La leggenda di papa Silvestro e di Costantino: gli Actus Silvestri, una ricerca di Tessa Canella nella presentazione di M.Simonetti, G.Arnaldi, F.Scorza Barcellona, A.Camplani, G.Otranto (A.L.)
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N.B. Il 21 marzo è stato presentato il volume di Tessa Canella, Gli Actus Silvestri. Genesi di una leggenda su Costantino imperatore, edito dal Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo. L’incontro si è tenuto presso l’Istituto Nazionale di Studi Romani.
Con questa breve nota vogliamo sintetizzare gli interventi che hanno introdotto alla lettura del volume. Abbiamo cercato di rendere i diversi punti di vista espressi dai relatori sull’opera e sulle questioni sottese così come siamo stati in grado di ricostruirle, senza commentarne le diverse posizioni via via espresse, anche quando evidentemente divergenti.
Il prof.Manlio Simonetti ha iniziato mettendo in evidenza come Costantino voglia subito chiarire, secondo la propria prospettiva, che il primato appartenga all’imperatore e non alla Chiesa di Roma. L’editto sulla libertà religiosa è del 313 e, subito, senza attendere un istante, si arroga il diritto di essere “capo” della chiesa. Ciò appare chiaramente dagli sviluppi della crisi donatista. Costantino interferisce immediatamente con essa. Nomina 3 vescovi della Gallia e li mette a disposizione di papa Milziade, perché esaminino il ricorso dei donatisti.
Il papa cerca allora di trasformare la commissione in un concilio.
Appena i donatisti, ricevuto il parere sfavorevole da Roma, si appellano nuovamente a Costantino, quest’ultimo cassa la decisione del concilio convocato dal papa ed indice un nuovo concilio ad Arles, senza sentire il parere di Roma e senza convocarla.
Nel 314 muore Milziade e comincia il lungo episcopato di Silvestro. Simonetti sostiene che probabilmente non ci furono molti rapporti con Costantino. Dalle fonti non sappiamo nulla su Silvestro. La notizia sul Liber pontificalis è lunghissima. E’ evidente che l’autore del Liber pontificalis conosce la leggenda degli Actus. Ma, a parte pochi tratti della leggenda, tutto il resto della biografia di Silvestro nel Liber è dedicata a parlare delle chiese che Costantino fece erigere durante il suo pontificato. Di Silvestro non si sa niente, la sua biografia è quasi una pagina bianca.
A Nicea Silvestro fu invitato da Costantino, ma si fece rappresentare da due presbiteri romani. Non consta che partecipò alla preparazione del Concilio, non consta che gli fosse richiesta una firma. Probabilmente è per questo che l’autore degli Actus ha scelto Silvestro e non Milziade: per riempire il vuoto con le sue notizie.
Il prof.Girolamo Arnaldi ha convenuto che gli Actus siano stati scritti per riempire un vuoto. Per 21 dei 31 anni di Costantino Silvestro è il papa e di lui non si sa nulla di preciso! Il Liber pontificalis aggiunge solo il nome del padre di Silvestro. E’ l’unica notizia ulteriore.
Arnaldi ha spiegato come la tesi della Canella provi che gli Actus siano un opera della fine del V secolo-inizi del VI secolo (e non dell’inizio del V secolo come si era da alcuni sostenuto precedentemente). L’opera è stata redatta a Roma, ma le fonti da cui deriva sono diverse e molte di queste sono orientali, di ambiente siriano - ipotizza la Canella.
Per Arnaldi ciò che gli Actus vogliono affermare è che il battesimo di Costantino era pienamente ortodosso: vogliono ricondurre ad una piena ortodossia la figura di Costantino. Questo probabilmente per confutare delle tesi accreditate, per riparare a delle notizie negative. Sotto papa Marcellino, Silvestro, insieme allo stesso Marcellino, avrebbe consegnato i Santi Libri (e lo stesso, afferma Arnaldi, avrebbero fatto anche Marcello e Milziade, poi pontefici), sotto Diocleziano.
Silvestro non fu presente né ad Arles, né a Nicea (a Nicea la firma dei due presbiteri romani, suoi rappresentanti, è dopo quella degli altri vescovi e dopo quella di Ossio di Cordova. In realtà, mai un papa ha partecipato ai concili della Chiesa antica, fino alla condanna del patriarca Fozio, nell’869-870.
