La crisi della cultura laica (i classici, il padre e il sesso) ed alcune prospettive per venir fuori dall’impasse, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 02 /12 /2018 - 23:51 pm | Permalink | Homepage
- Tag usati: , ,
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo sul nostro sito alcune riflessione di Andrea Lonardo. Per approfondimenti, cfr. la sezione Laicità.

Il Centro culturale Gli scritti (2/12/2018)

N.B. Le riflessioni che seguono sono state messe per iscritto, pur essendo assolutamente incomplete ed enunciate troppo semplicisticamente, al fine di incentivare una presa di coscienza ed un dibattito. Sono il frutto del dialogo con altri autori cari a Gli scritti.

La crisi della cultura laica non è, purtroppo, soltanto politica, non si manifesta solo nel declino dei grandi partiti tradizionali e nella disaffezione ad alcuni dei grandi quotidiani nazionali: la crisi della cultura laica è prima ancora e molto più profondamente culturale ed è questo che preoccupa.

Vale la pena formulare qualche ipotesi su tale crisi per poterne dibattere in maniera libera e non illudersi che la crisi sia passeggera e dipendente esclusivamente da errori commessi da alcuni leader politici. 

Tre ambiti sembrano importanti per aprire tale dibattito.

1/ La cultura laica ha proposto un rincorsa al “moderno” e un’abolizione dei “classici” che l’ha resa, in un primo momento, vincente contro questi ultimi. Le parole “bello”, “vero”, “significativo” sono state sostituite con “moderno”, “nuovo”, “contemporaneo”. Solo ciò che era “recente” o “del novecento” era da intellettuali. La “novità è divenuta spesso criterio di “verità” e “valore culturale”. Ciò che era “antico”, anche perché legato alla storia cristiana del paese e del mondo, era da superare o, comunque, da relativizzare dinanzi all’avanzare del “nuovo”. Non aveva valore di “classico”, ma solo di testimone di un’epoca passata.

Ma quando ad essere datati sono stati gli stessi autori “nuovi” - quando cioè sarebbero dovuti diventare “nuovi classici” Brecht, Marcuse o Garaudy, Moravia, Claudio Lolli o Bertolucci -, ecco che questi maestri erano già non più moderni, ma irrimediabilmente datati.

2/ La cultura laica ha proposto un conflitto con la figura del “padre” e con il concetto di “dovere” che l’ha resa vincente, in un primo momento, dinanzi all’autorità.

Ma una volta che gli intellettuali che avevano propugnato slogan come “l’immaginazione al potere” e “abbasso i padri/padroni”, sono diventati dirigenti del sistema scolastico, del mondo universitario e dei media, è totalmente mancata la ripresa in una nuova chiave dell’esigenza di una professionalità “a regola d’arte” e di una “deontologia” del rispetto, anche dell’avversario.

Tutto il discorso etico e politico si è incentrato sui diritti, senza che si elaborasse una corrispettiva attenzioni ai doveri.

3/ La cultura laica ha cavalcato l’appello alla “libertà” sessuale, rendendola vincente, in un primo momento, dinanzi al perbenismo.

Ma, non appena una nuova visione della sessualità senza limite alcuno è divenuta cultura dominante, è mancato un serio discorso che provasse a riannodare la sessualità dall’amore.

Secondo la visione di W. Reich e la volgarizzazione delle sue teorie in libri come Porci con le ali, la sessualità avrebbe dovuto essere la cifra della liberalizzazione. Invece, la precocizzazione e l’eccessivizzazione di ogni “pallino” sessuale l’ha fatta da padrone e la donna è diventata sempre più un oggetto – e la cosa non è stata poi così diversa in relazione alla figura maschile.

La mancata riflessione su questi tre terreni ha portato ad una impasse culturale.

Se è evidente la giusta impossibilità di un ritorno indietro, si esita a dichiarare i limiti dei modelli culturali che hanno dominato gli ultimi cinquanta anni. Ci si fa forza attribuendo ancora alla cultura degli anni ’50 ogni responsabilità a riguardo della gravità dei problemi presenti, senza rendersi conto che le nuove prospettive su cui si è critici si sono generate all’interno di un dominio culturale dei nuovi maestri che hanno dettato legge nella scuola, nell’università e nei media per decenni.

1/ Ripercorrendo la triade appena descritta vale la pena ricordare che l’incapacità di rimandare a nuovi classici ha fatto sì che Brecht, Marcuse o Garaudy, Moravia, Claudio Lolli o Bertolucci, siano assolutamente perduti per le nuove generazioni che ignorano assolutamente chi essi siano. Così come ignoreranno a breve chi li ha immediatamente seguiti, da Carmelo Bene a Dario Fo, se il criterio continuerà ad essere quello del "moderno"  e del "alla moda" a tutti i costi.

I più giovani, invece, tornano a riassaporare Dante, Leopardi e Manzoni, ma non ossessivamente presentati in chiave filologica, bensì come maestri di una vita possibile, capaci di infondere passione e di proporre riferimenti. Non c’è chi faccia chiarezza su quale posto attribuire oggi agli antichi e ai nuovi maestri e prima ancora su quale sia il motivo della disaffezione ad alcuni autori “moderni” o “contemporanei” da parte delle nuove generazioni.

2/ Similmente se, grazie a Dio, è chiusa ogni via ad un nuovo padre-padronismo, da più parti si manifesta un nuovo desiderio di punti di riferimento, nella consapevolezza che sia necessaria una nuova forma di dovere e responsabilità – si pensi solo all’enunciazione del “complesso di Telemaco” da parte di Recalcati ed alla riflessione di tanti sulla necessità di una riscoperta del padre. Anche in questo ambito, però, la riflessione non cerca un confronto con le opposte tesi cavalcate negli ultimi decenni e, di fatto, la cultura non si sbilancia fino a fare autocritica.

3/ Infine, se la via di un bigottismo sessuale è alle spalle e una diffusa liberalizzazione sessuale già in età adolescenziale è evidente a chiunque conosca quell’età, resta inevasa la domanda sull’amore. Nessuno si sofferma a domandarsi perché quella liberalizzazione così imponente – da qualcuno definitiva il vero portato del ’68 – non abbia prodotto una maggiore capacità di amare, ma anzi i legami siano divenuti più effimeri, liquidi. Stupisce, al contempo, il riemergere nei giovani di una fame di comprendere cosa sia l’amore e il desiderio di riannodarlo con la sessualità.

È dinanzi a queste grandi questioni che la cultura tace e, per questo, rischia di divenire poco significativa.

Riaprire con atteggiamenti nuovi questi tre “cantieri” sarà decisivo per la cultura laica: tutti abbiamo bisogno del suo apporto.