“Quale missione per l’Università oggi? Formazione, ricerca, innovazione, lavoro, sapienza”. Il discorso introduttivo del Cardinal Angelo De Donatis
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Riprendiamo sul nostro sito il discorso con il quale S.Em. il cardinal Angelo De Donatis ha introdotto l’8 novembre 2018 il XV Simposio dei Magnifici Rettori e dei Docenti Universitari, organizzato dal Servizio per la Cultura l’Università della diocesi di Roma, dal titolo: “Quale missione per l’Università oggi? Formazione, ricerca, innovazione, lavoro, sapienza”. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Università. Per i prossimi appuntamenti, cfr. il sito www.culturaeuniversita.org.
Alcuni file audio delle relazioni del Simposio sono già disponibili on-line:
- Introduzione Quale missione per l'Università oggi? (Cardinal Angelo De Donatis XV Simposio)
- Introduzione Quale missione per l'Università oggi? (Introduzione Lonardo XV Simposio)
- Pierluigi Nicotera Lectio magistralis XV Simposio Rettori Docenti. Quale missione per l'Università
- Luca Serianni Lectio magistralis XV Simposio dei Rettori Docenti. Quale missione per l'Università
- Lina Bolzoni Scienze e sapienza. L'università come convito (XV Simposio Rettori Docenti)
Sono disponibili anche le trascrizioni delle prime relazioni:
- “Quale missione per l’Università oggi? Formazione, ricerca, innovazione, lavoro, sapienza”. Il discorso introduttivo del Cardinal Angelo De Donatis
- La missione dell'Università oggi, di Luca Serianni
- Scienze e sapienza: l’Università come convito. Dialogare con gli antichi come vincere la noia, dimenticare ogni affanno e non essere più sbigottiti dalla morte, di Lina Bolzoni
Il Centro culturale Gli scritti (11/11/2018)
Buonasera a tutti,
Magnifici Rettori, chiarissimi Professori, illustri Autorità,
voglio prima di tutto darvi il benvenuto in questa che è una delle tante “dimore” che ospitano l’intera città di Roma, così come lo sono i vostri Atenei.
Il Vicariato, come sapete bene, è il luogo dove la persona scelta dal Vescovo di Roma, Papa Francesco, risiede e aiuta il Papa in tutte le sue funzioni, specialmente l’andamento delle parrocchie, la vita dei sacerdoti, la Caritas diocesana, la formazione, la vita della cultura e dell’università, la costruzione di questa città. Per questo mi trovo qui questa sera.
Voi sapete che Roma ha una storia peculiare, maturata dall’incontro - che dura ormai da millenni - fra la cultura classica e scientifica e la fede cristiana, incontro che l’ha fecondata. Si potrebbe dire, senza paura di sbagliare, che Roma abbia come fondatori due coppie di “fratelli”, Romolo e Remo, da un lato, Pietro e Paolo, dall’altro. Quindi Roma non sarebbe Roma senza Romolo e Remo, ma non sarebbe Roma senza Pietro e Paolo.
Se voi toglieste dalla storia romana una di queste coppie di fratelli, Roma sarebbe totalmente diversa. Ma queste due storie non sono sorte l’una dopo l’altra, né sono la somma l’una dell’altra. Queste due storie si sono intrecciate in maniera da fecondare la Storia, creando un modo di vedere il mondo e la vita, la cultura e il futuro. Tutti gli studenti fuori sede, come tutti i turisti, vengono a godere di questo intreccio. Roma lo offre a loro come una chiave di lettura della vita e del mondo intero.
Da tutto il mondo si guarda a questa città per la sua peculiare storia che prosegue anche al presente. Si pensi solo al fatto che quell’istituzione meravigliosa - l’università - alla quale voi dedicate la vostra vita perché cresca e sia sempre fruttuosa, è nata nel medioevo dalla fusione di questi due retaggi ed è stata poi accolta dovunque, in ogni cultura, come un dono che dall’Italia e dall’Europa si è espanso al mondo intero.
Naturalmente voglio precisare che questa affermazione non ha alcun intento rivendicativo, proprio perché si tratta dell’intreccio di due storie e non dell’esclusione di una a favore dell’altra, assolutamente.
Voglio condividere con voi anche una gioia che mi ha toccato in maniera profonda in questo mese di ottobre. Ho avuto la possibilità di partecipare, su invito di Papa Francesco, al Sinodo dei Vescovi dedicato ai giovani che si è appena concluso da pochi giorni.
È stato un mese molto intenso, veramente un mese di lavoro, insieme a vescovi di tutto il mondo, insieme ad esperti provenienti anche dal mondo universitario, così come insieme a tanti giovani di ogni parte del mondo. Papa Francesco ha voluto condividere giorno per giorno il cammino di tutti: ha ascoltato – io sono rimasto impressionato dalle ore che ha passato con noi, in silenzio -, ha ascoltato, ma ha anche raccontato delle sue esperienze con i giovani, ha mangiato e scherzato con noi, ha fatto sentire la sua paternità autorevole e chiarificatrice.
E abbiamo insieme riflettuto sul mondo giovanile, quel mondo che voi servite con tanta passione e, immagino, con tanta fatica, con tanto impegno. Tutti sappiamo come ci è stata affidata la vita delle nuove generazioni e come esse possano perdersi o trovare la vita proprio negli anni nei quali frequentano l’Università.
Tutti sentiamo come un brivido quando ci relazioniamo alle nuove generazioni, perché non possiamo non domandarci come questi giovani studenti saranno quando lavoreranno, quando diverranno a loro volta docenti o ricercatori, quando si sposeranno, quando saranno padri o madri.