L’importanza del papa era, piuttosto – ha continuato Arnaldi - di tipo dottrinale. Il concilio di Calcedonia lo evidenzia più di tutti gli altri. Ebbe, infatti, come continuo punto di riferimento il Tomus ad Flavianum del papa Leone, sebbene il papa non fosse presente al concilio. La posizione di Leone, infine, trionfò. Costantinopoli cercò poi negli anni di smussare gli angoli di quelle affermazioni dogmatiche.
Roma pagò talvolta uno scotto politico-ecclesiastico, ma fu sempre decisiva nella formazione del dogma.
Per Arnaldi, allora, perché nacquero gli Actus? Per il bisogno di inventare un papa che fosse alla pari con Costantino, che, insieme con lui, avesse determinato la svolta costantiniana.
E’ interessante che degli Actus non potrà mai uscire una edizione critica, tanto è difficile la loro storia testuale, cioè l’evoluzione delle diverse redazioni. Quelli che, in altri testi, sono corruzioni testuali, qui sono sviluppi dinamici del testo stesso, per cui non è più possibile risalire al testo originario. Non sono un filologo - ha affermato Arnaldi - ma mi sono accorto dal lavoro della Canella che la ricostruzione del testo è lavoro di una grande complessità.
Secondo l’Arnaldi, gli Actus non sono un testo agiografico, scritto per il culto. Cita l’esempio del testo della vita di Gregorio Magno scritto alla fine del IX secolo da Giovanni Immonide, perchè “non c’era un testo per la vigilia della festa”. Ma, per Arnaldi, non si può negare che poi gli Actus si inseriscano nella modalità di trasmissione tipica dei testi agiografici.
Il Constitutum di Costantino – è il testo a cui sono interessato, afferma l’Arnaldi – è successivo agli Actus, è della metà dell’VIII secolo. Non è un testo agiografico, è fatto in maniera da apparire un testo diplomatico. Meglio: la prima parte è un testo agiografico, ma, nella seconda, si presenta come un documento vero e proprio.
La Donazione sarà utilizzata solo a partire dalla metà dell’XI secolo. Arnaldi dichiara di non essere d’accordo con Vian che, secondo la lettura dell’Arnaldi, difende una lettura agiografica del Constitutum per salvare la Chiesa di Roma.
Arnaldi fa riferimento ad un passaggio dell’opera della Canella che affronta il difficile momento dello scisma laurenziano, quando si contrapposero Lorenzo e Simmaco. Racconta che C.Pietri voleva scrivere un terzo volume della sua storia di Roma e voleva giungere a ricostruire la storia di Roma cristiana fino a Gregorio Magno. Arnaldi ha provato a ricostruire ciò che avrebbe scritto se fosse riuscito a terminare questa terza parte della sua opera.
Per Arnaldi il problema che sottostava allo scisma laurenziano era quello della libera disponibilità dei beni della chiesa di Roma. Era finita la munificenza imperiale, ma c’era ancora quella senatoria. I senatori volevano che le donazioni avessero dei vincoli. Il papa voleva, invece, svincolare queste donazioni, per una libera disponibilità. La Chiesa aveva inizialmente perso la partita con il Senato, per poi tornare a vincere subito dopo. Era il tempo in cui si era affermato che nessuna chiesa potesse essere costruita senza il permesso del vescovo.
Per Arnaldi, la leggenda di Costantino è stata utilizzata in questo contesto di problemi.
Arnaldi afferma di esser stato colpito dalle pagine sulla tolleranza scritte dalla Canella nel commento agli Actus che ne parlano ampiamente. Si afferma che l’imperatore voleva che tutto il mondo diventasse cristiano – è per questo che Costantino aveva favorito la chiesa nell’aspetto della proprietà. Arnaldi afferma che prima di Costantino non esisteva nel diritto romano la proprietà di una persona giuridica, ma c’era solo la proprietà della persona fisica. Da Costantino in poi, invece, questa proprietà diventa possibile, perché nasce l’idea della persona giuridica
Costantino insomma ha chiara l’idea della superiorità del Dio cristiano, ma il papa reagisce affermando che il Dio cristiano ha consentito che ci siano anche altri culti. Cita in proposito anche P.Brown, nel luogo in cui tratta del Senato come di un Vaticano pagano nella tarda antichità.
