basso livello culturale.
La gran parte di queste scritte, latine e in misura minore greche, contiene preghiere e invocazioni rivolte a Pietro e Paolo, espresse generalmente nelle locuzioni "ricordatevi del tale" (in mente habete, eis mneían échete), "proteggete il tale" (synterésate, terésate), "pregate per il tale" (petite, orate, rogate pro), "aiutate il tale" (subvenite, adiutate) sia in riferimento ai vivi sia in ricordo di congiunti defunti.
Le strutture formulari, pur stereotipe e ripetitive, lasciano comunque trasparire la spontanea e quasi confidenziale consuetudine di un rapporto interpersonale con i due apostoli, che, per oltre duecento volte, sono direttamente evocati per nome, senza - salvo poche eccezioni (Inscriptiones christianae, v, 12955, 13002, 13600) - la titolatura di martyres, sancti, beati, che diverrà ufficiale nella seconda metà del IV secolo e senza le locuzioni fissate nella prassi liturgica, che, in diversa ambientazione culturale, avrebbero per esempio suggerito se non obbligato il normativo Petre et Paule mementote ("Pietro e Paolo ricordatevi di") in luogo del "popolare" Petre et Paule in mente habete, che è la formula incipitaria base che introduce la gran parte delle iscrizioni devozionali della memoria apostolorum: non a caso tra i visitatori vi è una ridottissima presenza di ecclesiastici che, rispetto ai laici, quasi naturalmente avrebbero potuto veicolare lessico e formule di estrazione liturgica.
I viatores - così si autodefiniscono i devoti frequentatori (Inscriptiones christianae, v, 12988, 12963) - si recavano in questo sito della via Appia per lo più in gruppi familiari, ma non mancano aggregazioni più ampie e articolate che possono definirsi comunitarie. Agli apostoli si richiede di "intercedere" per chi era fisicamente presente o per amici e parenti assenti: "Pietro e Paolo intercedete (petite) per Vittore"; "Paolo e Pietro intercedete (petite) e pregate (rogate) per Eros"; "Pietro e Paolo intercedete per F... e Quinta perché possano raggiungervi (ut possimus ad vos venire)" (Inscriptiones christianae, v, 12989, 12937, 12970). Nelle intenzioni degli scriventi emerge anche un intento devozionale-commemorativo, laddove all'intercessione degli apostoli vengono affidati i fedeli defunti, definiti - con espressione tipicamente popolare - spirita sancta, "anime sante": "Pietro e Paolo ricordatevi delle anime sante, Marco e...". (Inscriptiones christianae, v, 12954).
Le richieste di protezione sono talvolta motivate con espliciti riferimenti alla quotidianità: un tale Restitutus chiede di poter sperare in una buona navigazione (nabiga - cioè naviga - felix) e un visitatore, rimasto per noi anonimo, anche a nome dei compagni di viaggio, chiede protezione per un'imminente traversata: rogo vos ut bene navigent (Inscriptiones christianae, v, 12973, 12959). In questo ambito non ci si aspetterebbe di trovare un numero consistente di graffiti figurati che rappresentano le immagini di cavalli paludati con la testa palmata (Inscriptiones christianae, v, 13088 a-c, 13089 a-d): traducono con ogni evidenza - seppure con qualche reticenza - la speranza del favore dei due apostoli per la vittoria del cavallo o dell'auriga preferiti nelle corse del circo ovvero un'ingenua forma di gratiarum actio per una richiesta esaudita.
In un ambito come quello della memoria apostolorum, funzionale nelle sue strutture per lo svolgimento della mensa funeraria, vi sono naturalmente espliciti riferimenti al banchetto funerario - il refrigerium - consumato in onore di Pietro e Paolo. Una pratica atavica che dall'ambito familiare e collegiale dei comuni mortali si inserisce nello specifico devozionale connesso al culto dei martiri dove acquisisce una dimensione comunitaria, che proprio nella memoria apostolorum della via Appia trova la sua più antica esemplificazione, in forma di specifici moduli epigrafici: Tomius Coelius refrigerium fecit; Dalmatius / votum eis (cioè agli apostoli) promisit / refrigerium; XIIII kal(endas) apriles / refrigeravi / Parthenius laddove è da notare l'inserimento del giorno del mese - il 19 marzo - nel quale Partenio consumò un pasto in onore degli apostoli (Inscriptiones christianae, v, 12981).
Ma qui refrigerium è anche impiegato in senso traslato (un tipico slittamento semantico), in riferimento cioè non più al banchetto reale, ma a quello ultraterreno della felicità eterna: "Pietro e Paolo prendete con voi nell'eterno refrigerio (ad se adugant et in aeterno refrigerio) le vostre anime sante; Petre et Paule / in mente abete / Ursinum in refrigerium, che anche qui è quello eterno dell'aldilà (Inscriptiones christianae, v, 12975, 12993).
Il carattere indubbiamente "popolare" e nel contempo di vasta e pubblica fruizione che emerge in questa documentazione epigrafica, costituisce la cifra caratterizzante dell'origine e del primo sviluppo del culto di Pietro e Paolo a Roma. Quanto tuttora si osserva sulle pareti del cortile porticato al terzo miglio della via Appia, è il segno esplicito di una pratica devozionale venuta e gestita dal "basso", che solo dopo circa un cinquantennio viene ufficialmente legittimata e quindi monumentalizzata con gli interventi prima di Costantino e poi di Damaso.
La genesi e il primo sviluppo di questa realtà devozionale insediatasi al terzo miglio della via Appia sfugge totalmente alla rete del modello interpretativo - presuntivamente onnicomprensivo - delineato da Peter Brown (Il culto dei santi. L'origine e la diffusione di una nuova religiosità, Torino, 2002), che vede nella nascita del culto dei martiri e dei santi un fenomeno di "riassetto sociale" (la riproposizione del rapporto patronus - clientes), voluto, promosso e gestito dall'autorità ecclesiastica e specificamente dal vescovo. E in questo caso nemmeno reggerebbe la vecchia teoria illuministica dei "due piani" (David Hume, Edward Gibbon), cioè della tensione tra le esigenze semplici e banali del "volgo" e quelle più alte ed esigenti delle élites, laiche ed ecclesiastiche.
(©L'Osservatore Romano - 28-29 giugno 2010)