Ecco, la grandezza del vostro lavoro sta nel fatto di relazionarvi, ogni giorno, con persone vive, anzi con la vita stessa che sempre ci sorprende e che tutti amiamo.
Papa Francesco ricordava in un recentissimo intervento rivolto a dei giovani di un associazione che tutta l’educazione consiste nello scoprire le proprie radici e insieme nell’aprirci all’incontro con il nuovo che ancora non conosciamo.
E diceva loro: «Non potete parlare d’identità senza parlare di appartenenza. Identità è appartenere. Appartenere è qualcosa che ti trascende, è qualcosa più grande di te. Il pericolo, tanto presente in questi tempi, è quando un’identità si dimentica delle sue radici, si dimentica da dove viene».
Quante volte il Papa, Papa Francesco, ci ha parlato dell’importanza della relazione tra nonni e nipoti, tra padri e figli! Vi ricordate quella espressione che lui ama tanto citare: «Gli anziani faranno sogni e i giovani avranno visioni». Ma grazie ai sogni degli anziani.
Ma subito aggiungeva: «Avete il coraggio di mescolare i vostri linguaggi, di aprire le vostre storie senza rinunciare ad esse, di lasciarvi riscrivere dall’altro, dal diverso, dallo sconosciuto, restando sempre diversi e, al contempo, sempre più voi stessi. E facendo della vostra identità, di questa appartenenza che avete ricevuto, un’opera d’arte». Bellissimo!
Se chi ha una storia e un’appartenenza dimentica di aprirsi all’altro, la sua storia diviene un vicolo cieco, cioè diventa un luogo stantio.
Ecco il compito dell’Università, che è anche il tema del Simposio che si apre questa sera. Amare l’Università vuol dire avere una storia da raccontare, una ricchezza che è la nostra identità, la meraviglia di una storia tutta italiana, europea e universale, che ci ha costituito.
Ma comprendere le radici di questa storia significa avere una visione nuova della storia stessa, che non è una gabbia, ma una storia della quale dobbiamo scrivere una nuova tappa, offrendola poi a chiunque.
Se si perdesse la ricchezza del passato, resteremmo orfani, come lo sono talvolta i nostri giovani e come appare talvolta il mondo della cultura, quasi avesse dimenticato i suoi testimoni e i suoi maestri. Ma, d’altro canto, se non si aprisse sempre al nuovo diverrebbe un relitto fossile, si farebbe “museo” e non più una storia viva.
Un classico – e quanto i nostri giovani hanno bisogno di riscoprire tutto questo – un classico è qualcosa che attraversa il tempo e lo feconda ancora, nell’incontro con una novità che non è mai ostacolo.
E ancora ritornando al nostro vescovo, Papa Francesco ama parlare dell’esigenza che ognuno di noi ha sia di essere “scientifico”, sia di essere “sapiente”. E sempre, quando ha incontrato il mondo universitario e poi nel recente documento sulle Università pontificie Veritatis Gaudium – ha parlato della “sapienza” che accompagna la “scienza”. Sempre.
Guai se l’Università non fosse scientifica, se non fosse critica, se non esercitasse tutta l’attenzione per un discorso che sia fondato, che sia metodologicamente critico, ma anche onesto intellettualmente. Tutta la nostra tradizione deve continuare ad insegnare che il mondo intero, che i giovani, che la ricerca, hanno bisogno di scientificità e di onestà intellettuale. Non avrebbe senso un dialogo fra le culture che mettesse fra parentesi la libertà di ricerca.
Eppure – lo sappiamo bene - la scientificità non ci basta, perché il nostro cuore si interroga su questioni decisive per la nostra vita che non sono puramente scientifiche. Faccio bene a far nascere un bambino o è bene che l’umanità finisca con me? Come posso decidere se sia bene sposarmi e poi con chi? Esiste la felicità e come la si raggiunge? È questa la “sapienza” che è necessaria anche all’uomo di scienza, così come la “scienza” è necessaria anche all’uomo “sapiente”.
Per questo Papa Francesco ha scelto la parola “discernimento” come parola chiave del Sinodo. E se dovessi dire la mia impressione alla fine di questo mese, mi sembra che ormai si sta capendo che questa parola non è una parola di moda, è qualcosa che impegna veramente lo stile della vita.
Questo termine è carissimo all’esperienza cristiana che ne ha fatto come una sua caratteristica peculiare con un’infinità di sapienti e santi che hanno aiutato gli uomini a comprendere come si possa chiarificare cos’è il bene e il male, qual è la propria vocazione, cosa sia bello scegliere, se esista una speranza affidabile.
E concludo dicendo: dal titolo del vostro Simposio e dalle Sessioni dei docenti che si svolgeranno domani, io colgo che questa prospettiva indicata dal Papa vi è familiare e che intendete misuravi con essa. Come essere insieme scienziati e sapienti? E come mostrare ai giovani che si affacciano all’Università o proseguono nella ricerca come noi stessi siamo riusciti a crescere nella via della scienza e insieme della sapienza?
È un compito molto bello.
E allora permettetemi di esprimere tutta la mia gratitudine per esservi radunati qui nella nostra “casa” del Vicariato, lasciandovi un ultimo ricordo prima dei vostri lavori. Fra i vostri studenti ha studiato alla Sapienza di allora, lo Studium Urbis che non era ancora nella nuova sede, ma in quella antica di Sant’Ivo alla Sapienza, ha studiato Giovanni Battista Montini, San Paolo VI, che è stato qui a Roma studente di Lettere e filosofia.
Il mio augurio è questo: che le Università di Roma possano – e sono certo lo faranno – formare persone come quello studente che ha poi giovato non solo a Roma, non solo al Paese, ma al mondo intero.
Buon lavoro con tutto il cuore e avanti.