Comunque, negli Actus, all’imperatore che vuole il cristianesimo come unica religione e che si arrabbia (irasci, in latino) contro i pagani, il papa si oppone ed invita a tollerare i culti pagani. E’ papa Silvestro, negli Actus, che difende i senatori “cattivi”.
Arnaldi ha spiegato poi come gli Actus siano divisi in due parti. La seconda parte è costituita dalla disputa fra cristiani ed ebrei. Nella leggenda degli Actus Elena appare come una ebrea o comunque una simpatizzante del giudaismo. Viene convocato un dibattito con giudici pagani in cui si affrontano 12 rabbini ed il papa Silvestro per stabilire quale sia la religione vera.
Alla fine viene portato un toro. Il rabbino gli soffia nell’orecchio ed il toro muore, Silvestro gli soffia nell’orecchio ed il toro risorge. Si stabilisce così che il cristianesimo è la vera religione ed Elena ed i rabbini si convertono.
Arnaldi arriva poi a parlare della donazione di Costantino. E’ solo Leone IX, nel 1054, che utilizza per la prima volta in senso politico il Constitutum – siamo nell’ambito delle tensioni con l’imperatore di Costantinopoli.
Per Arnaldi il primato era stato originariamente solo di onore. Il primato giuridico era emerso solo nel IX secolo con le decretali isidoriane (o pseudo-isidoriane).
Il primato di Roma, comunque, si era basato, nel tempo, sul versetto matteano delle chiavi date a Pietro e non aveva mai avuto bisogno di un riconoscimento imperiale. Invece, con il Constitutum emerge come motivo del primato – secondo Arnaldi - la conferma di Costantino.
Arnaldi conclude facendo riferimento agli studi di P.Toubert, secondo il quale nel Medioevo la dottrina dei due poteri, sviluppata da Gelasio in poi, non avrebbe grande importanza. Nonostante l’autorità del grande studioso, Arnaldi ha dei dubbi su questo. Si permette di criticare un aspetto del testo della Canella dove tratta della questione della tensione fra papato ed impero. Per lui è un po’ forzato. Gelasio aveva parlato sì di queste cose, ma in un contesto particolare non ripetibile.
Ha poi parlato il prof.Francesco Scorza Barcellona che ha lodato la scelta della Canella, di fronte all’impossibilità di restituire il testo originale, di cercare le fonti della leggenda, confluite poi nella prima redazione latina.
E’ d’accordo con la tesi della Canella che il luogo d’origine di queste fonti, che era stato precedentemente posto in Occidente, sia invece da porre nell’Oriente mediterraneo.
Già il Duchesne aveva osservato che una cosa era porre in Occidente la redazione ed un’altra ritenere indigena l’origine dei singoli elementi.
Si instaura così giustamente un confronto con la storia del re Abgar V di Edessa, convertito da Taddeo, secondo Eusebio (abbiamo, come è noto, una versione successiva e differente della stessa leggenda), ma anche con la storia parallela di Tiridate re di Armenia (gli armenisti, afferma, tendono oggi a riportare il testo al V secolo e non a spostarlo più tardivamente).
La storia leggendaria di Abgar narra che, ammalatosi, si rivolse a Gesù per la guarigione. Un messo gli fu allora inviato, portatore di una immagine del Salvatore per guarirlo. E’ possibile notare subito un parallelo ulteriore con Silvestro che fa portare i ritratti di Pietro e Paolo che Costantino ha visto in sogno.
Nella Dottrina di Addai abbiamo anche il racconto del rinvenimento della croce, ad opera di una presunta moglie dell’imperatore Claudio.
In tutti questi testi è presente la polemica anti-idolatrica, come negli Actus. Parallelamente c’è l’affermazione che la costrizione in materia religiosa è da rifiutare.
Negli Actus non c’è il ritrovamento della croce, ma questo racconto è idealmente collegato con gli Actus. Compare Elena, invece, che è ebrea o giudaizzante. Elena spiega a Costantino che è giusta la fede in un unico Dio, ma che l’imperatore si sbaglia a credere ai cristiani, perchè questi “fanno di un uomo un Dio”. Segue allora la disputa con i rabbini e gli Actus si concludono con Elena ed il suo viaggio a Gerusalemme, dopo la conversione.
Almeno uno studioso, afferma Scorza Barcellona, sostiene che il ritrovamento della croce fosse originariamente parte degli Actus e che sia stato poi enucleato.
Se vediamo la leggenda di Giuda Ciricao, a cui Elena si rivolge per trovare la croce, vediamo che poi Giuda si fa cristiano e cambia il suo nome in Ciriaco, appunto.
Poiché Sozomeno vi accenna, la leggenda deve essere anteriore alla metà del V secolo (Sozomeno vi accenna, per rifiutare la veridicità della storia). Stefano protomartire sarebbe stato antenato di Giuda Ciriaco, secondo la leggenda, quindi è stata ipotizzata l’origine gerosolimitana del racconto.
Qui Elena è molto critica con gli ebrei, che non avrebbero mai compreso nulla della fede – ed alla fine li espelle.
Questa leggenda sembra in contatto con gli Actus. Pur non essendoci Giuda, qui è Elena stessa che rappresenta gli ebrei.
C’è inoltre un piccolo particolare che potrebbe essere un segnale del lento slittare dalla storia alla leggenda. Si racconta che Costantino sia stato battezzato da Eusebio di Roma, che poi divenne vescovo di Costantinopoli (cioè della nuova Roma).
Van Esbroeck dice che è intenzionale questo riferimento e che è anti-costantinopolitano. Serve a dire che il vescovo di Costantinopoli è ariano (come saranno ariani gli imperatori Costanzo e Valente). E’ successivamente che Eusebio diventa Silvestro (non si poteva anticipare il battesimo all’Eusebio romano che fu papa per pochi mesi nel 309 o nel 310).
Scorza Barcellona condivide pienamente la tesi della Canella che parla di un “impianto di leggende” che ci riporta ad una origine orientale.
Sostiene anche che gli Actus sono agiografici.
Già il nome del testo, Actus, indica formalmente che si tratta di una storia di Silvestro. La finale è tutta a lui dedicata, con l’altercatio con i giudei. D’altronde anche nella Vita di Sant’Antonio che è chiaramente un testo agiografico – troviamo dei passi che non collimano con ciò che chiameremmo un testo agiografico.
Scorza Barcellona richiama l’attenzione sul fatto che solo la versione C, la più tardiva, racconti della morte di Silvestro. Un testo agiografico deve contenere il racconto della morte del santo.
Insomma non tutto è chiaro, ma è certamente un testo agiografico. Potremmo domandarci ulteriormente: sono solo vicende pretestuose o c’è di più? Quale tipologia di vescovo o di papa ci presentano?
Con Simmaco abbiamo quasi una canonizzazione di Silvestro. Si racconta che Timoteo sia arrivato da Oriente, che abbia predicato, che sia morto martire e che Silvestro lo abbia seppellito.
Il professor Scorza Barcellona conclude facendo riferimento a come – se si leggono attentamente i testi – sia possibile evincere che i Bollandisti abbiano optato chiaramente per una comprensione agiografica.
Il prof.Alberto Camplani si è soffermato sull’aspetto metodologico. Ha elogiato la ricerca della Canella perché non ha cercato solo l’origine dei singoli elementi, ma della combinazione di essi. E’ questo che rende valida l’idea di un origine orientale. E’ solo la redazione che ha poi aggiornato ed acclimatato il tutto nella sede romana.
Il riferimento va – anche secondo lui – alla Dottrina di Addai ed alla Leggenda di Giuda Ciriaco. Bisogna ricordare che questi testi non sono solo agiografici, ma anche politici. Stabilendo un rapporto fra Edessa e la Palestina si accentua la dimensione anti-eretica (fine IV-inizi V secolo). La dottrina di Addai vuole cancellare il passato marcionita di Edessa. Vuole presentare la conversione della dinastia regnante e la sua autorevolezza in città e nella zona. Si vuole insistere, forse, anche sulla relazione fra Edessa ed Antiochia. Si racconta che Palut sia stato ordinato da Serapione di Antiochia e quest’ultimo da Zefirino di Roma. Il clima culturale è quello di un avvicinamento alla politica ecclesiastica di Roma. Camplani evidenzia il rapporto creato dalla Canella con gli apocrifi, visti non solo come testi miracolistici, ma anche come espressione di una determinata politica ecclesiastica.
Si ferma poi a sottolineare come sia possibile ipotizzare che con Melezio di Antiochia si sia formato un archivio in città o, meglio, che siano stati unificati gli archivi dei paoliniani e del gruppo che si opponeva a loro. La Canella, nella sua opera, cita il concilio di Antiochia del 324-25 che è una delle poche tracce del rapporto Antiochia-Roma. Il testo potrebbe essere stato conservato ad Antiochia ed essere poi stato valorizzato da Melezio nel rapporto con Roma.
L’ultima relazione è stata del prof.Giorgio Otranto che ha sottolineato come i 2/3 del testo siano dedicati al rapporto con gli ebrei. La Canella – ha esordito – mostra come le due recensioni A e B differiscano e come la recensione C sia una combinazione delle due. A e B sono conservate alla Vaticana, mentre C a Monaco.
La tesi della Canella lo ha fatto ricredere. Aveva pensato anni fa che fosse un testo romano, per i molteplici riferimenti a Roma. Invece ora vede che la Canella ha ragione nel sostenere l’origine della combinazione degli elementi nell’area siro-palestinese. Mi capita spesso di cambiare idea – afferma. Non pensavo all’autenticità dei Dialoghi di Gregorio Magno finché il prof.Simonetti mi ha fatto ricredere.
Per quel che riguarda gli Actus siamo dinanzi alla più pura polemica anti-ebraica. E’ particolare solo il fatto che ci sia uno scarso rilievo dato al sabato. Spesso, in testi analoghi, troviamo infatti una critica al “sabato carnale” degli ebrei al quale i cristiani oppongono il sabato spirituale. Negli Actus, invece, si parla una sola volta dl sabato.
Otranto parla anche della presenza di giudaizzanti in Roma, fin dalle origini della chiesa. Lo si afferma già per il Pastore di Erma ed ancora ai tempi di Gregorio Magno troviamo una sua lettera contro i cristiani che giudaizzavano.
La disputa fra ebrei e cristiani negli Actus viene prima preparata. Vengono chiamati degli esperti di culto che conoscano l’ebraico, il greco ed il latino (anche nel Dialogo con il giudeo Trifone viene prima sistemata la scena; lì si dice che alcuni schiamazzavano e Giustino invita a restare solo chi vuole ascoltare e manda via gli altri).
Prima della disputa si fanno anche i patti e si dichiarano le regole. I cristiani argomenteranno sulla Bibbia ebraica ed i giudei su quella cristiana. Ognuno farà la dimostrazione sulle Scritture degli altri. Si stabilisce poi che chi perderà si convertirà alla vera religione.
Ma già nella prima altercatio c’è una deviazione rispetto alle regole. I rabbini accusano i cristiani di adorare tre divinità, citando Deuteronomio, che, però, appartiene all’Antico Testamento. Anche Silvestro dimostra la divinità di Gesù attraverso il fatto che fa resuscitare i morti, citando così il NT.
La versione B qui è molto diversa. Silvestro si attiene alle regole generali (e così Otranto suggerisce che possa essere un indizio di antichità del testo).
La II altercatio è sulla circoncisione. Silvestro afferma che con la venuta del Cristo è cessata la circoncisione, perché c’è quella del cuore, che avviene con il battesimo.
La III altercatio è dedicata all’utilizzo della Bibbia, con una disputa su Is 7,14.
Nella IV si nega da parte ebraica che i gentili possano usare le Scritture.
Nella V si parla del Cristo, nella VI della generazione eterna del Cristo, citando Sal109,3 (ti ho generato) e Sal44,2 (il mio cuore ha emesso una buona parola, un buon Logos). La Canella dice che le altercationes 7-1 non sono rilevanti. Si arriva a quella decisiva, l’ultima, la XII.
Sono qui dinanzi, nella leggenda, Silvestro e Zambri. Viene portato un toro. Zambri con la potenza dell’impronunciabile nome di Dio, sussurra il nome di YHWH e fa morire il toro. Silvestro pronuncia il nome di Cristo e fa vivere il toro. Non è chi fa morire che vince, ma chi fa vivere. Tutti allora si convertono – ed anche Elena.
Otranto dice di aver studiato il culto micaelico ed in un libretto sul Gargano si dice che lì, sul monte, un toro doveva essere ucciso e San Michele lo salva.
Anche una Revelatio francese tra il 12000 ed il 1300 – che narra dell’origine del culto di Mont Saint-Michel - racconta che si vede un toro in cima al monte.
Nell’opera si parla anche di un drago in una grotta. Silvestro lo incatena e libera il luogo dall’obbligo di offrirgli vittime umane.
Lo stesso troviamo in una leggenda del IX secolo sul monte Tancia. Così nel racconto di San Venanzio Fortunato ci si trova dinanzi ad un drago che Silvestro immobilizza.
Dinanzi a questi elementi possiamo dire di trovarci come dinanzi a delle cave di pietra per nuove costruzioni agiografiche.
L’impressione del prof.Otranto – poiché manca l’accusa abituale fatta agli ebrei in questo tipo di leggende della durezza di cuore, dell’essere adoratori di idoli, dell’aver crocifisso il Cristo, dell’avere dalla propria parte l’angelo maligno – è che qui si sia più vicini ad un confronto reale fra ebrei e cristiani.
Harnack si era espresso a favore dell’inesistenza di rapporti reali tra cristiani ed ebrei. Tutti i libretti che trattano di queste dispute gli sembravano leggendari. Poi M.Simon scrisse, invece, che la vivacità era tale che le opere dovevano riflettere un confronto reale.
Altri autori avevano poi cercato una via mediana, che al prof.Otranto non piace.
L’opera potrebbe essere allora una ricostruzione a tavolino in ambienti dove si trattavano questi temi.
Arnaldi ha poi fatto una piccola aggiunta invitando a leggere la voce Silvestro scritta da Scorza Barcellona nel Dizionario dei papi. Ha aggiunto che la chiesa della sepoltura di San Silvestro era dedicata a Santo Stefano ed a San Silvestro, San Silvestro in Capite e che poi, non sa perché, il corpo fu traslato a Nonantola.
Ha poi parlato ancora del periodo della redazione della Donazione. Ritiene confermato che sia stata scritta tra il 757 ed il 767, gli anni del pontificato di Paolo I. Secondo il Duchesne, afferma, Paolo I è fratello di Stefano II, caso unico nella storia della chiesa, quasi una instaurazione dinastica!
Con Paolo I, secondo Arnaldi, San Paolo passerebbe in II piano rispetto a San Pietro (così si spiegherebbe il permanere del suo nome, fatto su cui aveva riflettuto Congar, afferma).
Alla morte di Paolo I segue una catastrofica elezione, con molte complicazioni. Si decide allora che l’elezione del papa non sia più lasciata al clero ed al popolo, ma sia regolamentate, continua l’Arnaldi. Questo proverebbe il crescere dell’autorità papale non più solo nella sua valenza ecclesiale, ma anche come signore temporale.
E’ seguita poi una breve discussione sulla presenza di elementi che fanno riferimento al morire ed al resuscitare – vedi il toro dell’altercatio – negli Atti apocrifi di Pietro, dove si parla piuttosto di un servo e nel testo di Giovanni Malala, dove si passa esplicitamente alla presenza di un toro.
La Canella afferma che più che stabilire una dipendenza si può affermare una circolazione delle stesse idee in una determinata area. Afferma inoltre che Silvestro e Zambri hanno dietro di loro dei modelli biblici (ad esempio Mosè). Si potrebbe parlare anche della valenza sacrificale del toro. Non uccidere più il toro potrebbe avere la valenza di un simbolo che indica la fine del sistema sacrificale.
Infine ha parlato la stessa Tessa Canella, ringraziando per i preziosi commenti e suggerimenti. Ha ringraziato la prof.ssa Prinzivalli che l’ha guidata nel lavoro. Ha annunciato suoi nuovi studi sul tema della tolleranza religiosa.
La prof.ssa Prinzivalli ha concluso l’incontro, indicando la peculiarità del cristianesimo di essere sempre un crocevia di problemi, cosa che permette alla fede cristiana di ritrovarvi tutto.